Due anni fa, Guterres propose agli Stati membri dell’Onu di lavorare a un patto sul futuro; un inutile sognatore, fu la reazione di molti. Nella premessa al Patto, firmato il 22 settembre scorso, i leader riconoscono che i rischi attuali richiedono un cambio di rotta.
“Una canzone, neanche questa, potrà mai cambiar la vita, ma che cos’è che mi fa andare avanti e dire che non è finita”. Così cantava Claudio Baglioni tanti anni fa. E se neanche la canzone di un famoso cantante non può cambiare la vita delle persone, cosa può fare una rivista come “Eastwest”? E sottoscrivere l’ennesimo documento dell’Onu che descrive l’impegno per un futuro migliore mentre infuriano drammatici conflitti può contribuire a cambiare il mondo?
Chi, vent’anni fa, decise di lanciare un periodico dedicato alla politica internazionale in un Paese sempre distratto da qualcosa (pandori e occhiali con telecamere, tanto per fare due esempi recenti) e strutturalmente incapace di alzare lo sguardo al futuro o di orientarlo alle cose importanti, doveva essere decisamente un sognatore. Eppure, quel sogno, visto che ne stiamo celebrando il ventesimo compleanno, aveva un fondamento e anzi si è rivelato premonitore. Basta rileggere qualche numero passato della rivista per trovare spunti, riflessioni e analisi che toccavano, quasi con capacità divinatorie, questioni che sono salite alla ribalta qualche tempo dopo, sorprendendo i soliti “distratti”, compresi tanti addetti ai lavori o decisori pubblici e privati.
Grazie all’attenta guida di Romano Prodi che lo ha guidato con grande attenzione e apertura intellettuale, per tanti anni il Comitato scientifico di Eastwest è stato in grado di suggerire temi, angolazioni, connessioni tra fatti apparentemente lontani, che i tantissimi autori dei singoli articoli hanno saputo indagare, approfondire, illustrare in modo comprensibile e accattivante, sotto la guida di Giuseppe Scognamiglio. Ovviamente, non sempre le analisi si sono rivelate immuni da errori, come tutto ciò che è umano, ma il rigore con cui la rivista ha sempre trattato questioni molto delicate e dense di potenziali conseguenze per l’Italia, l’Unione europea e il mondo intero dimostra che esiste un’alternativa alle chiacchiere da bar o da talk show in cui improvvisati tuttologi sproloquiano della qualunque”, come dicono i giovani, svolgendo un pessimo servizio al Paese.
Quindi, grazie di cuore e lunga vita a quei sognatori e a quelli che verranno, cercando ancora di contribuire a “cambiare la vita” delle migliaia di lettrici e lettori che hanno imparato ad apprezzare Eastwest.
Anche chi, cioè il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, due anni propose agli Stati membri delle Nazioni Unite di lavorare a un “Patto sul futuro” dev’essere un inguaribile sognatore, un inutile sognatore ha detto qualcuno. Eppure, dopo difficili ed estenuanti negoziazioni, e nonostante il tentativo finale della Russia e dei suoi alleati di boicottarlo, il Patto è stato firmato il 22 settembre scorso, insieme ai suoi due allegati: la “Dichiarazione sulle future generazioni” e “l’Accordo digitale globale”.
Nella premessa al Patto, i leader riconoscono che i rischi attuali richiedono un cambio di rotta, in assenza del quale il mondo rischia di precipitare irreversibilmente in un futuro di crisi devastanti e persistenti. Per intraprendere tale percorso il Patto conferma la centralità dell’Agenda 2030 come elemento fondante di un futuro sostenibile ed elenca decine di impegni relativi a cinque aree tematiche (sviluppo sostenibile e finanza per lo sviluppo, pace e sicurezza, scienza, tecnologia, innovazione e cooperazione digitale, giovani e future generazioni, governance globale), tentando di rilanciare il multilateralismo come soluzione più efficace di governance mondiale. Tra l’altro, i leader si sono impegnati a riformare l’Onu (compreso il Consiglio di Sicurezza), l’Organizzazione mondiale del commercio e le grandi istituzioni internazionali, riconoscendo il diritto dei Paesi emergenti e in via di sviluppo ad assumere ruoli maggiori in esse.
