La produzione e l’offerta di cocaina sono aumentate a livelli record, più del doppio di un decennio fa. La pandemia, la guerra in Ucraina e i cambiamenti politici in Colombia hanno prodotto nuove modalità e nuove rotte di produzione e di traffico
La pandemia sembrava destinata ad avere un impatto importante sul mercato delle sostanze stupefacenti, ed in particolare su quello della cocaina. Da un lato, infatti, le restrizioni applicate dai governi con l’obiettivo di limitare gli effetti del virus avevano portato a maggiori controlli alle frontiere e a volte ad una vera e propria chiusura dei confini, rendendo più difficoltoso il traffico illecito di sostanze. Dall’altro, anche l’offerta era stata colpita: molti stati avevano chiuso bar e discoteche, luoghi spesso identificati con il consumo di stupefacenti.
In realtà, nemmeno il Covid-19 è riuscito a lasciare un segno nel lungo periodo in questo settore e ad interrompere la crescita impetuosa che la cocaina ha conosciuto negli ultimi decenni. Lo afferma il Rapporto globale sulla cocaina 2023, pubblicato in questi giorni dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC). Nel documento, si osserva come nel 2020 la produzione globale di cocaina abbia toccato le duemila tonnellate, più del doppio delle quantità registrate un decennio fa.
L’UNODC sottolinea come l’aumento della produzione osservato negli ultimi anni possa essere almeno in parte riconducibile al cambiamento delle condizioni politiche in Colombia, uno degli stati al centro dei traffici illeciti. Qui, fino al 2016, la coltivazione e il commercio di coca erano controllati da pochi potenti attori. In seguito, però, la situazione è cambiata radicalmente dopo che il governo di Bogotà e il gruppo armato delle FARC hanno siglato la fine delle ostilità. Il compromesso ha infatti portato ad una frammentazione dei cartelli che avevano il controllo dei traffici e al successivo coinvolgimento di attori esterni, in particolare gruppi criminali provenienti dal Messico e dai Balcani.
Allo stesso tempo, negli ultimi anni si è assistito ad un cambiamento significativo delle rotte su cui la cocaina si muove. Se la Colombia continua a ricoprire una posizione dominante per quanto riguarda le partite di sostanza stupefacente dirette verso gli Stati Uniti, così non è per quelle che sono invece destinate al mercato europeo. In questo caso, la sostanza prodotta in Bolivia e Perù tende sempre più a passare attraverso il Paraguay e lungo il fiume Paranà, per poi arrivare in Brasile e da lì essere imbarcata per attraversare l’Oceano Atlantico. Anche i punti di arrivo non sono rimasti gli stessi: la Spagna, considerato l’approdo principale fino a poco tempo fa, è stata sostituita dai grandi porti di Belgio e Olanda.
L’ufficio delle Nazioni Unite indica anche un coinvolgimento sempre maggiore del continente africano, ed in particolare dell’Africa occidentale e centrale, che si sono affermate come aree di transito per la cocaina diretta verso l’Europa. Il rapporto spiega infine come anche la guerra in Ucraina abbia avuto un impatto non trascurabile. L’invasione russa del Paese avrebbe reso infatti più complicato un passaggio degli stupefacenti dai porti ucraini sul Mar Nero e attraverso il territorio del Paese, per poi entrare nell’Unione Europea. I traffici si sarebbero quindi spostati a Bulgaria e Romania, che a loro volta hanno uno sbocco sul mare.
A modificarsi non sono state però soltanto le rotte, ma anche le modalità. Le sostanze stupefacenti, tra cui la cocaina, non vengono ormai quasi più trasportate su voli passeggeri, dai cosiddetti corrieri della droga. I gruppi criminali preferiscono invece l’uso dei servizi postali, con l’invio di quantità di sostanza relativamente limitate. La tendenza viene in realtà osservata già da tempo: la pandemia, con le conseguenti restrizioni sui voli turistici, non ha fatto altro che accelerare un processo già in corso.