Rame, zinco, argento, oro; ma anche litio, scandio e tutti i metalli essenziali per l’hi-tech. Tanti i motivi per contendersi le artiche isole Svalbard
Nel settembre 1973 arrivò a Oslo il vice Ministro degli Esteri sovietico Igor Zemskov. Fresco di nomina, non fece una buona impressione sui suoi interlocutori. Secondo un cable riservato della diplomazia Usa reso pubblico da WikiLeaks, Zemskov sapeva poco delle maggiori questioni internazionali; tuttavia era interessato a discutere delle relazioni bilaterali, specie delle Svalbard. O meglio: delle Spitsbergen, come tendono a chiamarle i russi, preferendo usare il vecchio nome dell’arcipelago (usato anche dal trattato internazionale del 1920, che riconosce la sovranità norvegese, “piena e assoluta”, sulle isole).
“I norvegesi – notava il cable – iniziano a preoccuparsi in merito alla progressiva erosione della loro sovranità sulle Svalbard a causa delle inadeguate risorse amministrative locali e dell’attitudine sovietica”, mirante a ottenere “uno status speciale nelle Svalbard, diverso da quello degli altri paesi firmatari del trattato del 1920”. Secondo quanto diceva agli americani la loro fonte norvegese, “i sovietici insistono che solo Norvegia e Urss hanno interessi nelle Svalbard”.
Secondo un altro cable l’approccio del Cremlino ricordava a Oslo quello del Ministro degli Esteri Molotov durante la guerra, quando cercava di persuadere il suo collega Trygve Lie a lasciare il controllo delle Svalbard all’Urss, o a creare un condominio sovietico-norvegese.
L’Urss non c’è più, ma Mosca sulle Svalbard non molla. “L’errore di molti è pensare che il revisionismo russo si limiti alla Crimea o al Donbass; spiega un diplomatico occidentale che conosce bene il tema, ed esige il massimo riserbo sulla sua identità. I russi sanno che l’Artico rappresenta per loro una grande opportunità, specie nel medio-lungo periodo, e le Svalbard giocano nella regione un ruolo strategico”.
Sia chiaro: neanche i russi mettono in discussione la sovranità norvegese sull’arcipelago. Ma per citare il diplomatico, “la Russia legge il trattato del 1920 in un modo un po’ diverso da come lo leggono i norvegesi o, che so, i canadesi”. In base al trattato gli Stati firmatari – a oggi 46, Italia inclusa – hanno tutti pari diritto di svolgere attività commerciali sull’arcipelago, ad esempio pescare o estrarre minerali. È vietata la creazione di basi navali e fortificazioni, è consentito ai norvegesi regolamentare la protezione di flora e fauna (e loro non si tirano indietro).
Le isole Svalbard
Come spiega Andreas Østhagen, ricercatore senior al prestigioso Fridtjof Nansens Institutt, “ci sono Paesi che pensano che la Norvegia dovrebbe concedere un po’ più di margine o essere un po’ più generosa nel modo in cui amministra la sua sovranità sulle Svalbard, dato che il trattato pone un insieme di regole che la Norvegia dovrebbe rispettare, per quanto concerne la ricerca scientifica, l’attività economica e così via”. Ad esempio circa due terzi dell’arcipelago è area protetta, e ciò non piace a tutti. Sottolinea Østhagen: “I russi e i cinesi non si lamentano della sovranità norvegese, ma di come essa viene esercitata”.
Le Svalbard sono tra le chiavi di volta dell’Artico, come l’Islanda. Sono relativamente vicine alla Penisola di Kola, dove ha le sue basi la Flotta del Nord, strategica per Putin. E rispetto alla Terra di Francesco Giuseppe, le Svalbard sono abitate, e dotate di infrastrutture essenziali. Insomma, già oggi sono la porta d’accesso all’estremo nord.
Per Roberto Sparapani, tra gli uomini del CNR che hanno costruito la base Dirigibile Italia a Ny-Ålesund, “le Svalbard sono un hub cruciale, tant’è vero che Cina, India, Giappone e Corea del Sud hanno aperto basi di ricerca tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio dei 2000 perché per loro era l’unico modo per avere un piede all’interno del sistema artico”.
Ma le isole hanno anche un valore economico intrinseco. A partire dal pesce, assai apprezzato in un mondo sempre più affamato di proteine. Come ricorda Andreas Østhagen, le acque intorno alle Svalbard “hanno lo stock di merluzzo più grande del mondo. Che la Norvegia co-gestisce con la Russia. E poi ci sono gamberi, crostacei e così via”.
Finora è stata la pesca il principale fattore di tensioni (limitate) nell’Artico. Questo vale sia nelle acque dell’Alaska che delle Svalbard: l’anno scorso le autorità norvegesi hanno fermato un peschereccio russo sospettato di pescare in un’area protetta, facendo infuriare Mosca.
