La situazione si aggrava a poche settimane dalle elezioni generali del 28 novembre. Non solo crisi sociale: la dirigenza politica è formalmente accusata di narcotraffico
Lo Stato centroamericano si appresta ad andare alle urne in mezzo a una fenomenale crisi sociale e una dirigenza politica formalmente accusata di collusione col narcotraffico. Eppure Tegucigalpa è chiave per il disegno geopolitico di Washington nel “Mediterraneo americano”.
Venerdì notte nella tangenziale che cinge il distretto di Choluteca, nel sud dell’Honduras, è stato crivellato il candidato a sindaco del municipio di Santa Ana de Yusguare, Nery Fernando Reyes, del partito Libertà e rifondazione (Libre). Secondo l’Osservatorio della Violenza dell’Università Nazionale Autonoma dell’Honduras (Unah), si tratta del ventitreesimo dirigente politico assassinato nel Paese nel 2021, un saldo che cresce in prossimità delle elezioni generali del 28 novembre.
L’Honduras è un Paese in crisi.
La povertà ha raggiunto il 70% del totale della popolazione durante l’ultimo anno. In buona parte questo aumento spropositato è dovuto agli effetti della pandemia e le catastrofi naturali, come gli uragani Eta e Iota che hanno colpito duramente la Valle del Sula, zona che produce due terzi del Pil nazionale. Ma la mancanza di investimenti e di iniziative per la promozione dello sviluppo sono endemiche da anni. Secondo l’Onu, 1,3 milioni di honduregni hanno bisogno attualmente di assistenza umanitaria, e altri 800.000 hanno lasciato il proprio paese per emigrare verso il Messico e gli Usa. Si tratta del quinto Paese al mondo con il più alto tasso di omicidi, e uno degli hub più importanti del continente per il narcotraffico e l’attività del crimine organizzato.
Un “narco-Stato”
L’Honduras è l’epicentro del traffico di cocaina in Centroamerica. Secondo il dipartimento di Stato Usa, attraverso il Paese sono passate 120 tonnellate di coca nel 2019. È il principale punto di atterraggio per il rifornimento dei voli che dal Sudamerica riforniscono i cartelli che fanno affari negli Stati Uniti, un business che compete in quanto a introiti con la produzione di maglioni e camicie, principale prodotto di esportazione del Paese.
Proprio il ruolo del narcotraffico nel futuro del Paese è oggi al centro del dibattito in vista delle elezioni di novembre. L’intera struttura istituzionale honduregna è oggi sotto accusa di collaborare con i cartelli locali e internazionali. In special modo il tradizionalissimo Partido Nacional, oggi al Governo con Juan Orlando Hernández, Presidente dal 2014, è sospettato di mantenere forti legami con la malavita locale. Ritornato al potere dopo il golpe militare del 2009 contro Manuel Zelaya, accusato di voler condurre il Paese a una alleanza con il Venezuela di Hugo Chávez, i leader del Partido Nacional sono successivamente apparsi nei dossier della Drug Enforcement Administration a partire dalle dichiarazioni dei principali capi dei cartelli centroamericani. Fabio Lobo, figlio dell’ex Presidente Porfirio Lobo (2010-2014) è stato condannato a 24 anni per narcotraffico a New York. Juan Antonio “Tony” Hernández, fratello dell’attuale Presidente, è stato condannato all’ergastolo nel 2021 per lo stesso delitto, e la procura di New York ha aperto ufficialmente un’indagine anche contro l’attuale Presidente. Gli inquirenti sostengono che Lobo ed Hernandez hanno utilizzato gli strumenti e le forze a disposizione dello Stato honduregno per garantire la sicurezza dei traffici di stupefacenti verso gli Stati Uniti, aprendo anche un ampio ventaglio di ipotesi intorno alla complicità delle forze armate e altri funzionari dell’Honduras, che i procuratori dell’accusa definiscono nella loro deposizione addirittura un “narco-Stato”.
Un socio scomodo
Nonostante la pioggia di accuse contro il Presidente honduregno provenienti proprio dalla magistratura statunitense, Washington ha fatto di Tegucigalpa uno dei suoi più ferrei alleati nella lotta al narcotraffico nella regione. L’Honduras è il Paese col maggior numero di militari statunitensi dispiegati in America Latina, dopo Cuba e Porto Rico, e uno dei principali destinatari della cooperazione in Centro America, che ammonta a circa 4 miliardi di dollari tra fondi stanziati e promessi dall’amministrazione Biden. Durante il Governo Trump, però, i Paesi del Triangolo Nord (Honduras, El Salvador e Nicaragua) hanno sofferto un taglio netto degli aiuti elargiti da Washington a modo di rappresaglia per l’aumento dei flussi migratori provenienti da quei Paesi a partire dal 2018. L’ex Presidente Usa ha anche tolto all’Honduras il beneficio dello status di Protezione Temporale (Tps), che dopo la tragedia provocata dall’uragano Mitch nel 1998 garantisce agli honduregni un accesso più rapido ai permessi di soggiorno temporanei negli Stati Uniti. Per l’Honduras la sospensione del Tps, ancora al centro di un lungo caso giudiziario, significherebbe un duro colpo anche dal punto di vista economico: le rimesse dei migranti rappresentano circa il 23,5% del Pil honduregno.
Col nuovo Governo insediatosi alla Casa Bianca la distensione però non è stata quella che Hernandez si attendeva. Il dipartimento di Stato ha pubblicato quest’anno i nomi di diversi funzionari honduregni accusati di corruzione, sei a maggio, nella Lista Torres, e altri 21 a luglio nella Lista Engels che include anche l’ex Presidente Lobos. In questo contesto, le elezioni in Honduras apriranno probabilmente un nuovo capitolo dell’impegno geopolitico statunitense nella regione. I sondaggi favoriscono ancora una volta il Partido Nacional, che presenta l’attuale sindaco di Tegucigalpa, Nasry Asfura, soprannominato “Papi agli ordini”, e accusato di riciclaggio e appropriazione indebita di circa un milione di dollari.
La principale candidata dell’opposizione, Xiomara Castro, ha recentemente assicurato che in caso di vittoria romperà la storica relazione che unisce il Paese a Taiwan per avvicinarsi invece a Pechino, ormai rivale di spicco per l’egemonia Usa in tutta l’America Latina. Washington non ha ancora fatto trapelare quale sia l’opzione più consona ai suoi piani. Di certo quel che spera dall’Honduras è il rafforzamento delle proprie istituzioni per contenere l’emigrazione, maggior cooperazione nella riduzione del narcotraffico e un impegno a garantire un contrappeso all’indirizzo apertamente ostile assunto dagli altri due Governi del Triangolo Nord Centro Americano: El Salvador di Nayib Bukele, e il Nicaragua di Daniel Ortega.
Lo Stato centroamericano si appresta ad andare alle urne in mezzo a una fenomenale crisi sociale e una dirigenza politica formalmente accusata di collusione col narcotraffico. Eppure Tegucigalpa è chiave per il disegno geopolitico di Washington nel “Mediterraneo americano”.
Venerdì notte nella tangenziale che cinge il distretto di Choluteca, nel sud dell’Honduras, è stato crivellato il candidato a sindaco del municipio di Santa Ana de Yusguare, Nery Fernando Reyes, del partito Libertà e rifondazione (Libre). Secondo l’Osservatorio della Violenza dell’Università Nazionale Autonoma dell’Honduras (Unah), si tratta del ventitreesimo dirigente politico assassinato nel Paese nel 2021, un saldo che cresce in prossimità delle elezioni generali del 28 novembre.