Covid: quando ne usciremo? Cosa dovremo cambiare per il futuro? Questa è la Prima pagina del nuovo numero di novembre/dicembre. Scopri come abbonarti
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Nel mondo abbiamo raggiunto i 55 milioni di casi, con quasi 1 milione e mezzo di morti. Tra le tante incertezze che caratterizzano il Covid-19, sembra evidente che la letalità sia bassa (3%), seppure con variazioni da Paese a Paese, in conseguenza di politiche di contenimento più o meno efficaci.
La seconda ondata sta investendo da un mese in modo intenso le Americhe (eccetto il Canada), l’Europa e l’India. Salvi Estremo Oriente, Australia e, per il momento, Africa.
Il mondo è sospeso tra la messianica attesa di un vaccino e la speranza che le cure siano più efficaci e quindi garantiscano un decorso della malattia senza troppi danni. Fatta questa premessa sullo stato dell’arte, ciò che più ci interessa sapere è quando ne usciremo e come dovremo attrezzarci per il futuro.
Secondo i pareri scientifici che ci sono sembrati più fondati, la doppia curva di Gauss che misura il contagio fino ad oggi prevede che, dopo il picco di primavera e il calo estivo, stiamo sperimentando un altro picco, meno drammatico di quello di marzo aprile, che sarà seguito, a Natale, da una nuova flessione, più significativa di quella di quest’estate. E infine un terzo picco, quasi insignificante.
Per affrontare al meglio questa fase e gli anni a venire, i Governi sono chiamati sia a incisive azioni emergenziali (per le quali alcuni Paesi, come la Germania, sono più avanti; altri, come l’Italia, fanno più fatica) che a iniziative strutturali di lungo periodo.
Tra le prime, dobbiamo includere certamente un adeguamento delle strutture sanitarie:
- più posti letto in ospedale, ma anche allestimento di letti Covid in alberghi chiusi a causa della crisi, che consentano di gestire i casi meno gravi in isolamento, senza intasare inutilmente le strutture ospedaliere;
- maggiore assistenza sul territorio, rafforzando la rete dei medici di base, che oggi non sempre riescono a svolgere quel ruolo di anello di trasmissione tra malati e strutture ospedaliere, che consentirebbe di canalizzare verso queste ultime solo i casi davvero urgenti.
Così come sarebbe urgente trasformare la mobilità nelle grandi città, potenziando i trasporti e modernizzandoli a tappe forzate. Va anche accelerato lo sviluppo della rete digitale, che va estesa a tutto il territorio nazionale e resa di ultima generazione.
Se guardiamo invece al medio-lungo periodo, il mondo dopo il Covid dovrà necessariamente rifare i conti con la sostenibilità ambientale, non in vent’anni ma in cinque. I Governi non dovranno sostituirsi ai privati nella gestione dell’economia ma finanziare massicciamente ricerca e innovazione che possano favorire il rispetto dell’ecosistema: dall’introduzione di auto e treni elettrici a una corretta proporzione tra edilizia abitativa (energy saving) e spazi verdi; dalle energie alternative all’abbandono delle coltivazioni intensive. Sarà anche necessario accorciare le catene produttive dei nuovi prodotti che abbiamo scoperto strategici, dal paracetamolo (di cui l’Europa non produce nemmeno un grammo) alle mascherine chirurgiche (che importavamo per il 50% del fabbisogno Ue da un solo Paese, la Cina).
Il mondo dopo il Covid dovrà infine riaffidarsi alle grandi istituzioni multilaterali, dalle Nazioni Unite all’Organizzazione mondiale della sanità, che andrà dotata di finanziamenti moltiplicati, affinché possa sviluppare progetti di ricerca avanzati e adeguati a intercettare l’insorgenza di future epidemie, attivando task force in grado di intervenire tempestivamente per isolare e contenere possibili contagi.
Il ritorno della competenza…
Questo articolo è la Prima Pagina del numero di novembre/dicembre di eastwest.
@GiuScognamiglio