Privatizzazioni, sgravi fiscali, poteri speciali al Presidente e grandi tagli all’amministrazione pubblica. La Ley Bases di Milei è passata in Senato nel mezzo di scandali e una dura repressione alle manifestazioni di protesta. I mercati internazionali esultano.
È passata in extremis la Ley Bases, la norma che pone le fondamenta del progetto “liberal-libertario” di Milei in Argentina. Dopo il pareggio in Senato tra opposizione e alleati, ci ha pensato la vicepresidente Victoria Villarruel, che per costituzione presiede anche la camera alta, a dare al governo la prima vittoria legislativa a sei mesi dall’inizio del mandato.
Nel congresso infatti l’estrema destra di Javier Milei non era riuscita ancora a far approvare una sola norma: forti del risultato del ballottaggio del novembre scorso, i membri del suo partito, La Libertad Avanza, pretendevano che il parlamento approvasse quel che veniva inviato dall’esecutivo in nome della legittimità ottenuta dal voto popolare. Di negoziare e raggiungere accordi con le opposizioni non ne volevano proprio sapere nulla.
A febbraio, quando il governo provò a far passare questa stessa Ley Bases senza alcun tipo di negoziato, bocciata poi alla Camera, l’ufficio del presidente pubblicò addirittura una lista nera dei “traditori del popolo”, con nome e cognome dei deputati che si erano opposti al volere presidenziale.
Questa volta però di negoziazioni ce ne sono state eccome. Milei e i suoi hanno messo in pratica tutto l’arsenale di procedure opache, tipiche della politica “della casta” contro cui si scagliano con violenza da anni. Il caso più emblematico è quello della senatrice Lucila Crexell, appartenente ad un partito di opposizione che ha però votato a favore della Ley Bases in cambio della nomina ad ambasciatrice argentina presso l’Unesco. Parigi ben vale un atto di slealtà. Al netto del risultato il suo voto è stato determinante, ma non certo l’unico a far scalpore.
Il Senato argentino si compone infatti di 72 membri, tre per ogni provincia del Paese, ed è l’istituzione federale più legata al potere territoriale dei governatori di provincia. La Libertad Avanza, che può contare solo su 7 senatori propri, ha superato in molti casi i limiti fissati durante gli ultimi mesi per ridurre le spese dello stato pur di ottenere i voti di cui aveva bisogno: ha promesso la costruzione di rotonde, strade e autostrade, rivisto il gettito fiscale a favore dei governatori disposti a sostenere la legge, ed ha anche accettato diverse modifiche al testo originale della norma.
Il risultato è una legge mutilata delle sue parti più polemiche (la privatizzazione di tutte le aziende statali, la cessione di funzioni legislative al governo per quattro anni, ad esempio), ma che introduce comunque una serie di riforme profonde. Lo stesso nome lo dice: Ley de Bases y Puntos de Partida para la Libertad de los Argentinos (Legge sulle basi e punti di partenza per la libertà degli argentini) è il titolo completo della norma, che vorrebbe parafrasare uno dei saggi più famosi della storia politica argentina, Bases y puntos de partida para la organización política de la República Argentina, pubblicato nel 1852 da Juan Bautista Alberdi, padre del liberalismo argentino, e ispirazione della prima Costituzione Nazionale emanata l’anno successivo.
Ma se i padri fondatori del paese volevano porre le basi di uno Stato forte e solido dopo le guerre di indipendenza del XIX secolo, attraverso l’istruzione, la sanità, l’industria nazionale, il progetto di Milei sembrerebbe voler andare nella direzione opposta. La legge approvata in Senato la settimana scorsa dichiara lo stato di emergenza nazionale in materia amministrativa, economica, finanziaria ed energetica, in modo da dare all’esecutivo facoltà straordinarie per emanare decreti con forza di legge in queste aree durante un anno.
Nel secondo capitolo si dà al presidente la facoltà di privatizzare buona parte delle aziende statali, tra cui le Poste, il sistema di gestione dell’acqua, l’intera rete ferroviaria nazionale, e di chiudere un centinaio di enti pubblici considerati “spese inutili”: istituti tecnologici, culturali e di azione sociale dipendenti dai ministeri nazionali. Viene inclusa la “partecipazione attiva a blocchi stradali o occupazioni di stabilimenti” tra le cause giustificate di licenziamento.
