Un medagliere olimpico con Pechino in vantaggio rispetto a Washington circola sul web cinese: vengono conteggiate anche le medaglie vinte da Hong Kong e Taiwan. Ecco perchè l’affermazione sportiva è tanto importante per il Dragone.
Cina 42 ori, Stati Uniti 38. Così, a poche ore dalla loro conclusione, si stavano avviando alla chiusura i Giochi Olimpici di Tokyo 2020. Quantomeno secondo una versione alternativa del medagliere che è molto circolata sulla rete cinese. Com’è possibile il ribaltamento del finale reale, vale a dire 39 medaglie d’oro a 38 a favore degli Stati Uniti? Semplice, aggiungendo al conto dei successi cinesi quelli di Hong Kong e Taiwan.
L’ex colonia britannica ha conquistato un oro, due argenti e tre bronzi. Taipei invece è stata protagonista della migliore spedizione olimpica della sua storia con un totale di 12 medaglie (2 ori, 4 argenti e 6 bronzi). Medagliere non adottato dai media ufficiali cinesi, anche perché al di là delle considerazioni geopolitiche non si può certo negare che Hong Kong e Taiwan abbiano due federazioni sportive separate da quella della Repubblica Popolare.
L’episodio fa comunque capire quanto la Cina tenga all’affermazione in campo sportivo. Una storia che parte da lontano e che segue l’evoluzione generale dell’ascesa di Pechino.
Dopo una sporadica partecipazione senza medaglie a Helsinki 1952, infatti, gli atleti della Repubblica Popolare spariscono dalla circolazione per il riconoscimento di Taiwan, fino al reintegro nel Comitato Olimpico Internazionale nel 1979. L’ascesa sportiva comincia a Barcellona 1992 e ad Atlanta 1996, quando in entrambe le circostanze si issa al quarto posto del medagliere. Il salto di qualità arriva però a cavallo del nuovo millennio. A Sydney 2000 gli ori sono 28 con il terzo posto finale, mentre ad Atene 2004 si sale a 32 ori e il secondo posto con solo 4 vittorie in meno degli Stati Uniti.
Non è un caso. Subito dopo i Giochi australiani il governo cinese mette a punto il cosiddetto “Progetto 119”, dal numero di medaglie disponibili in alcune discipline sportive messe nel mirino delle autorità. Il programma fu messo a punto dopo le Olimpiadi del 2000 a Sydney, quando appunto erano in palio 119 medaglie tra atletica leggera, nuoto, canottaggio, canoa/kayak e vela. In quell’edizione, gli atleti cinesi avevano conquistato solo una medaglia. L’obiettivo era quello di insistere nell’addestramento dei giovani atleti su quelle discipline, insieme al perfezionamento di quelle in cui tradizionalmente le nazioni occidentali erano più attaccabili.
Risultato: ai Giochi Olimpici di Pechino 2008 la Cina trionfa al medagliere per la prima volta nella sua storia con 100 medaglie, 48 delle quali d’oro e ben 12 in più degli Stati Uniti. Quelle Olimpiadi sono il segno plastico della rinascita cinese. Proprio nell’anno della grande crisi finanziaria che ha colpito l’Occidente, Pechino comunica al mondo che il “secolo delle umiliazioni” è finito. Dopo un secondo posto a Londra 2012 con 38 ori, a Rio 2016 arriva un deludente terzo posto con “solo” 26 ori.
In questi ultimi cinque anni però è successo di tutto: Donald Trump ha avviato una guerra commerciale che si è rivelata essere molto più di una mera questione di dazi e bilancia dell’interscambio. Anzi, con Joe Biden ha assunto le proporzioni di una competizione valoriale e quasi ideologica. Ecco che allora Tokyo 2020, edizione svoltasi in ritardo di un anno a causa della pandemia da Covid-19, è diventato un palcoscenico sul quale la Cina non si accontenta più di mostrare di essersi risvegliata. Ora Pechino vuole primeggiare, in linea con il sorpasso economico agli Stati Uniti che secondo alcuni analisti potrebbe avvenire entro il 2028. In Giappone gli atleti cinesi hanno conquistato 88 medaglie, 38 d’oro, capeggiando la classifica per tutte e due le settimane della manifestazione, subendo però il sorpasso proprio all’ultimo giorno. Questo perché nelle ultime giornate si assegnano le medaglie degli sport di squadra, quelli dove tradizionalmente la Cina fa più fatica e gli Stati Uniti eccellono.
