La situazione in Afghanistan ha messo l’Unione europea davanti alla necessità di rafforzare le proprie capacità militari. Borrell: “Serve un corpo militare comune, pronto per essere schierato quando serve”
“L’Afghanistan ha mostrato che le carenze nella nostra autonomia strategica hanno un prezzo”, ha detto il rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione europea, Josep Borrell, dopo un incontro tra i vari Ministri della Difesa del blocco in Slovenia, la settimana scorsa. Borrell si riferiva al ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan, condotto con una velocità e in una maniera tali da aver messo Bruxelles davanti all’inadeguatezza delle proprie capacità militari: l’Europa non è infatti stata in grado di garantire la sicurezza dell’aeroporto di Kabul dopo la partenza delle forze americane, il 31 agosto scorso, e dunque di permettere la prosecuzione delle evacuazioni.
L’Unione non può limitarsi a inseguire unicamente la crescita economica perché questa, da sola, non è in grado di renderla una potenza rilevante a livello internazionale. Per raggiungere l’autonomia strategica e per essere “geopolitica”, come la Commissione di Ursula von der Leyen vorrebbe, l’Europa deve dotarsi di un corpo militare comune, capace e pronto per essere schierato quando serve. L’Afghanistan è stato un campanello d’allarme che ha permesso di ragionare su futuri ipotetici in zone immediatamente rilevanti per gli interessi europei: cosa potrebbe succedere se, ad esempio, Bruxelles si ritrovasse a dover evacuare d’urgenza i propri soldati dal Mali? E se dovessero scoppiare nuovi conflitti in prossimità dei suoi confini, come le guerre jugoslave del 1991-2001 o la guerra civile libica?
La proposta di Borrell
Per Borrell, dopo Kabul c’è una “unica strada percorribile” per l’Unione europea: “unire le nostre forze e rafforzare non solo la nostra capacità, ma anche la nostra volontà di agire”. La sua proposta, di cui si è cominciato a discutere nei giorni scorsi, prevede la creazione di una forza militare formata da cinquemila truppe, una First Entry Force qualitativa e agile da mobilitare in momenti di crisi.
Borrell centra il punto: i membri dell’Unione hanno “gli eserciti; tutti insieme abbiamo le risorse. Il problema è nell’essere coordinati e nella volontà di mobilitare queste risorse”. Complessivamente, infatti, la spesa militare dell’Europa dei 27 è paragonabile a quella della Russia, ma le similitudini si fermano alle somme stanziate: all’Unione europea manca la coordinazione, mancano le infrastrutture per il dispiegamento delle forze armate e mancano le capacità logistiche necessarie a gestire le operazioni all’estero. Non c’è autonomia dagli Stati Uniti in questo, e in Afghanistan si è visto.
L’idea di Borrell, in realtà, non è originale. Al contrario, sono decenni che l’Europa parla del bisogno di dotarsi di una forza di intervento rapido. Nel 2007 era stata creata un’unità tattica di 1500 elementi, ma non è stata mai utilizzata per via di contrasti sul suo finanziamento e di una generale resistenza all’impegno militare. Quest’ultimo aspetto è particolarmente problematico: per poter mobilitare i propri corpi armati, infatti, l’Unione deve ottenere l’approvazione di tutti i 27 membri, dei loro parlamenti nazionali ed eventualmente l’autorizzazione delle Nazioni Unite.
Cosa succede ora
La First Entry Force proposta da Borrell – comunque numericamente inferiore alle seimila truppe stanziate da Washington all’aeroporto di Kabul – verrà esaminata e dibattuta nei prossimi mesi: a novembre sarà presentata una bozza, con l’obiettivo di trovare un accordo generale entro marzo 2022.
Il contesto potrebbe essere favorevole. La situazione in Afghanistan ha messo l’Unione davanti alla necessità urgente di rafforzare le proprie capacità militari. A gennaio la Francia, la nazione che spinge di più per l’autonomia strategica, assumerà la presidenza del Consiglio dell’Unione europea. La Germania, quella economicamente più forte ma meno propensa all’impegno armato, ha proposto l’istituzione di “coalizioni dei volenterosi” tra i paesi membri per velocizzare i dispiegamenti di truppe. Il Regno Unito, scettico nei confronti di un esercito comune, è ormai fuori dall’Unione.
L’idea di una forza di intervento rapido è ancora in germe e probabilmente sarà comunque di difficile implementazione. A meno che l’Unione europea non riesca a superare il problema dell’unanimità decisionale, che finora ha in effetti fatto perdere momentum ed efficacia a molte decisioni di Bruxelles in politica estera. Lo schieramento del corpo armato, allora, potrebbe venire approvato con una maggioranza semplice, ma bisognerebbe prima inventare un meccanismo istituzionale che lo consenta.
Gli Stati Uniti guardano con favore a questo interesse degli europei per il rafforzamento delle capacità militari proprie. La strategia di Washington mira proprio a un’Europa maggiormente autosufficiente sulla difesa – ma non del tutto autonoma, nel senso di slegata –, in modo da poterle affidare il monitoraggio della Russia e del Mediterraneo allargato: gli americani vogliono distanziarsi da questi quadranti geografici per concentrarsi meglio sull’Asia-Pacifico e sulla competizione con la Cina.
La situazione in Afghanistan ha messo l’Unione europea davanti alla necessità di rafforzare le proprie capacità militari. Borrell: “Serve un corpo militare comune, pronto per essere schierato quando serve”
“L’Afghanistan ha mostrato che le carenze nella nostra autonomia strategica hanno un prezzo”, ha detto il rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione europea, Josep Borrell, dopo un incontro tra i vari Ministri della Difesa del blocco in Slovenia, la settimana scorsa. Borrell si riferiva al ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan, condotto con una velocità e in una maniera tali da aver messo Bruxelles davanti all’inadeguatezza delle proprie capacità militari: l’Europa non è infatti stata in grado di garantire la sicurezza dell’aeroporto di Kabul dopo la partenza delle forze americane, il 31 agosto scorso, e dunque di permettere la prosecuzione delle evacuazioni.