Anche la “Dichiarazione sulle generazioni future” contiene una serie di impegni e azioni finalizzate a garantire che il processo decisionale e l’elaborazione delle politiche pubbliche tengano conto delle esigenze e degli interessi delle generazioni future, da bilanciare ovviamente con quelli delle generazioni attuali. La Dichiarazione rappresenta un’innovazione importante in ambito internazionale, anche se pienamente nel solco del concetto stesso di sviluppo sostenibile, e cerca di spingere la politica (e non solo) a guardare al di là del breve periodo, riconoscendo “il pensiero di lungo periodo” come determinante per l’equilibrio della nostra società. Con la Dichiarazione i leader mondiali si sono impegnati a promuovere il pensiero e la pianificazione a lungo termine, nonché ad adottare riforme istituzionali che garantiscano un processo decisionale basato su scienza e dati, e introducano forme di “governance anticipante” e “previsione strategica” per rendere l’azione dei governi più adattabile e reattiva alle opportunità, ai rischi e alle sfide future, anche grazie ad un approccio partecipativo che coinvolga la società nella sua interezza, dunque le organizzazioni della società civile, il mondo accademico, la comunità scientifica e tecnologica, il settore privato, ecc. Per favorire l’attuazione concreta della Dichiarazione l’Onu fornirà servizi di supporto agli Stati membri e verrà nominato un inviato speciale per le future generazioni.
Un famoso detto attribuito a De Gasperi dice che “i politici pensano alle prossime elezioni, gli statisti alle prossime generazioni”. Quindi, i leader che hanno sottoscritto il Patto, senza dimenticare certamente i conflitti in corso e le profonde divergenze nelle visioni di cui sono portatori, sono dei politici o degli statisti? O sono semplicemente dei bugiardi che hanno firmato qualcosa in cui non credono?
“Lo sapremo solo vivendo”, per citare ancora Baglioni. E non dovremo aspettare molto: infatti, le tre Conferenze sui Cambiamenti Climatici, sulla Biodiversità e sul contrasto alla Desertificazione, che avranno luogo nell’autunno del 2024, la Conferenza sulla finanza per lo sviluppo programmata per luglio 2025 e il Summit sullo sviluppo sociale mondiale previsto per novembre 2025 dovrebbero vedere i primi avanzamenti in linea con gli impegni assunti a New York.
Per vedere il bicchiere mezzo pieno, va riconosciuto che il Patto cerca di rispondere alla “domanda di sviluppo sostenibile” che emerge in tutto il mondo. Secondo alcune recenti indagini d’opinione, oltre che le preoccupazioni per l’inflazione e il cambiamento climatico, le persone esprimono una chiara consapevolezza della necessità di agire con urgenza per affrontare le sfide del nostro tempo, ma anche una forte sfiducia nei confronti dei governi nazionali, con significative differenze tra i Paesi ad alto reddito e quelli a medio e basso reddito: ad esempio, questi ultimi sono in generale più ottimisti circa il proprio futuro, mentre Stati Uniti, Paesi europei e Giappone sono più pessimisti.
Ad esempio, l’indagine condotta da UNDP mostra che il 56% degli intervistati in 77 Paesi pensa spesso al cambiamento climatico, otto persone su 10 chiedono più protezione da eventi climatici estremi e un’azione più decisa nel proprio Paese in materia. Il 72% degli intervistati sostiene la necessità di una transizione veloce verso le fonti di energia rinnovabile, anche in Paesi produttori di energie fossili come Russia e Stati Uniti. Secondo un’altra indagine condotta nei Paesi del G20, il 68% degli intervistati sostiene la proposta di un aumento delle tasse per ricchi e super-ricchi come strumento per trasformare l’economia e promuovere benessere diffuso, il 71% si aspetta dai governi un’azione significativa per ridurre le emissioni di carbonio e rallentare il riscaldamento globale, il 68% ritiene che il sistema economico dovrebbe dare priorità a salute e benessere delle persone e della natura piuttosto che al profitto, il 75% chiede una sanità pubblica, gratuita o accessibile, il 74% il rafforzamento dei diritti dei lavoratori e il 76% crede che ci sia troppa diseguaglianza economica.
