Questa storia inizia dieci anni fa. Quando due documentaristi americani, Zach Niles e Banker White, stavano cercando delle storie per un film nei campi profughi della Guinea, dove molti rifugiati avevano trovato asilo scappando dalla guerra civile in Sierra Leone.
Come molti sapranno infatti, negli anni novanta la Sierra Leone è stata dilaniata da una terribile guerra, che ha portato milioni di persone a lasciare le proprie case per fuggire da una morte certa.
In uno di questi campi, chiamato Sembakounya, i due statunitensi incontrarono dei musicisti. Arrivavano tutti da Freetown: Ruben Koroma (che ora è leader e cantante del gruppo) e sua moglie Grace avevano lasciato la Sierra Leone nel 1997, e sulla strada della loro fuga hanno incontrato Francis John Langba (chitarrista) e Idrissa Bangura (bassista). Si conoscevano anche prima della guerra, ma le contingenze drammatiche in cui si ritrovarono li unirono, portandoli presto a decidere di formare un gruppo musicale per intrattenere gli altri profughi del campo in cui stavano, poi anche quelli di molti altri campi vicini.
Niles e White li hanno seguiti per tre anni, con le loro telecamere, proprio in questo tour decisamente sui generis, da un campo di rifugiati a un altro. Poi finì anche la guerra, così col tempo questi musicisti tornarono a Freetown, ormai però legati in modo indissolubile dalla musica e dalle esperienze fatte insieme.
Dal 2004 in poi, grazie anche all’arrivo a Freetown di altri musicisti incontrati nelle varie peregrinazioni in Guinea, nascono i Sierra Leone’s Refugee All Star.
Due anni dopo, un film con lo stesso nome della formazione e un album, “Living like a refugee”, pubblicato dalla prestigiosa etichetta ANTI, permisero a questo gruppo dalla storia così intensa e particolare di essere conosciuto in tutto il mondo.
Dalla fondazione della band a oggi sono passati dieci anni. E per celebrare questa ricorrenza gli All Star hanno deciso di tornare alle proprie radici con quello che è ora il loro quarto disco da studio.
“Libation” è stato prodotto da Chris Velan, che fu già artefice dei suoni del loro debutto. Ma se le prime canzoni degli All Star erano state registrate nei ghetti della capitale della Sierra Leone, con qualsiasi strumento gli capitasse a tiro, con mezzi di fortuna, queste nuove tracce vengono invece da un lavoro molto diverso. Nello studio di registrazione Cumbancha, nello stato americano del Vermont, questi ex-profughi hanno trovato chitarre acustiche vintage e percussioni altrettanto ricercate, con cui hanno provato a esplorare alcuni dei ritmi tradizionali che avevano conosciuto da bambini.
E così gli All Star ci fanno scoprire stili chiamati “Highlife”, “Maringa”, “Palm wine”, “Baskeda”, “Gumbe”: la ricchezza musicale del folklore della Sierra Leone, spesso incrociata con il linguaggio universale del reggae, sta alla base delle nuove composizioni del gruppo, che in questi dieci anni non ha smesso di pensare alla propria turbolenta storia, complici anche alcuni lutti tra i membri originali della band, e una situazione politica e sociale certamente non serena, nel loro paese natale, nonostante la fine della guerra civile.
Così i temi che hanno caratterizzato le loro canzoni sino a qui, tornano con la medesima convinzione e intensità anche nei nuovi brani. La richiesta di pace, giustizia sociale ed economica, attraversa la maggior parte dei testi del disco, a fianco di alcune romantiche e morbide canzoni d’amore.
Ma nonostante gli arrangiamenti acustici, e gli argomenti non proprio leggeri delle canzoni, la forza trascinante dei Sierra Leone’s Refugee All Star sta anche e soprattutto nella capacità della loro musica di essere sempre sorridente, calda, coinvolgente.
“Libation” è forse il loro disco migliore, più riuscito, completo e maturo, capace di riprendere la cruda urgenza del primo album e di riproporla con una produzione estremamente pulita e curata. Perdersi tra queste note, accompagnati dalle splendide voci degli All Star, sarà ancora più facile sotto un caldo cielo estivo.
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Questa storia inizia dieci anni fa. Quando due documentaristi americani, Zach Niles e Banker White, stavano cercando delle storie per un film nei campi profughi della Guinea, dove molti rifugiati avevano trovato asilo scappando dalla guerra civile in Sierra Leone.
Come molti sapranno infatti, negli anni novanta la Sierra Leone è stata dilaniata da una terribile guerra, che ha portato milioni di persone a lasciare le proprie case per fuggire da una morte certa.