A dodici anni di distanza dall’11 marzo 2011, quando uno tsunami interruppe il raffreddamento di tre reattori in funzione nella centrale nucleare di Fukushima Daiichi, causandone la fusione, le inquietudini non sono terminate.
Sebbene oggi il materiale radioattivo sia ad una temperatura di 20°C e quindi non necessita di ulteriore raffreddamento, la camera dove si è raccolto deve essere continuamente allagata da acqua corrente per evitare che le minuscole particelle di radioattività si disperdano nell’atmosfera.
L’acqua, dopo essere stata depurata dalla maggior parte dei radionuclidi tranne il trizio, viene raccolta in contenitori che ora occupano quasi un terzo dell’area in cui sorge la centrale.
Nel 2013 il governo di Shinzo Abe, prevedendo che lo spazio destinato ai tank si esaurisse entro una decina d’anni, chiese a diverse agenzie, istituti, università, centri di ricerca nazionali e internazionali il parere su un eventuale sversamento controllato delle acque nell’oceano. Dopo tre anni di studi il risultato fu che un rilascio diluito non avrebbe alterato l’equilibrio naturale dell’ecosistema idrico nei pressi della costa di Fukushima.
Nel 2022, il primo ministro Fumio Kishida annunciò che l’area entro i confini della centrale nucleare di Fukushima Daiichi non avrebbe più potuto ospitare nuovi tank per raccogliere le acque e che quindi, entro la fine del 2023, la TEPCO, la compagnia che gestisce il sito, avrebbe iniziato a svuotare il contenuto dei serbatoi nell’oceano. Così, entro la fine dell’estate si inizierà a rilasciare 1,32 milioni di metri cubi d’acqua leggermente radioattiva contenuta in 1066 contenitori.
Greenpeace ha criticato la decisione del governo giapponese: secondo l’associazione ambientalista la mancanza di spazio addotta da Tokyo per versare l’acqua triziata è solo un pretesto per evitare di aumentare i costi economici della depurazione.
Se da una parte è esatto che la purificazione dal trizio è molto costosa e complicata, è anche vero che basta guardare qualsiasi foto aerea del sito di Fukushima Daiichi per accorgersi che lo spazio rimanente non consentirebbe l’accumulo di altri contenitori per raccogliere i 140 m3 di acqua provenienti dai reattori che ogni giorno si aggiungono a quelli già esistenti (nel 2014 l’accumulo giornaliero raggiungeva i 540 m3).
La maggior parte degli istituti oceanografici non ha ravvisato problematiche al rilascio delle acque, ma una delle poche organizzazioni marittime che ha criticato la decisione del governo di Kishida è la National Association of Marine Laboratories, un’istituzione privata che si è opposta allo sversamento con un’analisi “basata sul fatto che mancano dati scientifici adeguati e accurati a sostegno dell’affermazione di sicurezza del Giappone. Inoltre, ci sono molti dati che dimostrano serie preoccupazioni riguardo al rilascio di acqua contaminata radioattivamente.”
All’allarme di Greenpeace e della NAML si sono accodate, per motivi totalmente differenti, le cooperative di pescatori dei villaggi che sorgono lungo la costa della prefettura, timorose di ricadere nella crisi che le aveva colpite nel 2011 all’indomani dell’incidente, quando i consumatori avevano smesso di comprare prodotti made in Fukushima. “Nonostante il nostro pesce sia controllato con contatori Geiger e non presenti livelli di radioattività superiori al limite di legge, la nostra paura è che si ripeta l’allarme immotivato di radioattività sollevato da molti organi di stampa, inducendo i nostri clienti a non comprare il nostro pescato” afferma Mori Tatsuki un pescatore di Soma, 50 km a nord di Fukushima Daiichi.
Secondo il programma di rilascio sviluppato dalla TEPCO in collaborazione con gli istituti di ricerca fisici, oceanografici e di radiologia coinvolti, il rilascio delle acque dai contenitori sarà effettuato nell’arco di tre decenni e l’acqua triziata sarà diluita 100 volte prima di essere versata nell’oceano a un chilometro dalla costa tramite un condotto. Questi accorgimenti non dovranno far superare il livello di radioattività marina dovuto al trizio oltre il livello massimo consentito dalla legislazione giapponese (100 Bq/l), già 500 volte più basso della quantità massima indicata dall’OMS per le acque potabili (10.000 Bq/l).
Durante tutto il periodo di sversamento, in un’area marittima di circa 100 km2 attorno al punto di rilascio saranno prelevati campioni che verranno analizzati da circa duecento laboratori d’analisi oceanografici e centri per la misurazione della radioattività ambientale appartenenti al circuito ALMERA, istituito nel 1995 dall’AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica).
A livello internazionale, invece, la decisione giapponese ha incontrato feroci critiche da parte dei Paesi asiatici che si affacciano sul Pacifico. In particolare, Cina, Corea del Sud e Taiwan hanno biasimato Tokyo accusandolo di arrecare enormi danni ambientali alla pesca e alle acque del Pacifico dimenticando però, che le centrali nucleari di questi stessi Paesi rilasciano quantitativi di trizio decine di volte superiori a quelli rilasciati da Fukushima.
La critica congiunta di Taipei, Pechino e Seul (a cui si aggiungono quelle dei Paesi del Pacific Island Forum) si sviluppa sul piano geopolitico, più che di rispetto ambientale. Tutti e tre i Paesi, infatti, oltre ad avanzare storiche recriminazioni sul passato coloniale giapponese, hanno contenziosi aperti sulle zone di pesca e sulla sovranità di isole con Tokyo e dal 2011 Fukushima è diventata uno dei temi preferiti delle diplomazie asiatiche per rimettere in discussione la politica della nazione che tenta di riconquistare un ruolo di attore principale nella politica asiatica.
Sebbene oggi il materiale radioattivo sia ad una temperatura di 20°C e quindi non necessita di ulteriore raffreddamento, la camera dove si è raccolto deve essere continuamente allagata da acqua corrente per evitare che le minuscole particelle di radioattività si disperdano nell’atmosfera.
L’acqua, dopo essere stata depurata dalla maggior parte dei radionuclidi tranne il trizio, viene raccolta in contenitori che ora occupano quasi un terzo dell’area in cui sorge la centrale.