Il nodo della questione degli idrocarburi transcaspici è geopolitica pura: possono Kirghizistan e Azerbaijan contendere a Mosca lo scettro di principale fornitore europeo di gas?
Il nodo della questione degli idrocarburi transcaspici è geopolitica pura: possono Kirghizistan e Azerbaijan contendere a Mosca lo scettro di principale fornitore europeo di gas?
La cronaca internazionale a volte mette di fronte a fatti apparentemente lontani tra loro ma che, come nei romanzi con una trama ben strutturata, portano verso un’unica conclusione. Si tratta di un’eventualità che di recente si è concretizzata, grazie a due notizie: la prima è l’arresto del dissidente russo Alexey Navalny, a cui il Parlamento europeo ha risposto minacciando varie sanzioni, compreso il congelamento del progetto di costruzione del gasdotto Nord Stream 2.
Quest’ultimo, qualora concluso, consentirebbe a Mosca di raddoppiare gli attuali 55 miliardi di metri cubi di gas naturale inviati ogni anno in Germania attraverso il Nord Stream, rafforzando ancora di più il ruolo della Russia come principale fornitore di energia al continente europeo. A inizio aprile è stato annunciato il completamento del 95% del gasdotto, con soli 120 km di condotta che attendono ancora di essere posati. I lavori erano stati sospesi alla fine del 2019, a causa delle sanzioni Usa nei confronti della Russia, prima di riprendere a dicembre dello scorso anno. Le ombre che aleggiano sull’opera, fortemente voluta da Berlino, si sono ulteriormente addensate dopo le parole del nuovo Presidente Usa, Biden, che a metà marzo ha definito Putin “un killer”, legando tale definizione alle presunte interferenze elettorali russe. Per quanto questa così netta presa di posizione sia legata soprattutto alla necessità del successore di Donald Trump di prendere le distanze dalla precedente amministrazione, è innegabile come sia indicativa, allo stesso tempo, della volontà di Biden di colpire il Cremlino anche sul fronte commerciale. Un fronte che, parlando di Russia, fa rima con energia.
La seconda notizia cui si faceva riferimento all’inizio non è però quella relativa alle forti affermazioni del nuovo inquilino della Casa Bianca, ma è bensì legata a quanto successo a fine gennaio sulle rive del Mar Caspio. Azerbaijan e Turkmenistan, due dei cinque Paesi rivieraschi, hanno infatti siglato un accordo preliminare per lo sfruttamento congiunto di un giacimento di idrocarburi nel bacino, oggetto di contesa da decenni. Quest’intesa è stata resa possibile da un altro accordo, concluso nell’agosto 2018, che ha visto protagonisti anche gli altri tre attori caspici, la Russia, l’Iran e il Kazakistan, finalmente allineati sulla demarcazione del Mar Caspio e sull’utilizzo delle ingentissimente riserve energetiche in esso contenute. Tornando alla fine di gennaio di quest’anno, il compromesso raggiunto da Baku e Ashgabat è molto significativo, al di là dell’importanza in sé del giacimento, per i potenziali effetti positivi sulla vicenda del gasdotto Transcaspico. Di quest’ultimo si parla ormai da quasi trent’anni, al punto da essere stato per lungo tempo considerato da molti osservatori poco più che una chimera. Miraggio o meno, qualora realizzato consentirebbe al Turkmenistan di contribuire sensibilimente con la sua straordinaria dotazione di gas naturale – la quarta al mondo – al soddisfacimento del fabbisogno europeo. Proprio l’intesa siglata tra Azerbaigian e Turkmenistan, per quanto ovviamente non ancora risolutiva, è stata da più parti salutata come un potenziale punto di svolta per la vicenda caspica.
Svolta che, qualora confermata, interesserebbe da vicino anche l’Italia. Il gas turkmeno, infatti, attraverso il gasdotto Transcaspico si unirebbe a quello azero che attualmente alimenta il Trans Adriatic Pipeline (TAP), condotta appena inaugurata che arriva in Europa passando per l’Italia. La capacità massima attuale del TAP è pari a 10 miliardi di metri cubi all’anno, di cui 8 destinati all’Italia e il resto ad altri Paesi europei, quota che potrebbe essere sensibilmente aumentata con l’apporto turkmeno. Qualora ciò avvenisse, l’Italia vedrebbe consolidato il suo nascente ruolo di hub energetico meridionale e l’Europa riuscirebbe a mandare un altro importante messaggio alla Russia: grazie a un ulteriore rafforzamento del TAP i Paesi consumatori sarebbero, infatti, in grado di incrementare ancora di più il loro peso negoziale nei confronti del Cremlino.
