A 20 anni di distanza la Corte europea dei diritti dell’uomo rigetta il ricorso di alcuni poliziotti condannati per i gravissimi fatti del 2001. In pieno accordo con la giustizia italiana
Sono passati 20 anni dal G8 di Genova e dai gravissimi fatti che tennero sospeso per giorni lo stato di diritto in Italia. Su quelle vicende la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha praticamente detto la parola definitiva, rigettando come “irricevibili” i ricorsi presentati da alcuni poliziotti che erano stati condannati per la famigerata irruzione nella scuola Diaz. Le accuse dei ricorrenti, dicono i giudici di Strasburgo, sono “manifestamente infondate” e il ricorso è “irricevibile”. Nella sostanza la Corte sentenzia che non c’è nulla da aggiungere ai tre gradi di giudizio emessi dalle corti italiane per i gravissimi pestaggi alla Diaz (ma parlare di pestaggio è un eufemismo).
I pubblici ministeri di Genova avevano chiesto 76 anni in tutto. Le vittime nulla avevano a che fare con i black bloc che invece avevano messo a ferro e fuoco la città e fatto sfuggire di mano la situazione alle forze dell’ordine. Questi poveracci, dopo il pestaggio indiscriminato, vennero poi trasferiti nella caserma di Bolzaneto, dove furono sottoposti a torture fisiche e psicologiche. Un film che dà l’idea di quel che è accaduto è senz’altro il film Diaz di Daniele Vicari. La decisione di non riaprire il caso da parte della Cedu è logica e coerente poiché la Corte europea si era già pronunciata sui fatti di Genova, definendo il blitz notturno nella scuola “punitivo, vendicativo e diretto all’umiliazione e alla sofferenza fisica e mentale delle vittime”.
I fatti della Diaz, consumati tra il 19 e il 21 luglio 2001, hanno segnato un’altra notte della Repubblica, un vero e proprio trauma in cui sono state soppresse le garanzie costituzionali. Anche se nei tempi lunghi l’Italia ha dimostrato di avere gli anticorpi di uno stato di diritto, grazie alla garanzia della suddivisione dei poteri e all’azione inflessibile della magistratura e degli altri corpi di polizia giudiziaria. Non è stato un percorso facile. Ci sono stati anni di insabbiamenti, depistaggi, dichiarazioni fuorvianti, omertà e reticenze anche da parte delle figuri apicali delle forze dell’ordine. Qualcuno ha pagato, altri no. Non dobbiamo nemmeno dimenticare che dopo il dramma di Bolzaneto la tortura è tornata a essere reato in Italia (con pene molto severe che vanno dai quattro ai dieci anni di reclusione se sono commessi da un pubblico ufficiale).
Il giudizio su quei fatti dunque è chiuso per sempre, riaffermando ancora una volta le norme imprescindibili di uno Stato che tutela i diritti umani, punisce ogni prevaricazione da parte delle forze dell’ordine e sancisce la sacra tutela di ogni imputato quando perde provvisoriamente la sua libertà personale. Ma la sospensione dei diritti civili e umanitari non è una faccenda cancellata per sempre, occorre vigilare sempre. I fatti inquietanti di Santa Maria Capua Vetere sono lì a dimostrarlo.
A 20 anni di distanza la Corte europea dei diritti dell’uomo rigetta il ricorso di alcuni poliziotti condannati per i gravissimi fatti del 2001. In pieno accordo con la giustizia italiana