Persiste l’incertezza in Niger. La giunta si dice aperta a negoziati, ma porta avanti decisioni e minacce che non fanno altro che allontanare il dialogo. Anche l’ECOWAS invoca il dialogo, ma non esclude un intervento militare.
La giunta del Niger, salita al potere con un colpo di stato il 26 luglio scorso, ha ordinato all’ambasciatore francese Sylvain Itte di lasciare il Paese entro 48 ore. L’annuncio è arrivato venerdì 25 agosto, e rispecchia un clima sempre più teso e conflittuale tra Niamey e il suo ex dominatore coloniale. Da questo punto di vista, il colpo di stato nigerino condivide alcune similitudini con altri recenti golpe africani, in Burkina Faso e in Mali. Entrambi si sono verificati nel mezzo di una crescente ondata di sentimenti antifrancesi, motivati con accuse di ingerenza verso Parigi.
La giunta golpista ha riportato i motivi che l’avrebbero spinta a chiedere la partenza dell’ambasciatore francese, giustificando la propria azione come una risposta ad azioni contrarie agli interessi del Paese africano. Nello specifico, una di queste sarebbe il rifiuto dell’inviato di incontrare il nuovo ministro degli Esteri scelto dai militari dopo il colpo di stato. Il Ministero degli Esteri francese ha dichiarato di aver “preso nota” dell’ordine di espulsione, ma ha anche che i “putschisti” non hanno nessuna autorità per fare questa richiesta.
Fino ad ora, non sembra che la giunta golpista si sia fatta intimorire dalle minacce della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), che venerdì scorso ha ri-esortato i leader nigerini a ripristinare il governo civile. Per l’ECOWAS la minaccia della forza rimane ancora “molto presente”; infatti, la comunità avrebbe stabilito un “D-Day” non rivelato per l’intervento militare in Niger.
Messaggi contrastanti
Nonostante tutto, l’ECOWAS continua a sottolineare come i negoziati rimangano la sua priorità. Ma continua anche a sottolineare che, se necessario, si ricorrerà ad un “uso legittimo della forza” per ripristinare la democrazia. Agli occhi del presidente della commissione ECOWAS Omar Alieu Touray, la questione supera i confini del Niger: si tratta di testare “la determinazione della comunità a fermare la spirale dei colpi di Stato nella regione”. Ad oggi, la comunità regionale si trova già coinvolta nella negoziazione con le amministrazioni militari del Mali, del Burkina Faso e della Guinea. In teoria, tutte stanno lavorando alla transizione verso la democrazia dopo i loro colpi di stato; in pratica, le giunte di Burkina Faso e Mali continuano ad esprimere il loro supporto per i ‘compagni di golpe’ in Niger.
I nuovi governanti del Niger si dicono anch’essi aperti ai negoziati, superando l’iniziale chiusura. Ma, anche in questo caso, i messaggi sono contrastanti. Continuano, infatti, le minacce di accusare il presidente eletto Bazoum – ancora detenuto nella sua residenza ufficiale insieme alla famiglia – di tradimento. Inoltre, gli ufficiali militari hanno rilasciato un comunicato congiunto con Mali e Burkina Faso che autorizza questi ultimi a intervenire nel Paese in caso di “aggressione” da parte dell’ECOWAS.
Un test per l’Africa occidentale (e non solo)
Quando il mese scorso il presidente nigeriano Bola Ahmed Tinubu è stato eletto presidente dell’ECOWAS, nel suo discorso di accettazione ha promesso che il blocco non poteva permettere “un colpo di Stato dopo l’altro”, rimarcando che, per quanto difficile da gestire, la democrazia rimane “la migliore forma di governo”.
Per tanti analisti specializzati nelle dinamiche politiche del continente, il colpo di stato in Niger sarà un evento di svolta per la geopolitica intra-africana. Per Tatiana Smirnova, ricercatrice presso il Centre FrancoPaix sulla risoluzione dei conflitti e le missioni di pace, “Per l’ECOWAS, la posta in gioco è enorme”, poiché da come reagirà dipenderà gran parte del suo futuro.
Quando è stata fondata nel 1975, l’ECOWAS era stata concepita per promuovere i legami economici e monetari all’interno della regione. Ma il suo campo d’azione si è notevolmente ampliato negli ultimi decenni – a partire dagli interventi armati degli anni ’90 nelle guerre civili in Sierra Leone e Liberia – arrivando ad includere operazioni di sicurezza e coordinamento militare.
La crisi politica nigerina supera i confini nazionali e regionali, ma anche del continente. Se era iniziata come un affare interno, è stata velocemente proiettata in un contesto più ampio di competizione tra i Paesi occidentali e la Russia. Quest’ultima è stata accolta calorosamente da diverse giunte africane e, anche nel caso nigerino, non sono mancati gli indizi su un coinvolgimento attivo di Mosca nel golpe. Il Niger è uno degli stati africani che più stava coltivando un buon rapporto con l’Occidente, ospitando soldati statunitensi e francesi nell’ambito delle iniziative antiterrorismo. Questi elementi hanno reso il colpo di stato in Niger un evento polarizzante, carico di valore geopolitico. Dalla sua risoluzione o meno, passa il futuro dei cittadini nigerini, del Sahel, dell’ECOWAS e anche dell’influenza occidentale nella regione. Tanta carne al fuoco che rende la questione una priorità internazionale.