Bagarre in Parlamento. I governatori mollano Milei e affondano la sua “Legge Omnibus”. Senza più sostegno parlamentare, il Presidente insulta gli ex alleati, promette ritorsioni e cerca di ricostruire un blocco ultra-conservatore
Alla fine, la tanto discussa “Legge Omnibus”, la mega-riforma presentata dal presidente Javier Milei che mirava a abrogare o modificare più di 300 leggi per “rifondare” l’Argentina, è stata definitivamente respinta.
A deciderne le sorti sono stati, a sorpresa, i principali alleati del presidente Javier Milei. I blocchi parlamentari di centro e centro-destra, che la settimana scorsa avevano inizialmente approvato il testo, articolo per articolo, del progetto noto come “Legge sulle basi e punti di partenza per la libertà degli argentini”, hanno successivamente rigettato uno per uno tutti i punti cardine della riforma. Quando persino gli articoli che concedevano poteri legislativi al presidente sono stati bocciati, il partito di governo, La Libertad Avanza, ha deciso di ritirare l’intero progetto.
L’atteggiamento del partito libertario nel Congresso durante l’ultimo mese ha mostrato una natura inedita per un partito che ha la responsabilità di amministrare un paese, oscillando tra dilettantismo e arroganza. Più volte i rappresentanti del governo hanno dimostrato di non conoscere nemmeno le regole di funzionamento dell’iter legislativo. E più volte i professionisti della politica, la “casta”, come li ha definiti Milei sin dal suo debutto nell’arena politica, hanno cercato di aiutarli in nome della governabilità, per non spingere nel baratro un presidente che solo tre mesi fa ha ottenuto il 56% dei voti.
I deputati del centrodestra avevano inizialmente dato il loro consenso alla famigerata Legge Omnibus nonostante gli errori colossali (anche di ortografia) con cui era stata presentata dall’estrema destra. Ma al momento del voto dei singoli articoli, i poteri forti, denigrati e insultati dal governo per settimane, hanno deciso di porre un limite a Milei.
La reazione del presidente è sicuramente preoccupante. Da Israele, dove si trovava in visita ufficiale, in una sfilza di tweet nella notte di martedì ha praticamente bombardato qualunque ponte stabilito coi settori che erano fin qui disposti ad accompagnarlo, e di cui ha assoluto bisogno: senza i voti in parlamento la motosega non può nemmeno partire.
Il profilo ufficiale dell’ufficio presidenziale ha persino pubblicato un elenco dei “traditori” che “hanno votato contro il popolo”, evidenziando i deputati che inizialmente avevano promesso di sostenere la proposta del governo ma che poi si sono opposti agli articoli fondamentali della legge. Una “lista nera” che è oggi il centro delle polemiche in Argentina, e che sembrerebbe mostrare quale sia la strada scelta dal governo Milei a soli due mesi dall’inizio del mandato.
Un esempio eloquente dell’atteggiamento ufficiale è emerso dalla ministra “del Capitale Umano”, Sandra Pettovello, che la settimana scorsa ha sfidato i leader dei movimenti sociali che protestavano contro i tagli alle mense popolari nei quartieri più poveri: “Se qualcuno ha fame, che venga direttamente nel mio ufficio e ne parli con me. Non ricevo intermediari”. Tuttavia, il giorno successivo, di fronte a una fila di tre chilometri che si è formata alle porte del ministero, ha rifiutato di ricevere le persone che chiedevano assistenza alimentare, dichiarando ai media: “Non ho convocato nessuno”.
A poche ore dal fallimento della legge cardine del progetto libertario, la deputata di La Libertad Avanza, Rocío Belén Bonacci, ha presentato un progetto per abrogare la legge sull’aborto, depenalizzato in Argentina nel 2020. Tuttavia, dopo la rapida polemica che è esplosa sui social media e sui mezzi di comunicazione, diversi deputati del suo stesso partito, il cui nome appare in calce al progetto, hanno dichiarato di non essere nemmeno a conoscenza della presentazione effettuata dalla Bonacci.
