Da 16 settimane migliaia di israeliani scendono in piazza per opporsi alla riforma della giustizia. Scende in piazza anche la parte, consistente, della popolazione che, invece, la sostiene. La situazione appare, sempre più, un referendum popolare su Netanyahu.
Riprenderanno oggi, nella residenza del presidente Isaac Herzog, i colloqui tra maggioranza e opposizione sulla riforma della giustizia, fortemente voluta ma messa in pausa dal governo Netanyahu, che ha diviso l’opinione pubblica. Nonostante lo stop dato al processo di approvazione da parte dell’esecutivo, le manifestazioni contro la riforma sono continuate e, da sedici settimane, migliaia di israeliani scendono in piazza per esprimere la loro opposizione alla riforma ma, soprattutto, la loro preoccupazione che il cambiamento delle regole del gioco dei rapporti tra governo e suprema corte, possa portare ad un serio problema democratico. La riforma della giustizia che il governo di Benjamin Netanyahu intende portare avanti, interessa principalmente l’istituto della Corte Suprema. Questa è l’unico contraltare rispetto al potere dell’esecutivo e del parlamento, dal momento che anche il presidente israeliano non ha potere di bloccare o rimandare indietro le leggi.
Israele non ha una Costituzione ma 13 leggi fondamentali. Allo stato attuale, la Corte Suprema israeliana può annullare qualsiasi legge decisa dal governo con una maggioranza semplice, basandosi sia sulle leggi fondamentali sia, in mancanza di appoggio su queste, su un principio di “ragionevolezza”. La Corte, che ha sede a Gerusalemme, è composta da 15 giudici nominati da una commissione di 9 membri: 3 dalla Corte stessa, 2 avvocati, 4 politici scelti dal governo (2 ministri, 2 parlamentari). Questo, secondo l’attuale governo, comporterebbe un eccessivo sbilanciamento a favore del potere giudiziario su quello politico. L’obiettivo di Netanyahu è di portare a 11 i membri del Comitato (invece dei 9 di oggi) assicurando la prevalenza dei componenti di nomina politica sui tecnici. Altra intenzione della riforma voluta dal premier sarebbe di eliminare il potere della Corte Suprema di abolire le leggi approvate dal parlamento. O, meglio, la Corte potrebbe decidere di bloccarle, ma il parlamento, con la maggioranza semplice di 61 membri su 120, potrebbe ribaltare la decisione della Corte. Secondo gli oppositori, in tal modo si darebbe troppo potere al governo e ciò rappresenterebbe una minaccia per la democrazia in Israele. Si chiede anche di eliminare la “clausola di ragionevolezza”, lasciando alla Corte suprema il compito di esaminare esclusivamente se una legge è aderente o meno ai princìpi espressi dalle Leggi fondamentali. La riforma prevede inoltre che le decisioni della Corte in materia di invalidità di una legge, anche di una legge fondamentale, vengano prese con una maggioranza di almeno l’80% e non più semplice.
Se è vero che la riforma è avversata da migliaia di persone, è altrettanto vero che i suoi sostenitori sono comunque una parte molto consistente della società israeliana. Dopotutto, che la Suprema corte abbia poteri infiniti, che i suoi membri vengano scelti da un minuscolo cerchio ristretto di persone, che non voti a maggioranza qualificata, che decida anche solo per “ragionevolezza”, è vero. Come è successo nei giorni scorsi.
In occasione dei due giorni di festa nazionale nei quali si sono prima ricordati i caduti delle guerre e del terrorismo e poi l’indipendenza israeliana, il ministro della difesa Galant aveva deciso (non è una cosa senza precedenti, anzi) che per tre giorni restassero chiusi i checkpoint con la Cisgiordania, per evitare che infiltrati palestinesi potessero rovinare le feste. Dopotutto, le manifestazioni delle ultime sedici settimane hanno mostrato (a torto, perché parliamo comunque di un esercizio democratico) un paese diviso e questo ha spinto molti nemici di Israele a portare attacchi verso il paese della stella di Davide dall’estero e dall’interno.
Contro la decisione di Galant è intervenuta la Suprema Corte, ribaltandola. Poche ore dopo, un attentato a Gerusalemme, nel quale un arabo israeliano (quindi residente in Israele non in Cisgiordania) si è lanciato con l’auto contro una folla nel centro di Gerusalemme, facendo sette feriti e venendo ucciso da un civile. Simile a quanto è accaduto sul lungomare di Tel Aviv quando è stato ucciso l’avvocato italiano Alessandro Parini.
E’ chiaro che la decisione della Suprema Corte di riaprire i checkpoint non ha favorito l’attentato. Ma come le manifestazioni sono oramai diventate un vero e proprio referendum popolare contro Netanyahu, quello che viene definito lo strapotere della Suprema Corte sta spingendo in piazza i sostenitori della riforma e l’episodio di Gerusalemme aumenta le polemiche sulle decisioni della Corte.
Ieri, quelli che cercano una mediazione, che sono convinti che una riforma sia necessaria, erano a manifestare davanti alla casa del presidente Herzog, che ospitava inviati stranieri in occasione della festa dell’indipendenza. Oggi, migliaia di sostenitori della riforma saranno in piazza e sabato, quelli contrari. Anche perché, come detto, stasera riprenderanno i colloqui e la riforma tornerà comunque in parlamento domenica, dopo la “tregua” offerta dall’esecutivo in occasione prima della Pasqua ebraica e poi delle festività nazionali. Con timori che il paese possa di nuovo dare la sensazione di essere vulnerabile (nella prima ondata di manifestazioni Netanyahu licenziò il ministro della difesa e anche i riservisti rifiutarono le chiamate alle armi) ed essere oggetto di nuovi attacchi.
Riprenderanno oggi, nella residenza del presidente Isaac Herzog, i colloqui tra maggioranza e opposizione sulla riforma della giustizia, fortemente voluta ma messa in pausa dal governo Netanyahu, che ha diviso l’opinione pubblica. Nonostante lo stop dato al processo di approvazione da parte dell’esecutivo, le manifestazioni contro la riforma sono continuate e, da sedici settimane, migliaia di israeliani scendono in piazza per esprimere la loro opposizione alla riforma ma, soprattutto, la loro preoccupazione che il cambiamento delle regole del gioco dei rapporti tra governo e suprema corte, possa portare ad un serio problema democratico. La riforma della giustizia che il governo di Benjamin Netanyahu intende portare avanti, interessa principalmente l’istituto della Corte Suprema. Questa è l’unico contraltare rispetto al potere dell’esecutivo e del parlamento, dal momento che anche il presidente israeliano non ha potere di bloccare o rimandare indietro le leggi.