Il Rinascimento europeo di Macron ha trovato il suo interlocutore: gli Ecolò, che aggiungono i contenuti del futuro all’europeismo muscolare di En Marche
Le elezioni europee in Francia hanno segnato un capovolgimento rispetto alle presidenziali del 2017, ma Emmanuel Macron ha fatto di tutto per evitare che si notasse la sua sconfitta, e ci è pure riuscito. Il partito di Marine Le Pen, che oggi si chiama Rassemblement National, ha battuto di un soffio la compagine macroniana, la République en Marche, con uno scarto dello 0,9%, piccolo ma significativo, se si pensa che questo è il Paese che vuole fare da guida al cosiddetto “Rinascimento Europeo”, che è un’invenzione dello stesso Macron.
Nonostante le iniziali, roboanti dichiarazioni della Le Pen – il Presidente si deve dimettere! – il Rassemblement non è riuscito a trarre particolari vantaggi dalla propria vittoria: per quanto questo e altri partiti, prima di tutti la Lega in Italia, abbiano ottenuto buoni risultati nei propri Paesi, a livello europeo non hanno e non avranno molte possibilità di contare. L’alleanza sovranista è in divenire, ma anche ammesso che si riesca a creare un’unità che per natura non esiste – il nazionalismo non ha una sua versione sovranazionale, men che meno europea – resterà in ogni caso minoritaria all’interno di un EuroParlamento a stragrande maggioranza europeista. Il tentativo di “cambiare le regole dell’Europa”, come hanno annunciato i sovranisti durante la campagna elettorale e pure dopo, si tradurrà, nel migliore dei casi (migliore per loro, s’intende), in un rallentamento continuo dei lavori degli europarlamentari: un fastidio più che una strategia politica.
Senza considerare che c’è anche un alto tasso di lite interna sempre per il solito motivo: la somma di nazionalismi di diversa natura non dà un nazionalismo comune. E la debolezza economica italiana, per dire, non piacerà agli alleati di Matteo Salvini in Germania, quell’Alternative für Deutschland che ha nel suo progetto fondativo l’austerità assoluta, in particolare nei confronti degli spendaccioni mediterranei.
A cambiare le regole però è stato Emmanuel Macron, anche quella banalissima per cui se perdi le elezioni dovresti andare un po’ in crisi. Il Presidente francese ha considerato la sconfitta come un incidente di percorso nemmeno troppo grave, l’ha trasformata in un pareggio e da lì è ripartito per portare avanti il suo Rinascimento Europeo. In Francia, il macronismo ha davvero ridisegnato l’intera struttura partitica del Paese: la destra gollista dei Républicains si è fermata sotto al 10%; la sinistra ha superato di un punto la soglia di sbarramento; la sinistra radicale è crollata e il suo leader Jean-Luc Mélenchon si è per molti giorni ritirato in un silenzio che a qualcuno è parso un preludio al ritiro. L’unica forza che è emersa, in perfetta sintonia con molte altre parti dell’Europa, è quella dei Verdi, che hanno raggiunto un inatteso 13% e che fin da subito hanno iniziato a dialogare con il partito di Macron, che sulle questioni ambientali care agli Ecolò è il più verde di tutti i partiti francesi.
Il progetto politico del Presidente era esattamente questo: ricreare un bipartitismo che si fronteggiasse su fronti chiari, quali l’europeismo, il liberalismo, la globalizzazione, l’apertura. Sta accadendo proprio questo e infatti il gioco più seguito in Francia è quello dei riposizionamenti: le case politiche tradizionali sono diventate piccole e scomode, molti vogliono trovare una nuova sistemazione, ma i traslochi non sono sempre facili. Il via vai è movimentato e anche in parte divertente, se non fosse che oltre alle storie personali – che spesso non sono edificanti – c’è di mezzo una nuova mappa politica il cui effetto rischia di non essere confinato soltanto alla Francia. Da tempo in Europa si discute dell’estinzione del sistema dei partiti tradizionali e le elezioni europee hanno dimostrato che il fenomeno è in corso, anche se questa trasformazione non sta avvenendo secondo le attese: si pensava che sarebbero stati i sovranisti i motori del cambiamento, invece si scopre, saltando dagli esperimenti macroniani a quelli dei Verdi, che l’impulso ha colori variegati, ma di certo non è soltanto nero.
