Anche quest’anno la prossima stagione primaverile potrebbe rivelarsi politicamente “calda” per la regione balcanica, considerate soprattutto le più recenti evoluzioni della situazione politica in Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Romania, Serbia e Slovenia.
Unica nota positiva in questo contesto, l’oramai certa adesione della Croazia all’Unione europea. La situazione politica in Bosnia ed Erzegovina continua a rimanere infatti complessa, ostaggio di un continuo stallo politico-istituzionale che impedisce al Paese di progredire nel suo percorso di integrazione europea. Dopo aver atteso sedici mesi per la formazione di un nuovo Governo a livello centrale (dalle ultime politiche del 2010), la crisi politica si è spostata a livello delle due entità sub-nazionali. Nella Federazione, dopo mesi di pressioni e ostruzionismi reciproci tra i principali partiti in Parlamento, il Governo è stato sfiduciato lo scorso febbraio, ed è ora ostaggio della pronuncia finale della Coste costituzionale (che deve ancora approvare la sfiducia), ponendolo così in una situazione di limbo legale-istituzionale. Buone notizie, invece, dall’altra entità, la Repubblica Srpska, dove la recente impasse governativa causata dai disaccordi tra il Primo Ministro Dzombic ed il Presidente Dodik si è risolta con un rimpasto della squadra di Governo e la nomina di un nuovo PM, vicino al Presidente (questa scelta lascia ben intendere come il vero obiettivo del Presidente Dodik sia quello di rafforzare nuovamente il proprio partito SNSD in vista delle prossime elezioni del 2014).
Il Paese che andrà con certezza ad elezioni anticipate è invece la Bulgariache vive una profonda crisi politica alimentata da un forte malcontento popolare (corruzione ed abbassamento del tenore di vita tra le ragioni principali) cresciuto vertiginosamente negli ultimi mesi e manifestatosi con proteste di piazza di dimensioni tali da costringere l’esecutivo Borisov a rassegnare le proprie dimissioni a febbraio. Nuove elezioni anticipate sono state dunque fissate per il 12 maggio prossimo. Nel frattempo, un Governo tecnico dai poteri limitati condurrà il Paese ad elezioni. Incerto però il risultato, considerata la forte perdita di consensi da parte del Partito Gerb del PM uscente ed il notevole avanzamento dei socialisti del BSP all’opposizione negli ultimi sondaggi. Pertanto, l’ipotesi più plausibile sembra per ora essere quella di un Governo di coalizione. Verosimile, però, (ed è questo ciò che temono maggiormente gli investitori esteri) il rischio che la crisi interna possa generare importanti ripercussioni anche oltre confine, dinnanzi alla possibile messa a punto di un programma più populista per soddisfare le aspettative della popolazione.
Dal canto suo, invece, la Romania, dopo aver vissuto una grave crisi politica ed istituzionale per tutto il 2012 (caratterizzata da importanti proteste di piazza contro le misure di austerità, da diversi cambi di Governo, nonché da un tentativo di impeachment da parte dell’attuale esecutivo nei confronti del Presidente Basescu), sembra essere tornata oggi sulla strada dell’apparente stabilità politica, con la riconferma da parte dei romeni alle ultime politiche di dicembre del Governo del Primo Ministro Ponta. Tuttavia, sebbene il Presidente ed il Primo Ministro abbiano di recente firmato un accordo per la “coabitazione pacifica” (onde evitare un nuovo scontro istituzionale, almeno fino alle prossime presidenziali del 2014), non si escludono nuovi attriti fra le due teste del potere esecutivo, considerata la recente intenzione manifestata dal Governo di modificare la legge elettorale e la Costituzione, al fine di definire meglio il ruolo del Presidente della Repubblica.
