Gli Stati europei si sono posizionati in maniera quasi unanime al fianco di Israele, con la sola Spagna che ha criticato apertamente l’oppressione portata avanti dallo stato ebraico verso il popolo palestinese e le violazioni del diritto internazionale.
A Berlino e a Parigi, manifestare per la causa palestinese è estremamente complicato, a volte addirittura vietato. E non importa se chi scende in strada supporta Hamas, chiede la fine delle ostilità o domanda semplicemente che vengano rispettati i diritti del popolo arabo. Nella capitale tedesca sono state proibite tutte le proteste che riguardano la Palestina e anche in Francia era stato fatto lo stesso, prima che il Consiglio di stato rivedesse parzialmente la decisione del governo.
Sin dall’inizio delle ostilità, gli stati europei si sono posizionati in maniera quasi unanime al fianco di Israele, con la sola Spagna che ha criticato apertamente l’oppressione portata avanti dallo stato ebraico verso il popolo palestinese e le violazioni del diritto internazionale. Ma la risposta tedesca è stata ancora più convinta rispetto a quella degli altri Paesi dell’Unione. Il Cancelliere Olaf Scholz ha reagito agli attacchi di Hamas e ai bombardamenti israeliani su Gaza dichiarando che l’unica posizione possibile per la Germania è “al fianco di Israele”, esprimendo una linea condivisa da tutti i partiti politici. Ha poi aggiunto che “la sicurezza di Israele rappresenta una ragione di stato per la Germania”, riprendendo un’espressione usata da Angela Merkel nel 2008, in occasione di una visita alla Knesset.
L’intera reazione tedesca a quanto sta succedendo in Medio Oriente può essere interpretata soltanto partendo da questa considerazione, dal fatto che Berlino si senta in qualche modo un garante dell’esistenza dello stato ebraico. Il fatto è facilmente spiegabile, se si guarda alla storia: Israele è stato creato nel 1948, appena tre anni dopo la fine del regime hitleriano. E, come sottolinea la testata tedesca Deutsche Welle, “nonostante il movimento sionista sia nato prima del nazismo, l’olocausto ha rappresentato l’evidenza più sconvolgente a supporto della pretesa che solo la sovranità ebraica, nella forma di uno stato, potesse proteggere gli ebrei”.
Dalla fine del secondo conflitto mondiale ad oggi, la Germania ha visto quindi nella protezione di Israele il modo per mostrare al mondo di essere memore dei propri errori. Ma lo ha fatto spesso a scapito della causa palestinese. A differenza di quanto accaduto in Italia e in altri Paesi europei, ad esempio, il centro-sinistra tedesco non si è mai schierato con forza a favore del riconoscimento della Palestina. I media, poi, sono stati riluttanti nell’attaccare Israele per le occupazioni contrarie al diritto internazionale e per gli abusi ai danni della popolazione araba: basta un semplice sguardo alla stampa tedesca in questi giorni di tensioni per vedere quanto rari siano gli articoli che addossano su Israele parte delle colpe per quanto sta accadendo.
Infine, scottata dal nazismo, la Germania ha usato in maniera massiccia le accuse di antisemitismo: non di rado l’opposizione allo stato ebraico è stata confusa con una generica ostilità verso la religione, come denunciava alcuni mesi fa su Al Jazeera l’attivista Majed Abusalama, e le posizioni filo-palestinesi sono state descritte come “contrarie ai valori tedeschi”. I divieti di manifestare di questi giorni non rappresentano quindi una novità e sono in linea con l’approccio di Berlino alla questione israelo-palestinese.
Totalmente diversa è invece la situazione in Francia. Qui, a differenza che in Germania, le forze politiche hanno reagito in maniera tutt’altro che coesa. Fuori dal coro si è alzata la voce di Jean-Luc Mélenchon, che non ha voluto bollare gli attacchi di Hamas come terroristi: il leader del partito di sinistra si è limitato a dichiarare come “la violenza scatenata contro Israele e Gaza dimostra solo una cosa: la violenza genera altra violenza”.
Nonostante le divisioni politiche, e anzi forse proprio a causa di queste, Parigi ha deciso di procedere con il pugno di ferro verso le manifestazioni filo-palestinesi: giovedì 12 ottobre il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha deciso di vietarle, in quanto possibili cause di disturbo all’ordine pubblico.
I motivi che hanno portato a questa scelta sono vari. Politici, innanzitutto: la mossa del governo isola l’estrema sinistra e rischia di rompere l’alleanza tra Mélenchon, i Verdi e i Socialisti. L’esecutivo ha poi spiegato la scelta con la necessità di proteggere la comunità ebraica, molto numerosa in Francia, sottolineando come nei primi giorni successivi agli attacchi di Hamas si siano registrate oltre cento azioni antisemite nel Paese.
Soprattutto, però, Parigi teme l’esplosione delle proprie periferie e della comunità araba che ci vive, la più numerosa in Europa. Ad essere guardata con timore è la possibilità che il riemergere della conflittualità in Medio Oriente rappresenti una scintilla capace di accendere le comunità arabe che vivono in Francia e le porti a sollevarsi con violenza, come già accaduto nei mesi estivi dopo l’uccisione di un adolescente da parte della polizia. Inoltre, come spiegato su Limes, i servizi di intelligence francesi sono in stato di massima allerta e temono che il Paese possa essere attraversato da attacchi islamisti.
A Berlino e a Parigi, manifestare per la causa palestinese è estremamente complicato, a volte addirittura vietato. E non importa se chi scende in strada supporta Hamas, chiede la fine delle ostilità o domanda semplicemente che vengano rispettati i diritti del popolo arabo. Nella capitale tedesca sono state proibite tutte le proteste che riguardano la Palestina e anche in Francia era stato fatto lo stesso, prima che il Consiglio di stato rivedesse parzialmente la decisione del governo.
Sin dall’inizio delle ostilità, gli stati europei si sono posizionati in maniera quasi unanime al fianco di Israele, con la sola Spagna che ha criticato apertamente l’oppressione portata avanti dallo stato ebraico verso il popolo palestinese e le violazioni del diritto internazionale. Ma la risposta tedesca è stata ancora più convinta rispetto a quella degli altri Paesi dell’Unione. Il Cancelliere Olaf Scholz ha reagito agli attacchi di Hamas e ai bombardamenti israeliani su Gaza dichiarando che l’unica posizione possibile per la Germania è “al fianco di Israele”, esprimendo una linea condivisa da tutti i partiti politici. Ha poi aggiunto che “la sicurezza di Israele rappresenta una ragione di stato per la Germania”, riprendendo un’espressione usata da Angela Merkel nel 2008, in occasione di una visita alla Knesset.