D’altra parte, la fiducia nei governi è bassa: solo il 39% ritiene che il proprio governo prenda decisioni che beneficiano la maggioranza della popolazione e il 37% non crede che il governo sia in grado di prendere decisioni di lungo-termine che beneficeranno la maggioranza della popolazione in 20-30 anni. Per questo, il 65% crede che il sistema politico e quello economico richiedano cambiamenti significativi, ma benché l’81% consideri la democrazia come il migliore sistema politico possibile, il 40% dichiara di apprezzare leader che non hanno bisogno del Parlamento per decidere.
In breve, fatti e aspirazioni divergono in misura netta, ma non solo a livello mondiale. Pensiamo alla nostra Unione europea, che si trova nella difficile fase di passaggio che dovrebbe portare, entro l’anno, all’avvio della nuova Commissione, guidata ancora da Ursula von der Leyen, scelta come presidente sulla base di un ampio programma, allo stesso tempo finalizzato a proseguire il lavoro svolto negli ultimi cinque anni (per esempio il Green Deal), ma anche a innovare significativamente (si pensi alle proposte contenute nei Rapporti di Enrico Letta e Marion Draghi). Il clima politico europeo è tutt’altro che tranquillo e le tensioni tra gruppi politici che siedono nel Parlamento europeo sono già emerse, anche tra quelli che hanno sostenuto la rielezione di von der Leyen, nonché tra i governi che assumono poi le decisioni finali.
Ma su questo torneremo nei prossimi numeri della rivista, nei quali, ovviamente, commenteremo anche l’esito delle elezioni americane e le sue conseguenze sugli equilibri mondiali. Al momento, l’incertezza domina e se dovessimo giocare la schedina del Totocalcio di tanti anni fa indicheremmo come risultato “1 X 2”, sapendo benissimo che il pareggio sarebbe forse il risultato peggiore, o forse no.
Visto che abbiamo un Patto sul futuro nuovo di zecca, chiudo con una citazione di Karl Popper: «il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte».
Intanto facciamo gli auguri a Eastwest di lunga e felice vita e già che ci siamo facciamoli anche a noi, direi che ne abbiamo bisogno.
“Una canzone, neanche questa, potrà mai cambiar la vita, ma che cos’è che mi fa andare avanti e dire che non è finita”. Così cantava Claudio Baglioni tanti anni fa. E se neanche la canzone di un famoso cantante non può cambiare la vita delle persone, cosa può fare una rivista come “Eastwest”? E sottoscrivere l’ennesimo documento dell’Onu che descrive l’impegno per un futuro migliore mentre infuriano drammatici conflitti può contribuire a cambiare il mondo?
Chi, vent’anni fa, decise di lanciare un periodico dedicato alla politica internazionale in un Paese sempre distratto da qualcosa (pandori e occhiali con telecamere, tanto per fare due esempi recenti) e strutturalmente incapace di alzare lo sguardo al futuro o di orientarlo alle cose importanti, doveva essere decisamente un sognatore. Eppure, quel sogno, visto che ne stiamo celebrando il ventesimo compleanno, aveva un fondamento e anzi si è rivelato premonitore. Basta rileggere qualche numero passato della rivista per trovare spunti, riflessioni e analisi che toccavano, quasi con capacità divinatorie, questioni che sono salite alla ribalta qualche tempo dopo, sorprendendo i soliti “distratti”, compresi tanti addetti ai lavori o decisori pubblici e privati.