L’ambizione di Macron è di esportare questo modello anche in Europa, ridisegnando le famiglie dell’EuroParlamento e di conseguenza gli equilibri a Bruxelles. Il primo tentativo riguarda la sua famiglia di appartenenza, quella liberale dell’Alde, che ha cambiato nome per le europee – Renaissance – e poi lo ha fatto ancora – la versione finale è: “Renew Europe” – mentre cerca di attirare a sé i partiti europeisti che non hanno ancora una casa di riferimento, o non sono sicuri di poterci abitare rimanendo a proprio agio. Questo processo è molto più complesso e delicato di quanto è avvenuto con En Marche in Francia, vuoi perché i gruppi europei sono molto più difficili da scardinare, vuoi perché l’iniziativa di Parigi è vista con un certo sospetto. Gli europeisti sono contenti di essere solidi, lavorano ad alleanze parlamentari durature, ma non vogliono un’Europa a immagine e somiglianza di Macron.
Invece il Presidente francese vuole fare ogni cosa a modo suo: vuole una leadership carismatica dell’Europa, perché altrimenti il continente non potrà mai contare per davvero a livello globale ed è disposto, forse persino con un certo piacere, a stracciare i calcoli fatti da conservatori e socialisti per dividersi le cariche europee. Per molti, in questo modo Macron si sta allontanando dall’alleato storico, la Germania: il cuore franco-tedesco sembra ancora una volta sul punto di scoppiare. Le criticità ci sono e sono destinate ad aumentare, anche e soprattutto perché a Berlino si è aperta una fase di transizione molto complicata: la cancelliera Angela Merkel lascerà il potere e la sua erede, Annagret Kramp-Karrenbauer, non si sta rivelando così convincente come sembrava all’inizio (va anche detto che più resta nell’ombra della Merkel più si indebolisce) e si è posta in contrasto nei confronti di Macron. Ma la polarità, tra Parigi e Berlino, si è invertita, per ragioni naturali – Macron ha lo slancio di chi inizia, la Merkel la cautela di chi finisce, e comunque è cauta da sempre – e perché le riforme più ambiziose, ora, sono state definite dal Presidente francese. In più la Francia, che si era messa di fatto in coda alla Germania durante lo choc finanziario del 2010, vuole recuperare la propria autonomia: non c’è conflitto, c’è semmai un nuovo equilibrio, ma è ovvio che ai tedeschi non piaccia granché (c’è pure la tendenza in Europa a esagerare la rivalità franco-tedesca, ma appunto: è un’esagerazione). Con il suo decisionismo, Macron ha già ottenuto dei risultati: le discussioni sul bilancio dell’Eurozona, la direttiva sui diritti d’autore e quella sui lavoratori distaccati, il regolamento sulla protezione degli investimenti strategici, una linea più dura con la Cina e un progetto di difesa comune, l’investimento nell’istruzione e nelle università europee.
Molto è ancora da fare e come spesso accade con le cose europee, uno dei test principali è legato alle nomine delle cariche più importanti dell’Unione Europea: ci si conta sempre, dalle nostre parti. Ma il progetto di Macron è più ampio e più profondo: vuole cambiare l’approccio europeo, anche a costo di avviare una serie di scontri più brutali rispetto a quelli cui siamo abituati: il compromesso è per il Presidente francese sempre al ribasso. È evidente quindi che ci vorranno dei contrappesi per evitare che lo slancio unitario di Macron si trasformi nel suo contrario, una guerriglia poco produttiva. La Merkel era il contrappeso ideale: ne andranno trovati altri. Ma l’approccio del Presidente francese è la novità di questa legislatura: lui lo chiama “consenso produttivo”, ma ha l’aria più battagliera, un europeismo muscolare che non avevamo ancora visto.
@paolapeduzzi
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di luglio/agosto di eastwest.
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Il Rinascimento europeo di Macron ha trovato il suo interlocutore: gli Ecolò, che aggiungono i contenuti del futuro all’europeismo muscolare di En Marche