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Ucraina, questa guerra fa male


Il conflitto russo-ucraino mette in questione alcuni pilastri fondamentali del modello europeo, del nostro benessere e del nostro sviluppo: sicurezza, stabilità e cooperazione continentale

Se è vero che ogni crisi presenta una opportunità, lo è anche perché i momenti di crisi sono spesso momenti di introspezione e di analisi, a cui si giunge una volta superata la prima ondata emotiva relativa all’evento traumatico che si è prodotto e si comincia a ragionare sulle varie sfaccettature della vicenda che ha travolto l’ordinario svolgersi delle cose. In questo senso la guerra ucraina non è diversa dalle altre crisi che hanno investito il pianeta in quel susseguirsi di conflitti che hanno insanguinato varie parti del mondo negli ultimi quarant’anni. Guerra che, a differenza di molte altre alle quali è stata generalmente concessa una attenzione tra l’episodico e il distaccato, ha coinvolto come non mai l’Europa intera, con una partecipazione profonda e appassionata di pressoché tutta l’opinione pubblica italiana ed europea, la cui prossimità geografica al conflitto non basta a spiegare una partecipazione ideale così intensa allo svolgersi degli eventi. La guerra nei Balcani, ad esempio, è stato un conflitto centrale all’Europa, che per di più ha visto l’intervento diretto delle Forze Armate di vari Paesi, Italia in testa, e un rilevante impegno Nato, Ue e Onu. Seppure la guerra balcanica, o meglio sarebbe dire le guerre balcaniche, siano state seguite con attenzione dalle opinioni pubbliche, la sua intensità non è paragonabile all’emozione e all’interesse con la quale l’Europa sta invece seguendo il conflitto ucraino.

La distanza geografica non è quindi un fattore che ricopre una influenza decisiva. Né lo è la maggiore copertura mediatica consentita dal progresso tecnologico che ha stravolto l’ambiente nel quale si svolgono le attività umane, consentendo di seguire in tempo reale ogni minima evoluzione della situazione sul terreno e nel gioco politico-diplomatico. Rispetto agli anni ‘90 sono comparsi i social media, che hanno rivoluzionato il panorama informativo mondiale e iniettato una immediatezza e una articolazione nell’informazione, così come nei messaggi veicolati dagli uni e dagli altri, che consentono di farsi un quadro tempestivo e approfondito, in ogni momento, a chiunque vi ricorra. Ma ciò è vero a tutto tondo, dal conflitto in Congo a quelli in Sudamerica, all’Iraq, alla Siria e all’Ucraina. Per i social media le guerre sono tutti uguali e sono tutte oggetto della stessa esposizione mediatica o quasi. Basta affacciarsi su Twitter per mezz’ora, cercare un conflitto qualsiasi e si trovano notizie e analisi in quantità. Non è quindi nemmeno l’esposizione mediatica a fare la differenza, specie tenendo conto del fatto che la percentuale di coloro che si informano sui social rispetto ai media tradizionali è in ascesa vertiginosa. Secondo una ricerca svolta l’anno scorso dal prestigioso PEW Research Center, oltre l’86% degli americani si informa regolarmente sugli avvenimenti nazionali e internazionali da smartphone, tablet e computer contro il 40% che ricorre alla televisione e il 32% alla carta stampata. Similmente i dati europei mostrano che, secondo Eurostat, il 72% degli europei si informa online, e di questi la maggioranza ricorre a Twitter. Le altre percentuali, pur non del tutto omogenee, sono in proporzione a quelle americane.

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