La guerra dei semiconduttori tra Stati Uniti e Cina rappresenta un campanello d’allarme per l'Ue, che deve cercare di ottenere l'autonomia strategica pur restando aperta
La guerra dei semiconduttori tra Stati Uniti e Cina rappresenta un campanello d’allarme per l’Ue, che deve cercare di ottenere l’autonomia strategica pur restando aperta
Negli ultimi anni lo scontro tra Stati Uniti e Cina si è più esplicitamente spostato dal commercio alla tecnologia. La trade war aperta nel luglio 2018 da Donald Trump per riequilibrare la bilancia degli scambi con Pechino ha in realtà sempre avuto sullo sfondo l’intenzione americana di colpire l’ascesa tecnologica cinese. Ma la “guerra a Huawei” sulle reti 5G prima e l’insistenza sul decoupling (il “disaccoppiamento” delle due economie) poi hanno reso evidente il vero nocciolo della competizione tra le due superpotenze.
Le filiere dei semiconduttori, in particolare – i microchip montati sugli smartphone, sulle automobili e sui missili balistici, tra le altre applicazioni –, hanno subito forti pressioni. Washington, consapevole dello svantaggio cinese in questo settore, ha imposto tutta una serie di misure per cercare di impedire a Pechino di accedere a dei componenti fondamentali per lo sviluppo del 5G e dell’intelligenza artificiale. In risposta, la Cina ha intensificato gli sforzi per rafforzare la sua industria e raggiungere l’autosufficienza.
L’importanza dei semiconduttori
L’Unione europea vuole essere più “geopolitica” e intende perseguire l’autonomia strategica: non lasciarsi cioè coinvolgere nello scontro tra America e Cina, non dipendere dalle due superpotenze nei settori più delicati per la sicurezza nazionale e sviluppare l’industria domestica. Due aree in cui l’Europa dovrebbe diventare “sovrana” sono appunto il digitale e la tecnologia.
Secondo un recente rapporto del think tank francese Institut Montaigne, la “guerra dei semiconduttori” tra America e Cina rappresenta un po’ un campanello d’allarme per Bruxelles, che dovrebbe definire al più presto una strategia per sostenere il settore e garantire la sicurezza dei relativi approvvigionamenti e della catena del valore.
I semiconduttori, si accennava, sono componenti tecnologici particolarmente importanti per via del loro utilizzo in settori strategici come la difesa e le telecomunicazioni, e più in generale in tutti quei contesti (produttivi e non) che saranno toccati dalla rivoluzione del 5G. L’industria dei semiconduttori è altamente concentrata a livello globale, con pochi attori di grande peso: gli Stati Uniti, Taiwan e la Corea del sud, innanzitutto. Stando ai dati diffusi dalla Semiconductor Industry Association, nel 2019 la quota dell’intera Europa nel mercato globale dei semiconduttori era del 10 per cento; quelle degli Stati Uniti e della Corea del sud erano rispettivamente del 47 e del 19%. La piccola repubblica di Taiwan detiene una fetta del 6%.
Ricapitolando: stiamo parlando di componenti cruciali per l’economia, la cui progettazione e produzione è nelle mani di una manciata di grossi player e che si trovano al centro della competizione tra America e Cina per il primato tecnologico.
Cosa può fare l’Europa
A luglio dell’anno scorso il Commissario europeo per il Mercato interno Thierry Bretondisse chiaramente che l’Ue non potrà raggiungere la sovranità digitale se non si renderà autonoma sulla microelettronica. Al momento l’Europa rappresenta meno del 10% della produzione mondiale di microchip, ma cinque anni fa valeva il 6%. L’obiettivo di Bruxelles è arrivare al 20% grazie a investimenti “massicci” nella realizzazione di microprocessori ad alte performance.
L’Europa potrebbe puntare sulla litografia ultravioletta estrema (Euv), che permette di realizzare circuiti su scale ridottissime – 7 nanometri –, considerata la tendenza alla miniaturizzazione sempre maggiore dei semiconduttori. La Euv è una tecnologia complessa e dai costi alti, cosa che ha spinto molte aziende ad abbandonarla. Con una sola eccezione: Asml, compagnia con sede nei Paesi Bassi, che detiene il monopolio della vendita di macchinari per questa tecnica di litografia (dal costo di circa 120-170 milioni di dollari l’uno).
Visto il valore strategico, gli Stati Uniti hanno fatto pressioni sul Governo nederlandese per bloccare la vendita di macchine Asml ad aziende cinesi. Mathieu Duchâtel, direttore del Programma Asia dell’Institut Montaigne e autore del rapporto, pensa che le tecnologie Euv non dovrebbero essere esportate in Cina.
Nel paper Duchâtel scrive che l’Europa si trova “al crocevia tra due forze”: da una parte gli Stati Uniti con il loro approccio restrittivo al trasferimento di tecnologie e dall’altra la Cina con le sue pratiche per l’acquisizione di proprietà intellettuali straniere. La guerra tecnologica ha fatto emergere le vulnerabilità della filiera dei semiconduttori: chi ne controlla i “nodi” principali, i chokepoint – specie per quanto riguarda la progettazione e la fabbricazione –, possiede un grande vantaggio strategico. Pertanto, “l’Europa deve lavorare per ridurre le possibili minacce future al suo accesso alla tecnologia e anticipare i rischi geopolitici che potrebbero intaccare la sua resilienza strategica”.
Oltre che sulle tecnologie Euv, l’Unione europea dovrebbe concentrarsi anche sui software di electronic design automation (Eda) per la progettazione di circuiti elettronici. Al momento il mercato per questo tipo di strumenti è controllato al 90% da aziende americane; l’unica eccezione europea è rappresentata dalla tedesca Siemens. La fase di fabbricazione dei semiconduttori è ugualmente molto concentrata: una sola società, la taiwanese Tsmc, detiene quasi il 50% del mercato. L’azienda rivale è sudcoreana, Samsung.
Per marzo o aprile la Commissione europea ha intenzione di lanciare una “alleanza” di aziende, istituti di ricerca e Governi nazionali per raccogliere investimenti e definire progetti per lo sviluppo e la produzione di microchip. A dicembre un gruppo di diciotto Stati membri dell’Unione – inclusa l’Italia – ha firmato una dichiarazione congiunta in merito allo sviluppo dell’industria e della filiera dei semiconduttori nel continente. Nel commentare l’iniziativa, il Commissario Breton ha detto che “l’Europa ha tutto quello che serve per diversificare e ridurre le dipendenze critiche, pur rimanendo aperta”.
La guerra dei semiconduttori tra Stati Uniti e Cina rappresenta un campanello d’allarme per l’Ue, che deve cercare di ottenere l’autonomia strategica pur restando aperta
Negli ultimi anni lo scontro tra Stati Uniti e Cina si è più esplicitamente spostato dal commercio alla tecnologia. La trade war aperta nel luglio 2018 da Donald Trump per riequilibrare la bilancia degli scambi con Pechino ha in realtà sempre avuto sullo sfondo l’intenzione americana di colpire l’ascesa tecnologica cinese. Ma la “guerra a Huawei” sulle reti 5G prima e l’insistenza sul decoupling (il “disaccoppiamento” delle due economie) poi hanno reso evidente il vero nocciolo della competizione tra le due superpotenze.
Questo contenuto è riservato agli abbonati
Abbonati per un anno a tutti i contenuti
del sito e all'edizione cartacea + digitale della rivista di
geopolitica