Certamente, abbastanza singolare anche il caso sloveno che, con un percorso del tutto differente rispetto ai suoi vicini, non solo è gia membro dell’Unione europea dal 2004, ma è anche il primo Paese dell’allargamento “a dieci” del 2004 ad aver aderito alla zona Euro già nel 2007. Cionostante, gli ultimi sviluppi sia a livello politico che economico sembrano oramai dirigerlo verso tutt’altre mete, ed i bei tempi del virtuosismo economico appaiono oggi ben lontani. Sono anni che la Slovenia vive infatti una situazione non solo di crisi economica ma anche di incertezza politica, culminata negli eventi di questi ultimi mesi che hanno portato prima alla sfiducia a fine febbraio del Governo di centro-destra del Premier Jansa (nell’arco di 5 anni è il secondo esecutivo ad essere sfiduciato dal Parlamento) e poi alla conseguente nascita a metà marzo, dopo difficili negoziati, di una nuova coalizione di Governo guidata dal principale partito finora all’opposizione, Slovenia positiva. Scongiurato dunque, almeno per quest’anno, il rischio di elezioni anticipate. Difficili, però, le responsabilità del nuovo esecutivo, tra le quali l’arduo compito di rilanciare l’economia del Paese e la necessità di conferire nuova credibilità alle sue istituzioni politiche.
Anche il Governo serbo sembra in questi giorni non navigare proprio in acque serene. Il nuovo anno non è stato di buon auspicio neanche per l’esecutivo del Premier socialista Dacic (insediatosi tra l’altro da meno di un anno), considerato che il suo presunto coinvolgimento in uno scandalo politico emerso ad inizio anno rischia di mettere a repentaglio la tenuta dell’attuale coalizione socialista-progressista. Secondo le ultime evoluzioni del caso, infatti, il Vicepremier Vucic, Presidente del partito di maggioranza relativa – il partito progressista serbo, non ha escluso di procedere ad un rimpasto dell’esecutivo (entro fine marzo) ed a possibili successive elezioni anticipate, circostanza quest’ultima che verrà definita solo dopo che il Consiglio europeo di giugno si sarà pronunciato su una possibile data per l’avvio dei negoziati di adesione della Serbia all’Unione europea. Godendo peraltro Vucic al momento di grande popolarità, l’ipotesi di elezioni anticipate ben si sposerebbe con la possibilità di dar vita ad un esecutivo progressista monocolore.
L’unico paese meno scosso dai sussulti balcanici sembra essere per ora la Croazia che, dopo aver raggiunto l’accordo sulla disputa bancaria con il politicamente tribolato vicino sloveno, si avvia a tagliare a breve il traguardo dell’adesione all’Unione Europea (prevista per luglio 2013). L’accordo trovato in questi giorni garantisce al Paese una pronta ratifica del trattato di adesione da parte della Slovenia e rimette nelle mani della Banca dei Regolamenti Internazionali l’arbitrato bancario, stavolta scevro delle pregiudizievoli che in passato avevano impedito un accordo.
Anche quest’anno la prossima stagione primaverile potrebbe rivelarsi politicamente “calda” per la regione balcanica, considerate soprattutto le più recenti evoluzioni della situazione politica in Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Romania, Serbia e Slovenia.
Unica nota positiva in questo contesto, l’oramai certa adesione della Croazia all’Unione europea. La situazione politica in Bosnia ed Erzegovina continua a rimanere infatti complessa, ostaggio di un continuo stallo politico-istituzionale che impedisce al Paese di progredire nel suo percorso di integrazione europea. Dopo aver atteso sedici mesi per la formazione di un nuovo Governo a livello centrale (dalle ultime politiche del 2010), la crisi politica si è spostata a livello delle due entità sub-nazionali. Nella Federazione, dopo mesi di pressioni e ostruzionismi reciproci tra i principali partiti in Parlamento, il Governo è stato sfiduciato lo scorso febbraio, ed è ora ostaggio della pronuncia finale della Coste costituzionale (che deve ancora approvare la sfiducia), ponendolo così in una situazione di limbo legale-istituzionale. Buone notizie, invece, dall’altra entità, la Repubblica Srpska, dove la recente impasse governativa causata dai disaccordi tra il Primo Ministro Dzombic ed il Presidente Dodik si è risolta con un rimpasto della squadra di Governo e la nomina di un nuovo PM, vicino al Presidente (questa scelta lascia ben intendere come il vero obiettivo del Presidente Dodik sia quello di rafforzare nuovamente il proprio partito SNSD in vista delle prossime elezioni del 2014).