L’attivismo degli estremisti di destra della coalizione di governo minaccia la credibilità politica di Netanyahu, contestato in Israele e a livello internazionale
La presenza nel governo israeliano degli estremisti di destra guidati da Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, potrebbe costare all’esecutivo di Netanyahu, e alla sua credibilità politica internazionale, parecchio. Questo perché gli Emirati Arabi Uniti, uno dei primi due paesi a firmare ad agosto 2020 gli Accordi di Abramo, l’importante documento di cooperazione e di apertura di relazioni di Israele con paesi arabi del Golfo e poi successivamente africani, hanno fatto sapere che non intendono procedere ad acquistare armi da Israele a causa della presenza dei due esponenti di destra nell’esecutivo. Presenza, che non permetterebbe a Netanyahu di avere il pieno controllo del gruppo di governo.
Secondo rilevazioni della israeliana Channel 12, il presidente degli Emirati, lo sceicco Mohamed bin Zayed, avrebbe detto a funzionari israeliani che “fino a quando non saremo sicuri che il primo ministro Netanyahu abbia un governo che può controllare, non saremo in grado di operare congiuntamente”. La notizia è stata successivamente smentita dagli uffici del premier israeliano, ma comunque ha fatto rumore nella politica interna ed esterna israeliana. Soprattutto perché è arrivata pochi giorni dopo che Arabia Saudita e Iran hanno ristabilito i rapporti diplomatici dopo sette anni, una mossa che sembrava rendere più difficile per Netanyahu raggiungere il suo obiettivo di normalizzare i rapporti con l’Arabia Saudita.
Benjamin Netanyahu ha sempre fatto degli accordi di Abramo una bandiera, intentandosi, congiuntamente all’ex presidente americano Donald Trump, una incontestabile vittoria politica internazionale. Fino all’agosto 2020, infatti, Israele era isolatissimo nell’area, potendo contare solo sugli accordi post bellici sottoscritti con i vicini Giordania ed Egitto. Ma nessun altro paese islamico, soprattutto mediorientale o del Golfo, era propenso a stringere rapporti con lo Stato Ebraico, in particolare per l’annosa questione palestinese. Questioni economiche, l’expo di Dubai, necessità di scambi e armi, faccende legate anche ai sorvoli sia militari che civili, hanno però spinto prima Emirati Arabi e Bahrein, poi Marocco e Sudan, ad allacciare rapporti con Israele. Spingendosi anche oltre. Gli Emirati hanno sottoscritto una serie di accordi con Israele, soprattutto nel campo della sicurezza, dall’acquisto di armi e tecnologie alle esercitazioni congiunte; il Bahrein ha permesso la presenza israeliana nel proprio territorio a militari israeliani in servizio nella quinta flotta americana di stanza nel Golfo. Tra Gerusalemme e Abu Dhabi, inoltre, è in via di definizione un accordi di libero scambio che favorirà entrambe le economie. Questo, stando sempre al canale televisivo israeliano, comunque non dovrebbe essere interrotto come pure il coordinamento di sicurezza.
La decisione emiratina, che il governo israeliano nega sia vera, sarebbe nata soprattutto dopo i fatti di Huwara, il pogrom dei coloni al villaggio cisgiordano dopo che un palestinese aveva ucciso due coloni che percorrevano in macchina la zona. Ben Gvir, ministro della sicurezza, è stato riconosciuto dai paesi arabi anche responsabile di provocazione avendo deciso di effettuare una visita alla spianata delle moschee, come quella che il 28 settembre 2000 l’allora capo del Likud, Ariel Sharon, fece sullo stesso luogo dando il via alla seconda intifada. Dopo i fatti di Hawara, è stato il ministro delle finanze, Smotrich, a salire alla ribalta anti-araba, chiedendo di cancellare il villaggio di Hawara. I due leader destrorsi, il cui appoggio e voti sono necessari alla stabilità dell’esecutivo a guida Netanyahu, si sono sempre opposti a qualsiasi avvicinamento con arabi, sia interni che esterni, considerandoli una minaccia. Netanyahu, dal canto suo, ha invece cercato di stringere quante più relazioni possibili per ottenere internamente l’isolamento della Palestina, esternamente quello dell’Iran. Per questo si parlava da tempo di accordi e di uno stato avanzato di colloqui con l’Arabia Saudita.
Il permesso, concesso solo poche settimane fa, ai voli israeliani di attraversare lo spazio aereo saudita, per tagliare le rotte verso l’Asia, India in particolare, aveva fatto ben sperare. Invece, l’accordo che Riad, mediato da Pechino, ha stretto con Teheran, ha gelato tutti. Al momento, nessun esponente del governo o della presidenza israeliana ha commentato l’accordo. Lo hanno solo fatto, condannandolo, i leader dell’opposizione, che hanno parlato di minaccia ad Israele. Una grana per Netanyahu, che deve affrontare problemi e contestazioni politiche interne, sia da parte dell’opposizione che di molti cittadini, ma anche di alcuni sodali; gelo sulle relazioni internazionali, una delle maggiori vittorie di Bibi degli ultimi anni.