Una recente ricerca ha indicato la presenza di ingenti giacimenti di rame, zinco, argento, oro e altro tra l’isola (norvegese) di Jan Mayen e le Svalbard. Il loro sfruttamento è arduo dal punto di vista tecnico e ambientale, ma Oslo dovrebbe iniziare ad autorizzare l’attività mineraria in acque profonde già nel 2023. A un Paese che punta a essere leader nella transizione ecologica, riserve sottomarine di litio, scandio e altri metalli cruciali per l’hi-tech fanno gola.
Gli interessi di Russia e Cina
La Russia non sta a guardare. Nel 2015 una visita del vice Primo Ministro Dmitry Rogozin nell’arcipelago irritava Oslo, dato che al politico (sotto sanzioni) era stato vietato l’accesso nel paese. Nel 2016 l’aeroporto di Longyearbyen, capoluogo e sola vera città delle Svalbard, veniva utilizzato da truppe speciali cecene dirette a un’esercitazione in una base temporanea nei ghiacci del Polo Nord (88°-89° di latitudine).
Nel febbraio 2020 una portavoce del Ministro degli Esteri russo accusava la Norvegia di aver violato, negli ultimi anni, all’atto pratico, il trattato del 1920. La portavoce ricordava poi che “le Svalbard furono trasferite alla Norvegia a certe condizioni”. Solo poche settimane prima il ministro degli esteri russo, Lavrov, aveva comunicato a Oslo che Mosca intendeva, nel lungo termine, rafforzare (e diversificare) la sua presenza nelle Svalbard.
Il carbone è stato per quasi cento anni la motivazione data dai russi per la loro presenza. A Barentsburg c’è un insediamento minerario dal sapore sovietico che nei suoi giorni migliori contava 2.500 operai, oggi meno di un quinto. Si dovrebbe aprire una nuova miniera, ma costa. E allora i russi puntano su turismo e ricerca scientifica.
Non sono i soli. I cinesi nelle Svalbard hanno ad esempio la stazione artica Fiume Giallo, a Ny-Ålesund. Nel 2014 un miliardario cinese progettava di costruire un grande complesso turistico, ma Oslo ha vanificato l’operazione con l’acquisto dei terreni. E ha detto no anche al progetto cinese di costruire una potente antenna radar. La tecnologia doveva monitorare i venti solari, ma poteva avere altri usi (secondo i media norvegesi, pure spionistici).
Per fortuna le Svalbard non sono come Vienna o Berlino ai tempi della Guerra fredda. Sono un luogo aperto e tranquillo, incontaminato. In virtù del trattato non serve neanche il visto per entrare. Tutti possono vivere lì, e far parte di una coesa e cosmopolita comunità di quasi tremila abitanti, purché siano in grado di mantenersi e di usare un fucile: ci si può sempre imbattere in un orso polare.
“In teoria non hai bisogno di un avere un fucile quando sei è in città, ma occorre buonsenso. Gli orsi non leggono le insegne stradali, e specie nei mesi di buio, quando qui ci sono poche persone, non devi dare per scontato che un orso non possa entrare. Non ci sono recinti intorno alla città, e anche se abbiamo i lampioni, è comunque abbastanza buio. Nel Natale 2019, tanto per dire, un orso camminava per la strada principale. Io consiglio la cautela” dice Even Tvede Lunde, insegnante alla scuola di Longyearbyen (“la più settentrionale del mondo” sottolinea).
E dovrà essere cauta anche la diplomazia norvegese nei prossimi anni. Con il crescente interesse per le isole dei russi (e dei cinesi), e una “corsa all’Artico” ormai globale, non è escluso che le fredde Svalbard diventino un’area molto calda.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di luglio/agosto di eastwest.
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Rame, zinco, argento, oro; ma anche litio, scandio e tutti i metalli essenziali per l’hi-tech. Tanti i motivi per contendersi le artiche isole Svalbard
Nel settembre 1973 arrivò a Oslo il vice Ministro degli Esteri sovietico Igor Zemskov. Fresco di nomina, non fece una buona impressione sui suoi interlocutori. Secondo un cable riservato della diplomazia Usa reso pubblico da WikiLeaks, Zemskov sapeva poco delle maggiori questioni internazionali; tuttavia era interessato a discutere delle relazioni bilaterali, specie delle Svalbard. O meglio: delle Spitsbergen, come tendono a chiamarle i russi, preferendo usare il vecchio nome dell’arcipelago (usato anche dal trattato internazionale del 1920, che riconosce la sovranità norvegese, “piena e assoluta”, sulle isole).