È fondamentale frenare la propaganda jihadista su Internet e i social network.
In arabo è conosciuto come Daesh, in Occidente ha conquistato le prime pagine dei giornali prima con l’acronimo Isis, Stato islamico dell’Iraq e della Siria, e poi semplicemente come Is, Stato islamico. Fondato da Abu Musab al-Zarqawi, il movimento inizia a operare con una serie di attentati nel 2003, dopo l’invasione americana dell’Iraq. Un anno dopo, viene sancita l’affiliazione ad al-Qaeda, tanto che il gruppo prende il nome di AQI, al- Qaeda in Iraq: una mossa che permette ad al-Zarqawi di rafforzarsi e a Bin Laden di mantenere una posizione in Iraq.
Dopo l’uccisione di al-Zarqawi nel 2006 (bombe Usa), la leadership passa ad Abu Omar al-Baghdadi e – dopo la sua morte, nel 2010 – ad Abu Bakr al-Baghdadi. Nel 2013, si ribattezza Isil, identificando nel caos siriano la possibilità di espandersi nel Levante e rifondare il Califfato.
Il divorzio tra al-Qaeda e Isis si consuma nel febbraio 2014: al-Baghdadi disobbedisce ad al-Zawahiri (leader di al-Qaeda dopo l’uccisione di Bin Laden, maggio 2011), che gli imponeva di lasciare la Siria ai partigiani di al-Nusra (affiliati ad al- Qaeda) per focalizzarsi sull’Iraq.
Il no di Isis – che ha come progetto il Califfato dell’Iraq e del Levante e quindi vuole includere la Siria – segna la rottura.
Nelle aree sotto il suo potere, Isis apre scuole e controlla che il cibo distribuito sia halal, ma soprattutto si distingue per le brutalità – amputazioni, decapitazioni e le crocifissioni di Raqqa fanno il giro del mondo – in particolare contro i cristiani, costretti a lasciare le loro terre per sfuggire alla morte.
Abu Bakr al-Baghdadi, leader assoluto di Isis dal 2010, è in carcere a Camp Bucca dal 2005 al 2009, in mani americane, con l’accusa di terrorismo e, in questa fase, radicalizza il suo pensiero. Poi, nel 2009, il governo iracheno prende il controllo della base e decide di liberarlo. Oggi, la taglia sulla sua testa è di 10 milioni di dollari. Secondo le stime, i membri di Isis sono tra i 7 e i 10mila (3mila stranieri): si contano ex affiliati di al-Qaeda e militari dell’era Saddam, in numero però insufficiente a mantenere il controllo delle città conquistate; da qui è nata l’alleanza di Isis con alcune tribù sunnite e con gli ex baathisti.
A differenza di altri movimenti, Isis conta anche su molti giovani musulmani arrivati dall’estero: Cecenia in prima fila ma anche Europa (Francia e Gran Bretagna): oltre 3mila combattenti, ai quali viene garantito un mensile di 600 dollari.
Il ricchissimo Stato islamico di al-Baghdadi (fino allo scorso anno, poteva ricevere donazioni internazionali tramite canali bancari) si finanzia principalmente con attività illegali come il contrabbando e i sequestri di persona. Nel 2012 Isis si è poi assicurato il controllo dei giacimenti di petrolio nell’est della Siria, che vende al nemico Assad. E poi ci sono i donatori sauditi e qatarioti, oltre a una sorta di raccolta di tasse dalla popolazione dei territori man mano conquistati.
Per contrastare l’Is, si è costituita una coalizione internazionale, che comprende numerosi paesi, tra cui Regno Unito, Francia, Australia, Canada, Germania, Turchia, Italia e Polonia, nonché 10 paesi arabi. Obiettivi: raid aerei in Iraq (nessun soldato sul campo), risorse per equipaggiare meglio i ribelli siriani non Isis, aiuti militari all’esecutivo del neo Premier iracheno al-Abadi e al Governo regionale curdo.
Il Primo ministro britannico Cameron e quello danese Thorning-Schmidt hanno tenuto un discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dove hanno sottolineato come la risposta al fenomeno Isis debba essere globale e colpire le radici – anche ideali e culturali – che alimentano le fila di tale organizzazione, un concetto espresso in altre occasioni dallo stesso Obama. Resta però il dubbio sull’incapacità strutturale delle nostre democrazie di integrare i giovani di cultura e religione islamica, in questi anni di migrazioni epiche. Un sondaggio on line dell’associazione dell’Università di Milano Voices from the blogs, realizzato tra due milioni di persone parlanti arabo tra Europa e paesi arabi, dimostra che c’è maggiore sostegno al Califfato in Europa che in Siria! I 28 paesi dell’Unione europea hanno una popolazione totale di 505 milioni. Contando cittadini e immigrati, la popolazione musulmana è di circa 20 milioni. 3.000 giovani, uomini e donne, attivamente coinvolti nei movimenti jihadisti, potrebbero sembrare un numero trascurabile.
Sarebbe una valutazione errata, perché il potere di attrazione dello Stato islamico su giovani disoccupati e persone indottrinate è forte. I governi europei dovrebbero mirare a ridurre drasticamente il reclutamento di jihadisti europei da parte dello Stato islamico, anche se le ripercussioni sulla libertà di movimento, sulla lotta al terrorismo e perfino sulla libertà d’espressione sarebbero non indifferenti. È fondamentale riuscire a mettere un freno alla propaganda dello Stato islamico su Internet e nei social network, se si vuole tenere aperto il dialogo con l’opinione pubblica internazionale.
L’apertura di un nuovo ciclo politico nell’Unione europea, con l’insediamento del nuovo Parlamento, della nuova Commissione e del nuovo Alto rappresentante, può favorire un rilancio delle politiche verso il Mediterraneo e il Medio Oriente per esplorare nuove possibili strade di cooperazione con i protagonisti di queste regioni (Iran, Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Qatar e Israele) e identificare il momento propizio per disinnescare le tensioni regionali attraverso la diplomazia e il dialogo.
È fondamentale frenare la propaganda jihadista su Internet e i social network.