Il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha incontrato Ursula von der Leyen auspicando la piena collaborazione con Bruxelles per evitare che la crisi diventi ancora più estesa
Tra le cause del forte aumento dei prezzi dell’energia in Europa, frazione di una più ampia crisi internazionale, c’è anche la geopolitica. La Russia, principale fornitrice del Vecchio continente, non sta inviando tanto gas naturale quanto potrebbe, limitandosi a onorare i contratti di lungo termine e astenendosi dal prenotare nuova capacità di esportazione tramite le condotte europee. Sta agendo in questo modo anche per promuovere, agli occhi di Bruxelles e delle autorità tedesche, il Nord Stream 2, il controverso gasdotto tra Russia e Germania che potrebbe permettere a Mosca di aumentare la sua influenza energetica sull’Europa e di marginalizzare politicamente l’Ucraina (oggi importante territorio di transito). Il Nord Stream 2 è pronto, ma non potrà entrare in funzione finché non arriverà l’autorizzazione da Berlino: il vice Primo Ministro russo Alexander Novak ha detto chiaramente che un’approvazione rapida, sbloccando i flussi, permetterebbe di far abbassare il costo del gas.
Gli Stati Uniti ripetono da anni che il Nord Stream 2 è uno strumento che consentirà al Cremlino di imporre i suoi interessi sull’Europa. E da anni utilizzano il rischio geopolitico per convincere l’Europa ad aumentare gli acquisti del proprio gas naturale liquefatto (Gnl), presentandolo – in coerenza con la loro visione – come “molecole di libertà statunitense”. Il messaggio è: la libertà è più importante anche della convenienza di prezzo.
L’importanza del viaggio di Sullivan a Bruxelles
Giovedì il consigliere per la sicurezza nazionale americano Jake Sullivan ha incontrato la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e ha detto che non avrebbe fatto delle congetture sul ruolo della Russia nell’andamento dei prezzi del gas. Non è stato esplicito, ma il senso delle sue frasi è chiaro: “La Russia ha un passato di utilizzo dell’energia come strumento di coercizione, come arma politica. Se sia quello che sta accadendo qui, oggi, lo lascerò [dire] agli altri”.
Proseguendo, ha dichiarato che gli Stati Uniti sono preoccupati per la situazione – prezzi alti dell’energia possono significare inflazione più alta e rischi per la ripresa economica – e che ne hanno discusso con l’Unione europea. Ha spiegato che Washington ricerca la collaborazione di Bruxelles per fare sì che i livelli della produzione energetica siano adeguati a quelli della domanda ed evitare che la crisi si faccia più estesa.
A maggio l’amministrazione di Joe Biden ha scelto di ritirare le sanzioni sulla società che si occupava della realizzazione del Nord Stream 2. Fu un gesto di buona volontà nei confronti della Germania dopo gli anni difficili della presidenza Trump, ma non un ramoscello d’ulivo teso alla Russia. In altre parole, fu un cambio di tattica e non di strategia. Il contrasto alla proiezione energetica di Mosca non è dunque stato abbandonato, ma ha cambiato forma: minore aggressività e maggiore coinvolgimento. Le parole di Sullivan confermano questo approccio: la Russia – dicono o fanno intendere gli americani – è un attore maligno e inaffidabile; sugli Stati Uniti e sul loro gas, invece, si può contare.
Il Gnl americano salverà l’Europa?
Ma il Gnl a stelle e strisce arriverà davvero in soccorso dell’Europa? La disponibilità teorica c’è: gli Stati Uniti sono i primi produttori al mondo di gas naturale, grazie ai vasti giacimenti di riserve shale, e stanno anche potenziando le loro capacità di esportazione attraverso terminal di liquefazione e trasporto. La situazione pratica, però, è meno rosea.
Le società energetiche americane, dopo il crollo dei prezzi del petrolio e del gas dell’anno scorso, si stanno concentrando meno sull’aumento dell’output e più sulla disciplina fiscale e la distribuzione di dividendi agli azionisti. La transizione verso le fonti rinnovabili e l’affermarsi della “finanza verde” stanno disincentivando gli investimenti in nuove trivellazioni. Anche se non quanto in Europa, i prezzi del gas stanno poi crescendo anche negli Stati Uniti e i cittadini potrebbero dover pagare bollette più care. Gli stoccaggi di gas nei depositi sotterranei sono del 20% circa inferiori alla media degli ultimi dieci anni. Gli impianti industriali in ripresa hanno bisogno di energia per alimentare i processi produttivi. E la stagione fredda, quella con la domanda energetica più alta, è ormai prossima.
Per la combinazione di tutti questi fattori, agli Stati Uniti non resta tanto gas da esportare. E quello che avanza difficilmente si dirigerà in Europa, dato che le vendite nell’Asia nordorientale (Giappone, Corea del Sud) garantiscono profitti maggiori. Negli Stati Uniti la direzione politica non può imporsi completamente sulle logiche di mercato e sull’iniziativa privata. Di conseguenza, le metaniere americane – quelle che partiranno – preferiranno probabilmente navigare nell’oceano Pacifico piuttosto che nell’Atlantico.
Il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha incontrato Ursula von der Leyen auspicando la piena collaborazione con Bruxelles per evitare che la crisi diventi ancora più estesa