Si conferma la sospensione di tutti gli appalti pubblici, salvo quelli che abbiano un finanziamento internazionale – o siano entrati nella lista di concessioni ai governatori in cambio di voti. Modificata anche la legge sugli idrocarburi: la politica energetica nazionale non avrà più come obiettivo l’indipendenza energetica del paese, ma “l’ottimizzazione del profitto delle aziende petrolifere” secondo il testo della nuova legge.
Il capitolo che ha generato più polemiche è sicuramente quello del Regime di Incentivi ai Grandi Investimenti, che introduce una serie di sgravi fiscali a favore delle aziende straniere che investano almeno 200 milioni di dollari nei settori agroforestale, minerario ed energetico. Grazie a questa norma le aziende locali avranno un regime impositivo meno vantaggioso di fronte a competitor che sono spesso colossi multinazionali, e che potranno addirittura importare macchinari usati dall’estero senza pagare diritti doganali, escludendo dunque l’industria locale anche dal mercato dei rifornimenti.
Il testo è passato con modifiche sostanziali rispetto a quello girato dalla Camera a maggio, e il governo Milei, incoraggiato dal primo successo raccolto in un terreno così ostile come il Congresso, pretende ora di revocare le modifiche apportate dai senatori durante l’approvazione definitiva alla Camera Bassa. Per farlo però dovrà ottenere l’appoggio dei due terzi dei deputati entro il 27 giugno, data in cui è stata fissata la votazione, un obiettivo che però ora sembra meno irraggiungibile.
L’approvazione della Ley Bases infatti è una boccata d’ossigeno non indifferente per un governo che dal suo insediamento vive una paralisi legislativa senza precedenti ed è già assillato da scandali di corruzione e manovre poco trasparenti di diversi funzionari. Anche i mercati internazionali hanno reagito con euforia all’approvazione della legge: tutti i titoli argentini quotati all’estero hanno subito variazioni al rialzo. A livello internazionale e domestico infatti si attendeva un’indicazione in merito alla governabilità, che il presidente Milei doveva dimostrare.
L’altro aspetto in cui l’estrema destra ha mostrato l’indirizzo scelto è quello della gestione delle piazze: la discussione in Senato della Ley Bases è stata accompagnata da grandi mobilitazioni popolari represse con una violenza poche volte vista a Buenos Aires. 39 persone sono state arrestate e 18 di esse accusate di “attentato contro l’ordine costituzionale”, un’imputazione gravissima che li terrà in custodia cautelare per un lungo periodo.
Le immagini diffuse da organizzazioni internazionali per i diritti umani però mostrano che molte delle persone fermate nei pressi del Congresso erano in realtà semplici passanti, o manifestanti totalmente pacifici, e che le forze dell’ordine hanno invece evitato di intervenire contro i gruppuscoli che hanno incendiato auto e lanciato bombe molotov nelle prime ore del pomeriggio di mercoledì.
Esistono appelli internazionali e denunce contro l’azione della polizia argentina, che il governo ha rigettato con forza. Di fatto, in un comunicato ufficiale, Milei ha sostenuto che i manifestanti riuniti contro la sua Ley Bases sono “terroristi” il cui obiettivo era fare un “colpo di stato”.
Un riassunto della posizione governativa l’ha dato la stessa vicepresidente Villarruel durante il suo voto di spareggio nella sessione del Senato: “Oggi abbiamo visto due argentine: una violenta, che ha dato fuoco alle auto e ha lanciato pietre, e che mette in discussione l’esercizio della democrazia. E un’altra, quella dei lavoratori, che aspettano con molto dolore e sacrificio che si rispetti il voto che nel novembre dello scorso anno ha scelto un cambiamento. Per quegli argentini che soffrono, che sperano che si cambi una situazione che si è perpetuata nel dolore per molti anni, che non vogliono vedere i loro figli lasciare il paese, e che meritano l’orgoglio di essere argentini, e pensando per sempre a tutto per l’Argentina: il mio voto è affermativo”.
Nel congresso infatti l’estrema destra di Javier Milei non era riuscita ancora a far approvare una sola norma: forti del risultato del ballottaggio del novembre scorso, i membri del suo partito, La Libertad Avanza, pretendevano che il parlamento approvasse quel che veniva inviato dall’esecutivo in nome della legittimità ottenuta dal voto popolare. Di negoziare e raggiungere accordi con le opposizioni non ne volevano proprio sapere nulla.