Oltre 200 milioni di cittadini alle urne in ventotto Paesi, un’affluenza record di oltre il 50% (+ 8 punti), nessuna rivoluzione: le elezioni di maggio non hanno stravolto
l’Europa
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di luglio/agosto di eastwest.
Come ci si aspettava, per una volta nel pieno rispetto dei sondaggi, i partiti tradizionali, popolari e socialisti, che da sempre hanno governato la Ue, hanno perso la maggioranza assoluta.
Insieme, i due schieramenti, hanno “solo” il 44% dei seggi: 179 per il PPE, 153 per S&D. I consensi apparivano in discesa già dal 2009, dopo che il boom del 2004 li aveva visti guadagnare il 67% dei seggi disponibili.
L’ascesa dei nazionalisti, che tanto si temeva, è stata inferiore alle attese e comunque non in grado di dar vita a una coalizione capace di minare l’Europa.
Identità e Democrazia, la formazione di Matteo Salvini, che nel frattempo ha cambiato nome, è per numeri soltanto quinta nel Parlamento Europeo. Il gruppo è andato molto bene nel nostro Paese, gli italiani si sono mostrati i più euroscettici fra tutti gli europei, e in Francia, ma non ha sfondato in nessuno degli altri Paesi Ue: in particolare è calato in Danimarca, dove il Partito del popolo ha dimezzato i consensi, passando dal 26,6 all’11,%, ed è del tutto scomparso in Olanda, dove Geert Wilders non ha superato lo sbarramento.
Nel complesso, la somma dei gruppi euroscettici, (compresi l’Enf e l’Efdd dove ha casa il M5S), si è fermata a circa 170 seggi, una soglia molto lontana dalla maggioranza di 367 deputati che serve per contare in Europa.
Le urne hanno incoronato invece due nuovi vincitori: i Verdi e l’Alleanza dei democratici e liberali in Europa (oggi Renew Europe), che insieme hanno 181 seggi.
I verdi ne hanno ottenuti 75, trainati dall’elettorato della Germania, dove, con il 20,%, sono diventati il secondo partito dopo la CDU (che ha ancora il 28%) e della Francia, dove hanno raggiunto un 13% a cui pochi credevano. Gli ecologisti europei sono andati bene in diversi Paesi, in particolare in Irlanda, dove hanno guadagnato dieci punti percentuali, in Danimarca, Belgio e nel Regno Unito.
Tra i Paesi che fanno eccezione, l’Italia, dove non hanno raggiunto nemmeno lo sbarramento. Nel nostro Paese non c’è traccia di quelle forze che nel resto d’Europa hanno frenato l’avanzata dei sovranisti: i verdi, gli ambientalisti, i giovani.
Tornando al contesto continentale, un po’ a sorpresa, i liberali hanno ottenuto ben 106 eurodeputati, contro i 68 della precedente legislatura. Renew Europe, con il suo 14%, sarà l’ago della bilancia del nuovo Parlamento Europeo; questa percentuale infatti consentirà ai liberali di formare una coalizione allargata con popolari e socialisti, con numeri intorno al 58%.
La crescita di Renew Europe deve molto al voto francese e britannico, due Paesi che hanno anche però contribuito alla crescita dei sovranisti. Emmanuel Macron ha subito il sorpasso di Marine Le Pen in casa, ma paradossalmente i 21 deputati della sua “La République En Marche” conteranno in Europa più di quelli del Rassemblement National. In Gran Bretagna, dove i Tories sono crollati (il peggior risultato degli ultimi 200 anni per il partito della povera Theresa May) e il Brexit Party di Farage è stato il primo partito (29 seggi), abbiamo assistito a un vero boom dei Lib-dem, premiati dall’elettorato europeista, sfiancato dalle molte ambiguità di Jeremy Corbyn sulla Brexit. I liberaldemocratici britannici hanno conquistato 16 seggi. Il loro supporto al gruppo è a tempo (scadono a ottobre), ma saranno ancora dentro e potranno influire nell’elezione dei presidenti del Parlamento Europeo e soprattutto della Commissione.