Vari episodi chiariscono che le Olimpiadi per la Cina (e per gli atleti cinesi) non sono solo una questione sportiva. Zhang Yufei, dopo aver conquistato l’oro ai 200 farfalla, ha dichiarato di aver sentito il “potere della Cina” che la sosteneva negli ultimi 50 metri verso la vittoria. Bao Shanju e Zhong Tianshi si sono presentate sul podio dopo aver vinto nel ciclismo su pista a squadre con delle spillette di Mao Zedong.
Dall’altra parte, gli utenti cinesi hanno dato sfogo al nazionalismo prendendo di mira gli “sconfitti”, vale a dire gli atleti che hanno conquistato “solo” una medaglia d’argento in discipline nelle quali la Cina era in partenza favorita. Per esempio Liu Shiwen e Xu Xin, sconfitti dal Giappone nella finale del doppio misto di tennis tavolo. O soprattutto Li Junhui e Liu Yuchen, che hanno perso contro la coppia taiwanese nella finale del badminton.
Yang Qian, prima medaglia d’oro di Tokyo 2020 nel tiro a segno, è stata invece criticata perché indossava delle scarpe Nike, tra i brand internazionali che hanno espresso critiche sui lavori forzati nello Xinjiang. Ora, tra soli sei mesi, si torna a Pechino. A febbraio si svolgono infatti i Giochi Olimpici invernali nella capitale cinese. Mentre da occidente arrivano chiamate al boicottaggio, il governo cinese si prepara all’evento, nonostante le discipline invernali storicamente non sorridano agli atleti locali. Ma, c’è da scommetterci, il palcoscenico per una auspicata nuova dimostrazione di forza sarà pronto.
Cina 42 ori, Stati Uniti 38. Così, a poche ore dalla loro conclusione, si stavano avviando alla chiusura i Giochi Olimpici di Tokyo 2020. Quantomeno secondo una versione alternativa del medagliere che è molto circolata sulla rete cinese. Com’è possibile il ribaltamento del finale reale, vale a dire 39 medaglie d’oro a 38 a favore degli Stati Uniti? Semplice, aggiungendo al conto dei successi cinesi quelli di Hong Kong e Taiwan.
L’ex colonia britannica ha conquistato un oro, due argenti e tre bronzi. Taipei invece è stata protagonista della migliore spedizione olimpica della sua storia con un totale di 12 medaglie (2 ori, 4 argenti e 6 bronzi). Medagliere non adottato dai media ufficiali cinesi, anche perché al di là delle considerazioni geopolitiche non si può certo negare che Hong Kong e Taiwan abbiano due federazioni sportive separate da quella della Repubblica Popolare.
L’episodio fa comunque capire quanto la Cina tenga all’affermazione in campo sportivo. Una storia che parte da lontano e che segue l’evoluzione generale dell’ascesa di Pechino.
Dopo una sporadica partecipazione senza medaglie a Helsinki 1952, infatti, gli atleti della Repubblica Popolare spariscono dalla circolazione per il riconoscimento di Taiwan, fino al reintegro nel Comitato Olimpico Internazionale nel 1979. L’ascesa sportiva comincia a Barcellona 1992 e ad Atlanta 1996, quando in entrambe le circostanze si issa al quarto posto del medagliere. Il salto di qualità arriva però a cavallo del nuovo millennio. A Sydney 2000 gli ori sono 28 con il terzo posto finale, mentre ad Atene 2004 si sale a 32 ori e il secondo posto con solo 4 vittorie in meno degli Stati Uniti.