Gli Stati Uniti non invieranno delegazioni diplomatiche ai Giochi olimpici e potrebbero essere seguiti da Giappone, Australia e Nuova Zelanda. Pesano le accuse di crimini contro l’umanità nello Xinjiang e altri abusi dei diritti umani
Gli Stati Uniti non invieranno delegazioni diplomatiche o rappresentanti di Washington alle Olimpiadi Invernali di Pechino. L’annuncio, dato nei giorni scorsi, è motivato sulla base del “genocidio in corso e dei crimini contro l’umanità nello Xinjiang e a causa degli altri abusi dei diritti umani”. Il messaggio rivolto al Partito comunista cinese è durissimo e rischia di avere un effetto a catena su altri Paesi alleati degli Stati Uniti, come il Giappone, l’Australia e la Nuova Zelanda, che valutano il da farsi.
Per quanto la scelta dell’amministrazione Biden sia puramente simbolica, non impattando direttamente, ad esempio, sulla partecipazione degli atleti ai giochi del 2022, lo sgarbo nei confronti della Cina non è passato inosservato. Zhao Lijian, portavoce del Ministero degli Esteri, ha commentato: “È un problema degli americani se non vogliono partecipare con i loro funzionari ai giochi di Pechino per supportare i loro atleti”. Si valutano le contromisure, ma la non partecipazione ai giochi del personale statunitense potrebbe risultare insignificante se si considera che la Cina, diversamente dalle Olimpiadi del 2008, parte da uno standing internazionale differente.
All’epoca, il Paese cercava l’attenzione del mondo, desiderosa di dimostrare le sue capacità e la sua forza alla comunità internazionale. Questi dati sono oggi scontati, fatto che in prospettiva inserisce i giochi del 2022 in un’ottica ben diversa per la governance cinese. Allo stesso tempo, fa riflettere come negli ultimi 14 anni si siano andati a modificare equilibri e rapporti di forza, con cambiamenti epocali — in qualche modo immaginabili — in corso d’opera e un confronto sempre più acceso e diretto tra Washington e Pechino proprio in Asia.
La questione uigura rimane al centro delle preoccupazioni occidentali. I rapporti tra l’Unione europea e la Cina si sono incagliati proprio sulla gestione dei diritti umani della minoranza musulmana nella regione cinese, con il Cai — Comprehensive Agreement on Investment — congelato a data da destinarsi, dopo le misure prese contro alcuni funzionari cinesi ritenuti da Bruxelles colpevoli della violazione di human rights. Lo scorso anno l’Ue si dotò di un nuovo strumento, il Regime Sanzionatorio Globale sui Diritti Umani, proprio per far fronte a tali specifiche.
Ma alle Olimpiadi di Pechino potrebbero mancare anche i funzionari di Australia, Nuova Zelanda e Giappone. Scott Morrison, Primo Ministro di Canberra, ha detto chiaramente che si sta valutando una mossa simile a quella di Washington: fonti in Australia parlano di ragionamento sul linguaggio da utilizzare. Si pensa ad una formula legata alle misure sanitarie per il Covid-19. Wellington ha fatto sapere che non manderà nessuna rappresentanza diplomatica a livello ministeriale, principalmente “per questioni legate al Coronavirus”.
Per quanto la scelta dell’amministrazione Biden sia puramente simbolica, non impattando direttamente, ad esempio, sulla partecipazione degli atleti ai giochi del 2022, lo sgarbo nei confronti della Cina non è passato inosservato. Zhao Lijian, portavoce del Ministero degli Esteri, ha commentato: “È un problema degli americani se non vogliono partecipare con i loro funzionari ai giochi di Pechino per supportare i loro atleti”. Si valutano le contromisure, ma la non partecipazione ai giochi del personale statunitense potrebbe risultare insignificante se si considera che la Cina, diversamente dalle Olimpiadi del 2008, parte da uno standing internazionale differente.