Il progetto, che impone un regime ancor più restrittivo sull’interruzione della gravidanza rispetto alla legge vigente dal 1921 fino alla legalizzazione dell’aborto quattro anni fa, arriva in un momento cruciale. Recentemente, il presidente Milei ha cercato di rafforzare i legami con le chiese evangeliche e cattolica. L’atto di tentare l’abrogazione del diritto all’aborto è interpretato come un gesto utile in vista dell’incontro di Milei con Papa Francesco il prossimo 12 febbraio.
La relazione con il Papa argentino è tesa: dopo averlo definito “il rappresentante del demonio sulla terra”, Milei ha cercato di calmare i toni, nonostante le critiche della chiesa argentina al piano economico del governo. La prossima settimana dovrebbe essere ufficializzata la nomina del nuovo ambasciatore argentino presso la Santa Sede, un lefebvrista ultraconservatore attualmente cappellano in uno dei quartieri benestanti di Buenos Aires. Durante il suo viaggio a Roma sono previsti anche incontri ufficiali con il Primo Ministro Meloni e col Presidente della Repubblica Mattarella.
Anche le chiese pentecostali hanno ricevuto attenzione dal governo nei giorni scorsi: il Ministero del Capitale Umano ha recentemente erogato 170 milioni di pesos a favore di una delle chiese evangeliche impegnate nell’assistenza sociale nella periferia della capitale. L’abrogazione dell’aborto potrebbe quindi contribuire a consolidare un nucleo di sostegno ultraconservatore al progetto di governo. In tal senso va letto anche l’annuncio fatto da Israele di voler portare l’ambasciata argentina da Tel Aviv a Gerusalemme nei prossimi mesi.
Ma la recente bocciatura del mega-progetto di Milei ha messo in luce l’incapacità preoccupante del partito al governo nel gestire un dibattito parlamentare efficace. Con soli 40 deputati su 256, il partito può contare solo sull’appoggio incondizionato di altri 40 legislatori. In queste condizioni, l’unica possibilità di far passare una legge è attraverso le negoziazioni. Tuttavia, in Argentina, questo implica stabilire interlocutori affidabili non solo in Parlamento, ma anche tra i 23 governatori delle province, ai quali molti deputati e senatori rispondono direttamente.
Il dibattito su una delle leggi fondamentali per il progetto libertario è proceduto senza negoziati solidi, senza dialogo, e nel bel mezzo di una repressione selvaggia scatenata dall’esecutivo contro i manifestanti nei pressi del Parlamento e contro i media che seguivano le proteste. A soli 60 giorni dalla sua nomina Milei sembra essersi giocato a colpi di insulti qualsiasi sostegno da parte del potere legislativo, vitale per qualunque modifica dell’assetto economico e istituzionale argentino. Lo spostamento dell’ambasciata argentina a Gerusalemme, ad esempio, dovrá essere approvato da entrambe le camere.
Attualmente, la sopravvivenza del governo di Milei dipende dunque dalla riformulazione e moderazione profonda delle proprie proposte. Un conflitto aperto con l’opposizione e gli ex alleati potrebbe esporlo persino a un impeachment e alla revoca del mandato. Tuttavia, questa situazione non conviene a nessuno in un momento così critico per l’economia e la società argentine, nemmeno all’opposizione peronista, sconquassata dopo la cocente sconfitta alle elezioni del 19 novembre.
Alcuni analisti cominciano a riflettere anche sulla possibilità di una deriva autoritaria, con una possibile sospensione dell’attività parlamentare da parte del presidente per governare tramite decreti. Tuttavia, questa opzione sembra remota, poiché l’Argentina dipende dal sostegno di organismi finanziari internazionali che non tollererebbero una rottura dell’ordine democratico. Inoltre, a differenza di altri scenari latinoamericani, il governo non può contare su un sostegno esplicito da parte delle forze armate, e la mobilitazione popolare degli ultimi giorni suggerisce che qualsiasi tentativo di golpe incontrerebbe una resistenza difficile da contenere.
