Finchè l’esito del conflitto in Libia rimane incerto, la Cina mantiene un approccio di engagement strategico con entrambe le controparti politiche. L’agenda cinese è focalizzata su interessi economici e sullo sviluppo ed estensione dei progetti della Belt and Road Initiative.
Rispetto ad altri attori – quali Turchia, Russia ed Emirati Arabi Uniti – il ruolo della Cina in Libia è stato il più delle volte sottovalutato. Pechino ha infatti evitato sia il coinvolgimento militare nel conflitto, sia l’approvvigionamento di armamenti alle fazioni politiche coinvolte. L’approccio di Pechino – definito behind-the-scenes diplomacy, o diplomazia dietro le quinte – rivela la volontà del Paese di scommettere su entrambe le controparti politiche al fine di cogliere i frutti della collaborazione nell’era post-conflitto e preservare gli interessi a lungo termine.
Prospettive Storiche
Tripoli e Pechino formalizzarono le relazioni diplomatiche nel 1978 e, sotto il regime Gheddafi, i rapporti economici si svilupparono consistentemente: al 2011, vi erano 75 compagnie cinesi che operavano nel Paese, generando un valore stimato intorno ai $20 milioni. Al contempo, Tripoli provvedeva al 3% delle forniture di petrolio cinesi, un decimo dell’export totale di petrolio libico.
Durante la Rivoluzione del 2011, la Cina si oppose all’intervento NATO, si astenne dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite relativa all’autorizzazione delle incursioni aeree e condannò apertamente la NATO per le vittime civili. In linea con il suo approccio alla politica estera, la Cina evitò di ricorrere alla dottrina della Responsabilità di Proteggere – Responsbility to Protect (R2P) -, si attenne al principio di non interferenza e tentò di proteggere i propri interessi e integrità.
Per effetto del conflitto, le relazioni commerciali diminuirono del 75%, i progetti infrastrutturali cinesi vennero congelati e la popolazione evacuata. Tuttavia, Pechino mantenne i canali comunicativi attivi sia con il governo di opposizione, il Consiglio Nazionale di Transizione – National Transitional Council (NTC) -, sia con il regime Gheddafi, il futuro Governo di Accordo Nazionale – Government of National Accord (GNA) -.
A seguito della seconda guerra civile nel 2014, Pechino ha conservato questo approccio pragmatico, consolidando la strategia di collaborazione economica con entrambe le controparti politiche, pur mantenendo un profilo politico neutro. Dal 2014, la Cina ha abbandonato la dottrina di non-interferenza e ha invece adottato una strategia di non-allineamento: il Paese ha ufficialmente riconosciuto il Governo di Accordo Nazionale, mantenendo al contempo le relazioni economiche de facto con la fazione di Haftar.
A seguito delle elezioni del 2021, che hanno visto la vittoria del Primo Ministro Dabaiba e il Presidente del Consiglio Presidenziale Menfi, la Cina ha dato il benvenuto alla nuova leadership politica, confermando gli sforzi per trovare una soluzione internazionale al conflitto: Pechino non ha segnalato né cambi di strategia, né la volontà di maggiore coinvolgimento, confermando la tattica di hedging adottata fino ad ora.
La strategia cinese
Le relazioni tra la Cina e i Paesi della regione Medio Oriente e Nord Africa – Middle East and North Africa, (MENA) – sono cresciute esponenzialmente negli ultimi anni e l’area è al momento il secondo destinatario per investimenti nell’ambito della Belt and Road Initiative (BRI) e progetti infrastrutturali cinesi. Inoltre, tutti i 15 Paesi della regione MENA hanno firmato un Memorandum of Understanding, accordi di Strategic Partnership o di Comprehensive Strategic Partnership con la Cina.
La visione a lungo termine e la strategia cinese nella regione chiariscono l’approccio cinese in Libia: Pechino sta adottando un approccio attendista, poiché non è tanto interessata all’esito del conflitto, quanto a beneficiare della futura relazione con il partito politico vincitore. Questa strategia è simile a quella implementata in altri Paesi afflitti da guerre – quali Iraq, Yemen e Siria -, dove la Cina adotta un approccio flessibile al fine di divenire futuro attore nella ricostruzione post-conflitto, contribuire a stabilità e sviluppo, potenziare le partnership commerciali e partecipare a futuri progetti infrastrutturali ed energetici.
