Il Primo Ministro sopravvive al voto di sfiducia, ma la provincia di Malaita potrebbe guidare nuove proteste. La vicenda è seguita con attenzione da Cina, Usa e Taiwan
L’ultima volta, nel novembre del 2017, gli era andata male. Si erano schierati contro di lui persino 17 membri del suo partito e aveva dovuto lasciare la carica di Primo Ministro.
Stavolta invece, Manasseh Sogavare ha superato l’esame e ha passato indenne il voto di fiducia che si è svolto nel Parlamento delle Isole Salomone. Solo 15 hanno votato per rimuoverlo dal suo posto, mentre in 32 hanno scelto di stare dalla sua parte. Il premier di questo arcipelago del Pacifico meridionale resterà dunque al suo posto, alla guida di un Paese la cui importanza strategica si sta manifestando in maniera sempre più evidente di fronte al caos delle ultime settimane.
Sogavare è stato costretto a questo appuntamento per la mozione dell’opposizione, che lo accusa di corruzione e di aver utilizzato fondi cinesi per sostenere il suo Governo. Intorno a una vicenda che ha profonde radici nella storia di questa nazione insulare e nelle sue divisioni interetniche, si è infatti innestato un argomento del tutto geopolitico. Tra i motivi delle proteste delle ultime settimane c’è infatti la decisione, ufficializzata nel 2019, di Sogavare di rompere i rapporti diplomatici con la Repubblica di Cina (Taiwan) e stabilire quelli con la Repubblica popolare cinese. Attenzione: le rivolte non nascono per questo, ma il triangolo con Taipei e Pechino è di certo uno degli ingredienti di un menù ben più composito che comprende rimostranze per la redistribuzione delle risorse economiche tra l’isola di Guadalcanal, dove si trova la capitale Honiara, e quella di Malaita, provincia più popolosa dell’arcipelago.
Mentre Honiara stabiliva i rapporti con Pechino, Malaita proseguiva a intrattenere rapporti molto profondi con Taipei e anche con Washington. Gli schieramenti si sono mossi in maniera sostanzialmente speculare. Il leader politico di Malaita, Daniel Suidani, ha di fatto estromesso le aziende cinesi dalla provincia, accettando invece gli aiuti sanitari e finanziari di Taipei anche durante la pandemia da Covid-19. Dall’altra parte, Honiara ha cercato di stoppare gli investimenti diretti di Washington a Malaita e si è opposta al ricevimento di aiuti da Taipei, dove peraltro Suidani ha trascorso quasi sei mesi tra maggio e ottobre 2021, ufficialmente per motivi sanitari.
Sogavare descrive dall’inizio le proteste, che hanno tra l’altro causato tre morti e diversi edifici danneggiati in particolare nell’area della Chinatown di Honiara, come un complotto ordito da forze straniere. Riferimento neanche troppo implicito a Taiwan e Stati Uniti, che come detto sostengono in maniera diretta un’amministrazione locale come Malaita, che da tempo vorrebbe tenere un referendum di indipendenza che il governo centrale continua invece a negarle. Una tesi, quella delle interferenze straniere, sostenuta anche da Pechino. Più volte il portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Zhao Lijian, ha alimentato questa versione. Ribadita anche dopo l’esito del voto di fiducia dall’ambasciata cinese a Honiara: “La nostra cooperazione ha raggiunto livelli e risultati importanti. Ogni tentativo di sabotare la nostra relazione è destinato a fallire”, si legge in una nota della rappresentanza diplomatica.
Lo stesso Sogavare si è espresso chiaramente sulla questione durante la discussione in Parlamento: “La Cina è una potenza economica che ci offre l’opportunità di sostenere le nostre esigenze e le nostre sfide legate allo sviluppo”, ha detto il premier. “Le Isole Salomone hanno riconosciuto la Repubblica popolare cinese e questa è la fine della storia”. Mentre pensare a un ritorno alle relazioni con Taiwan, come richiesto dall’opposizione “è una perdita di tempo e di energia” visto che le decisioni sulle relazioni diplomatiche spettano “al Governo centrale e non ai Governi provinciali”.
Il voto di fiducia si è svolto in una capitale blindata e presidiata non solo dalle forze di sicurezza locali, ma anche da circa duecento unità inviate nel Paese dall’Australia e da altri Governi della regione come Papua Nuova Guinea e Isole Fiji. Ma il rischio sottolineato da diversi analisti è che le proteste di Malaita possano riprendere e acquisire anche maggiore vigore, visto l’insuccesso del tentativo di ottenere il cambiamento passando per la strada della politica. “Questo è un Primo Ministro che ha compromesso la nostra sovranità per il suo personale guadagno politico”, ha detto il leader dell’opposizione Matthew Wale, che ha sostanzialmente espresso il punto di vista secondo il quale il governo di Sogavare sia subalterno a quello cinese.
Intanto, sale l’attenzione su quanto può accadere anche in un altro Paese dell’area che per ora riconosce Taiwan: le Isole Marshall.
Il Primo Ministro sopravvive al voto di sfiducia, ma la provincia di Malaita potrebbe guidare nuove proteste. La vicenda è seguita con attenzione da Cina, Usa e Taiwan
L’ultima volta, nel novembre del 2017, gli era andata male. Si erano schierati contro di lui persino 17 membri del suo partito e aveva dovuto lasciare la carica di Primo Ministro.