25 morti e centinaia di feriti. La guerra contro ISIS non è ancora finita e l’Iraq è lontano dalla stabilità economica e sociale
Almeno 25 persone sono morte e centinaia sono rimaste ferite in Iraq a seguito delle grandi manifestazioni e degli scontri che si stanno svolgendo da quattro giorni in diverse zone del Paese, in particolare nella capitale Baghdad e in alcune città del sud, come Nassiriya e Amara. I manifestanti stanno protestando principalmente contro la disoccupazione e la corruzione. Nel tentativo di riprendere il controllo della situazione, il Governo ha imposto il coprifuoco e bloccato l’accesso a Internet, in modo da complicare l’organizzazione di nuove proteste.
L’Iraq non è nuovo a proteste di queste tipo – sebbene non di queste dimensioni –, che però si tengono soprattutto d’estate, quando le alte temperature causano prolungate interruzioni di corrente, rivelando tutte le carenze del servizio pubblico. Stavolta le rivendicazioni dei manifestanti sembrano essere diverse: la creazione di posti di lavoro (specialmente per i giovani) e la fine del Governo di Adil Abdul-Mahdi, che dallo scorso ottobre è alla guida di un esecutivo di coalizione che riunisce politici anche molto lontani tra loro.
Nonostante alcuni segnali apparentemente positivi, l’Iraq fa fatica a ingranare la marcia della ripresa economica. Pesano, in particolare, le spese per la ricostruzione delle infrastrutture danneggiate dalla guerra contro lo Stato Islamico, peraltro non ancora sconfitto del tutto.
Da un punto di vista internazionale, l’Iraq si trova in una posizione difficile: deve infatti conciliare i rapporti con gli Stati Uniti con la vicinanza all’Iran, dal quale dipende economicamente. A febbraio il Presidente americano Donald Trump aveva manifestato l’intenzione di lasciare delle truppe in Iraq per “sorvegliare l’Iran”. Vista da Teheran, invece, l’alleanza con Baghdad è importante ai fini della creazione di un “corridoio sciita” e alleato che unisca Iran, Iraq, Siria e Libano, sede di Hezbollah.
@marcodellaguzzo
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