Dalla caduta del regime Gheddafi, la Cina si è infatti concentrata sulla penetrazione economica del Paese, limitando e affrontando con precauzione l’engagement politico e focalizzandosi sulle realtà locali sfaccettate. Ufficialmente, la Cina riconosce il GNA, partner fondamentale in Libia in quanto legato alla Banca Centrale della Libia e pertanto in grado di controllare fondi, contratti e capitali. Per il Governo di Unità Nazionale, la Cina è un partner necessario per i progetti infrastrutturali e per la futura ricostruzione del Paese. Entrambi gli attori hanno reso esplicita la relazione, soprattutto nel 2018, quando Tripoli ha partecipato al FOCAC, il Forum ministeriale sulla cooperazione Cina-Africa, e ha firmato un accordo con Pechino per l’implementazione dei progetti BRI nel territorio.
Al contempo, Pechino mantiene i contatti con la fazione di Haftar; tuttavia, questa relazione è prettamente economica e la Cina si mantiene distante da ogni sforzo di mediazione politica. Questo legame è innanzitutto fondamentale per salvaguardare gli interessi di sicurezza energetici di Pechino, poiché l’Esercito Nazionale di Liberazione Libico – Libyan National Army (LNA) – controlla la maggior parte delle riserve di petrolio. La China National Petroleum Corporation (CNPC) e le società sussidiarie cinesi sono infatti sempre maggiormente coinvolte con l’est della Libia. Tuttavia, il perimetro di questa relazione è definito dalla mancanza di controllo della valuta da parte dell’LNA, nonché dall’impossibilità di firmare contratti interazionali.
Traiettorie geopolitiche
A livello internazionale, la Cina supporta le soluzioni multilaterali, in contrasto con le iniziative proposte da singoli Paesi – quali quelle avanzate da Italia, Francia ed Emirati – ed è inoltre scettica sulla capacità di attori esterni di contribuite positivamente al conflitto.
Nel framework delle Nazioni Unite, la Cina evita di assumere ruoli di spicco e ogni tipo di coinvolgimento diretto, lasciando spazio ad altre grandi potenze. Inoltre, la Cina non ha fornito nessun tipo di supporto tangibile a nessuna delle due controparti: Pechino si è infatti rifiutata di incontrare la richiesta del GNA di revocare l’embargo internazionale sugli armamenti e di scongelare gli asset governativi. Infine, la Cina non ha inviato alcun tipo di armamento nel Paese, ma unicamente sostegno economico e tecnologico.
Per quanto riguarda il coinvolgimento di altri attori nel conflitto, taluni analisti cinesi hanno indicato la possibilità di future frizioni con la Turchia: nonostante sia Pechino sia Ankara supportino il GNA, Ankara desidererà probabilmente placare le preoccupazioni statunitensi in cambio del supporto di Washington nella competizione tra Turchia, Russia ed Emirati. Questo approccio ambizioso potrebbe influenzare negativamente il ruolo di Pechino in Libia, compromettendo la possibilità di beneficiare del coinvolgimento nel Paese. Per quanto riguarda Mosca, nonostante Russia e Cina supportino fazioni contrapposte, ciò non pare influenzare negativamente la relazione bilaterale: se Mosca aspira infatti a divenire un attore in grado di influenzare le traiettorie politiche nel Maghreb, l’agenda cinese è fondamentalmente focalizzata su interessi economici e sullo sviluppo ed estensione dei progetti della Belt and Road Initiative.
Rispetto ad altri attori – quali Turchia, Russia ed Emirati Arabi Uniti – il ruolo della Cina in Libia è stato il più delle volte sottovalutato. Pechino ha infatti evitato sia il coinvolgimento militare nel conflitto, sia l’approvvigionamento di armamenti alle fazioni politiche coinvolte. L’approccio di Pechino – definito behind-the-scenes diplomacy, o diplomazia dietro le quinte – rivela la volontà del Paese di scommettere su entrambe le controparti politiche al fine di cogliere i frutti della collaborazione nell’era post-conflitto e preservare gli interessi a lungo termine.
Tripoli e Pechino formalizzarono le relazioni diplomatiche nel 1978 e, sotto il regime Gheddafi, i rapporti economici si svilupparono consistentemente: al 2011, vi erano 75 compagnie cinesi che operavano nel Paese, generando un valore stimato intorno ai $20 milioni. Al contempo, Tripoli provvedeva al 3% delle forniture di petrolio cinesi, un decimo dell’export totale di petrolio libico.