Le ricadute geopolitiche complessive sarebbero quindi difficilmente sovrastimabili. Ma l’auspicabilità dell’opera non è sufficiente a far sparire i numerosi ostacoli che intralciano la strada verso la realizzazione del gasdotto Transcaspico. Innanzitutto, nonostante la loro importanza simbolica, non è detto che il caso Navalny e le parole di Biden portino a un effettivo blocco del progetto Nord Stream 2. Troppe volte abbiamo assistito a casi di indignazione politica o sociale che non sono poi sfociati in concrete prese di posizione di tipo commerciale o infrastrutturale. In un mondo in cui l’interdipendenza economica è così profonda, la prudenza la fa da padrona.
In ogni caso, anche volendo ipotizzare uno scenario in cui il Nord Stream 2 venisse davvero accantonato, la via attraverso il Mar Caspio non avrebbe vita più facile. Numerose difficoltà di vario tipo rimangono, infatti, irrisolte, siano esse di natura economica, giuridica o geopolitica.
Sul fronte economico, il corridoio energetico meridionale rappresenta sicuramente un vantaggio per il Sud Europa – soprattutto Grecia e attori balcanici – ma non è al momento in grado di rappresentare una conveniente alternativa al gas russo per Paesi come Francia e Germania, e parzialmente l’Italia, per i quali le importazioni dalla Russia rappresentano ancora la via economicamente più vantaggiosa. E questo rimarrebbe vero anche qualora il Turkmenistan riuscisse davvero a contribuire ad alimentarlo. Sul fronte giuridico, molti dubbi rimangono sull’effettiva capacità dei paesi che affacciano sul Mar Caspio di non tornare a scontrarsi come nel recente passato, mettendosi reciprocamente i bastoni tra le ruote.
Il vero nodo della questione è però geopolitico: la Russia ha tutto l’interesse a mantenere il proprio ruolo di principale esportatore verso l’Europa – nel 2020 ha fornito al continente 175 miliardi di metri cubi di gas naturale. Mosca non ha potuto evitare il colpo rappresentato dall’entrata in funzione del TAP e dall’arrivo del gas azero in Puglia; ma un eventuale afflusso di idrocarburi turkmeni verso ovest troverebbe sulla sua strada la netta opposizione del Cremlino, considerando anche che il Turkmenistan è uno dei paesi del cosiddetto “cortile di casa” della Russia e avrebbe le mani legate qualora quest’ultima decidesse di impedire la realizzazione del gasdotto Transcaspico. Mosca ha, infatti, già dovuto accettare, suo malgrado, l’entrata in scena della Cina nel panorama energetico centro-asiatico – il Turkmenistan esporta il proprio gas quasi solamente verso la Repubblica popolare – ma quello europeo è un fronte su cui non sono ammesse intrusioni.
Come si è visto, molti sono i fattori che possono far pensare, a ragione, che il gasdotto Transcaspico sia destinato a rimanere un progetto buono solo per la propaganda e i sogni geopolitici. D’altro canto, è innegabile come il 2021 sia iniziato col piede giusto sul fronte orientale. Quello energetico è forse l’ambito strategico in cui si sono registrati i maggiori colpi di scena degli ultimi anni, basti pensare alla scossa tellurica assestata al settore dalla tecnica della fratturazione idraulica, che ha consentito agli Stati Uniti di diventare un paese esportatore di energia. Immaginare un’Europa meno dipendente dalla Russia sul fronte energetico è quindi sicuramente un azzardo, ma nel mondo degli idrocarburi tutto è possibile.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
Il nodo della questione degli idrocarburi transcaspici è geopolitica pura: possono Kirghizistan e Azerbaijan contendere a Mosca lo scettro di principale fornitore europeo di gas?
La cronaca internazionale a volte mette di fronte a fatti apparentemente lontani tra loro ma che, come nei romanzi con una trama ben strutturata, portano verso un’unica conclusione. Si tratta di un’eventualità che di recente si è concretizzata, grazie a due notizie: la prima è l’arresto del dissidente russo Alexey Navalny, a cui il Parlamento europeo ha risposto minacciando varie sanzioni, compreso il congelamento del progetto di costruzione del gasdotto Nord Stream 2.
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