Nonostante ciò, Milei sembra intenzionato a giocarsi un’ultima carta: un plebiscito. Il portavoce del governo ha già annunciato che l’esecutivo sta valutando questa possibilità per riesumare il progetto affondato in Parlamento. Tuttavia, il plebiscito è uno strumento poco utilizzato nell’ordinamento argentino, e se la consultazione è indetta dal presidente, il risultato non è vincolante. Inoltre, molti degli aspetti inclusi nella riforma già bocciata in parlamento – riforma del codice penale, riforma tributaria, mantenimento dei trattati internazionali – non potrebbero essere sottoposti a plebiscito secondo la costituzione. Sarebbe quindi una mossa politica, finalizzata a rafforzare l’idea di un’élite arroccata in Parlamento e contraria alla volontà popolare rappresentata dal presidente.
Ma anche questa via richiederebbe un grado di arguzia e brillantezza che l’estrema destra argentina finora non ha dimostrato. Il sostegno a Milei e alle sue iniziative è in picchiata da qualche settimana. Esporsi ad un plebiscito che molto probabilmente perderebbe, potrebbe solo esacerbare la crisi argentina, mentre le condizioni economiche continuano a peggiorare. L’inflazione stimata per gennaio è del 20%, di poco inferiore a quella di dicembre ma tra le più alte registrate negli ultimi 30 anni. Il peso argentino, svalutato del 50% una settimana dopo l’insediamento del governo Milei, perde valore di fronte al dollaro giorno dopo giorno. La deregolamentazione dell’economia decretata il 20 dicembre ha avuto effetti devastanti sul mercato, con prezzi alle stelle e una fortissima diminuzione del consumo.
Nelle prossime settimane, con la fine dell’estate australe, si prevede la riapertura delle negoziazioni salariali e l’inizio di una stagione di fortissimi conflitti nelle piazze, iniziando dalla “marea verde” del femminismo argentino a difesa del diritto all’aborto. Per ora, il governo non può contare sul parlamento per affrontare le sfide che lo attendono, e Milei appare sempre più isolato.
A deciderne le sorti sono stati, a sorpresa, i principali alleati del presidente Javier Milei. I blocchi parlamentari di centro e centro-destra, che la settimana scorsa avevano inizialmente approvato il testo, articolo per articolo, del progetto noto come “Legge sulle basi e punti di partenza per la libertà degli argentini”, hanno successivamente rigettato uno per uno tutti i punti cardine della riforma. Quando persino gli articoli che concedevano poteri legislativi al presidente sono stati bocciati, il partito di governo, La Libertad Avanza, ha deciso di ritirare l’intero progetto.
L’atteggiamento del partito libertario nel Congresso durante l’ultimo mese ha mostrato una natura inedita per un partito che ha la responsabilità di amministrare un paese, oscillando tra dilettantismo e arroganza. Più volte i rappresentanti del governo hanno dimostrato di non conoscere nemmeno le regole di funzionamento dell’iter legislativo. E più volte i professionisti della politica, la “casta”, come li ha definiti Milei sin dal suo debutto nell’arena politica, hanno cercato di aiutarli in nome della governabilità, per non spingere nel baratro un presidente che solo tre mesi fa ha ottenuto il 56% dei voti.
I deputati del centrodestra avevano inizialmente dato il loro consenso alla famigerata Legge Omnibus nonostante gli errori colossali (anche di ortografia) con cui era stata presentata dall’estrema destra. Ma al momento del voto dei singoli articoli, i poteri forti, denigrati e insultati dal governo per settimane, hanno deciso di porre un limite a Milei.
La reazione del presidente è sicuramente preoccupante. Da Israele, dove si trovava in visita ufficiale, in una sfilza di tweet nella notte di martedì ha praticamente bombardato qualunque ponte stabilito coi settori che erano fin qui disposti ad accompagnarlo, e di cui ha assoluto bisogno: senza i voti in parlamento la motosega non può nemmeno partire.
Un esempio eloquente dell’atteggiamento ufficiale è emerso dalla ministra “del Capitale Umano”, Sandra Pettovello, che la settimana scorsa ha sfidato i leader dei movimenti sociali che protestavano contro i tagli alle mense popolari nei quartieri più poveri: “Se qualcuno ha fame, che venga direttamente nel mio ufficio e ne parli con me. Non ricevo intermediari”. Tuttavia, il giorno successivo, di fronte a una fila di tre chilometri che si è formata alle porte del ministero, ha rifiutato di ricevere le persone che chiedevano assistenza alimentare, dichiarando ai media: “Non ho convocato nessuno”.