Il voto verso ALDE è stato invero abbastanza disomogeneo: in alcuni Paesi, i liberali hanno perso anche deputati, come in Belgio, Croazia, Bulgaria, Finlandia, Lituania e Olanda (per non parlare dell’Italia, dove +Europa non ha nemmeno passato lo sbarramento), ma il loro successo sembra comunque contraddire la narrativa che ha accompagnato la campagna elettorale: l’insofferenza verso le élite liberali, il necessario ritorno agli egoismi nazionali e la chiusura verso il progetto europeo.
Il nono mandato del nuovo Parlamento Europeo inizierà il 2 luglio.
La sua frammentazione, rispetto al passato, potrebbe rallentare ulteriormente alcuni processi decisionali e una riforma dell’Eurozona, che è diventata ineludibile. Per questo è auspicabile una leadership coraggiosa che sia in grado di imprimere un’accelerazione al processo di integrazione europeo.
La formazione di una nuova maggioranza tricefala e l’ingresso di Renew Europe potrebbero alterare i consueti equilibri, portando i popolari a rinunciare alla presidenza della Commissione e a facilitare una soluzione di compromesso.
Lo stesso varrebbe per la figura del Presidente del Parlamento Europeo, che nella passata legislatura ha visto l’alternanza di popolari e socialisti.
Altre due nomine in scadenza, che potrebbero essere influenzate dai giochi politici in corso, sono la presidenza del Consiglio Europeo e la nomina del prossimo Governatore della Banca centrale. Dopo 8 anni alla guida della Bce, Mario Draghi lascerà infatti il proprio posto alla fine di ottobre. Per un Paese ad alto debito pubblico come l’Italia, la scelta del prossimo Governatore è di primaria importanza.
Oggi, il nostro Paese esprime tre cariche fondamentali nell’Unione Europea: il Presidente del Parlamento Europeo (Antonio Tajani), l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la sicurezza (Federica Mogherini) e appunto il Presidente della Bce.
Con i due partiti di Governo (Lega e M5S) fuori dalla grande coalizione che guiderà l’Europa, l’Italia rischia di vedere pesantemente ridimensionato il proprio peso.
Una prima indicazione arriverà già nelle prossime settimane, quando dai negoziati dovranno emergere anche il nome e il ruolo del prossimo Commissario italiano nella Commissione Europea.
“Funzionari e diplomatici scherzano sul fatto che l’Italia sia diventata irrilevante nelle trattative sulle prossime nomine”, scrive Politico. “Dal punto di vista politico, l’Italexit è già una realtà”.
Al di là delle analisi nazionali, il dato che ci pare più rilevante è che Liberali e Verdi potrebbero essere determinanti per un’accelerazione del processo di integrazione, con la loro freschezza e la loro spinta, per superare le timidezze dell’Europa di Frau Merkel, che sarà ricordata come la leader con gli assi in mano per un decennio, ma che si è limitata a giocare con fanti e re. Questo gioco al ribasso intergovernativo non può durare. I nazionalisti, che sbagliano ricetta per combattere la crisi economica e di valori che stiamo ancora vivendo, non avranno più ostacoli se gli europeisti non sapranno dimostrare in questa legislatura che la storia è dalla loro parte e che ai problemi globali non può che rispondere un’Europa integrata. In democrazia, la scelta è fra due o tre contendenti, non necessariamente ideali. Se le alternative ispirate a società aperte e integrate non propongono interpreti e soluzioni convincenti, ci terremo i “cattivi” ancora per molto, con tutti i rischi connessi.
@GiuScognamiglio
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Oltre 200 milioni di cittadini alle urne in ventotto Paesi, un’affluenza record di oltre il 50% (+ 8 punti), nessuna rivoluzione: le elezioni di maggio non hanno stravolto
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