L'Organizzazione mondiale del commercio compie 25 anni. È tempo di trovare strumenti per arginare il protezionismo e nuove condizioni per bilanciare i rapporti tra gli Stati
L’Organizzazione mondiale del commercio compie 25 anni. È tempo di trovare strumenti per arginare il protezionismo e nuove condizioni per bilanciare i rapporti tra gli Stati
Venticinque anni fa nasceva l’Organizzazione mondiale del commercio. Un’organizzazione internazionale conosciuta anche in Italia con l’acronimo WTO, che sta per World Trade Organization. Dopo le prime iniziative nate sotto l’egida delle Nazioni Unite, il WTO si assesta come organizzazione stabile solo dopo il crollo dell’Unione sovietica, fino a coinvolgere più di 160 Paesi.
La sua nascita segna l’apice della fase storica in cui la globalizzazione si realizza pienamente, quando gli scambi raggiungono livelli mai visti: tra il 1990 e la crisi economico-finanziaria del 2008. Una fase che vedrà il mondo cambiare moltissimo: i Paesi del blocco sovietico transitano dall’economia pianificata alla libera concorrenza, nasce l’euro e la Cina entra nel WTO.
Eventi carichi di promesse che meritano di essere ricordati per comprendere l’altra fase storica, cioè quella iniziata dopo il 2008. Una fase simile per gravità a quella appena iniziata pochi mesi fa, quando il mondo ha scoperto i rischi della prima vera pandemia nel tempo della globalizzazione. Il venticinquesimo anniversario del WTO cade in un momento in cui tanti interrogativi pongono dubbi sul futuro di questa e altre organizzazioni che si occupano delle regole del commercio internazionale.
La politica commerciale degli Usa
Potremmo ragionare sui problemi degli scambi commerciali alla luce delle scelte di politica estera del Paese che più di ogni altro ha influenzato lo sviluppo economico globale nell’ultimo secolo: gli Stati Uniti d’America. Indipendentemente dalla retorica che ha contraddistinto la strategia del Presidente Trump, le sue scelte in politica commerciale non sono completamente estranee alla linea seguita da Washington nel lungo periodo. È vero che nessun altro Presidente prima di lui aveva parlato di un’organizzazione “inutile”, come ha scritto Trump in un suo tweet, ma altri suoi predecessori hanno mostrato una certa ambivalenza, a volte incoraggiando politiche di free trade, altre volte dimostrandosi diffidenti.
Nel 1918 gli Usa fecero il loro ingresso sulla scena politica mondiale e l’allora Presidente americano Woodrow Wilson, nei suoi Quattrodici punti, invitava i leader a ripensare (dopo la tragedia della Grande guerra) i rapporti tra Stati sulla base della “soppressione, per quanto possibile, di tutte le barriere economiche ed eguaglianza di trattamento in materia commerciale”. Parole che hanno ispirato molti altri Presidenti, come Reagan, ma mai pienamente attuate.
Bill Clinton, Presidente al tempo della nascita del WTO, commentava il commercio globale e senza barriere parlando di “mixed feelings” (cioè, sentimenti incerti). Clinton in più occasioni fece riferimento a possibili perdite di posti di lavoro, ma aggiunse anche che il progetto del WTO era legato alla prospettiva di prosperità, democrazia e pace.
A distanza di molti anni, secondo numerose analisi politiche, la globalizzazione e i suoi postulati − quelli di uno spazio senza sistemi di controllo né limiti alla concorrenza, senza protezione dei brevetti né degli standard sociali del lavoro − hanno avuto effetti positivi e negativi sulle società occidentali. Si tratta delle condizioni che hanno permesso a tanti populisti di lanciare messaggi di chiusura al mondo. Le risposte a queste fragilità interne agli Stati dovranno spingere il WTO verso nuovi obiettivi.
L’amministrazione Trump
Nei mesi della campagna di Trump nel 2016, l’economista Milanović pubblicava un libro dal titolo Ingiustizia globale. Migrazioni, disuguaglianze e il futuro della classe media, in cui spiegava che negli anni dell’alta globalizzazione (1988-2008) quella parte della popolazione mondiale il cui reddito pro capite era cresciuto di meno era costituita dalle classi medie dei Paesi dell’Europa e del nord America. Secondo Milanović chi aveva guadagnato dalla globalizzazione erano i popoli dell’area asiatica e pacifica. Da un lato l’apertura indiscriminata degli scambi avrebbe contribuito a creare il terreno fertile per movimenti politici estremisti che reclamano l’interesse nazionale, dall’altro molte democrazie con classi medie indebolite si sono trovate in un’instabilità difficile da governare. È in questa chiave di lettura che dovremmo leggere la politica di Trump, il futuro del WTO e quanto avvenuto negli ultimi anni: la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, le nuove barriere e la spirale del protezionismo.
La politica commerciale americana è stata riformata radicalmente dalla presidenza Trump, con una strategia inusuale per le relazioni diplomatiche, finalizzata al miglior accordo dopo un’escalation fatta di toni accesi e misure unilaterali d’inasprimento delle condizioni di scambio commerciale. Un processo ripetuto con tanti partner degli Usa e in primis con Canada e Messico fino alla recente riforma dell’accordo NAFTA. Trump, Trudeau e Peña Nieto hanno firmato un nuovo trattato (il cosiddetto USMCA) che rimodula gli scambi tra i rispettivi Paesi per tutelare settori che hanno sofferto dall’apertura indiscriminata del commercio, stabilire clausole di tutela della proprietà intellettuale e l’economia digitale. Una riforma che Trump auspica di riprodurre con tutti i maggiori partner, ridisegnando gli scambi commerciali degli Usa con condizioni di controllo per evitare che il mercato sia terra di nessuno. Sono fattori ricorrenti nei nuovi negoziati di Washington con la Cina e sono i temi che diventeranno centrali nella prospettiva di una revisione del WTO.
La strategia di Trump sul WTO è venuta allo scoperto lo scorso anno ed è abbastanza chiara: gli Usa saranno liberi di rivedere gli accordi commerciali riadattandoli con delle misure di protezione dell’economia nazionale (senza conseguenze sul piano giuridico), o lasceranno l’organizzazione. Una posizione che pone il WTO a un bivio: o il commercio internazionale cambia le sue regole o il WTO perderà la sua missione.
Lo scenario dopo la pandemia
Tuttavia, non si può ignorare che la visione di Trump sia stata stravolta dalla pandemia e questo cambia molte cose. Prima dell’emergenza Covid-19 stavano emergendo le basi per ridisegnare il commercio internazionale nella forma di accordi bilaterali, fondati su nuove regole per mitigare gli effetti redistributivi dell’apertura commerciale. Poi è arrivato il virus che ha raggiunto anche gli Usa, da New York City a San Francisco, con migliaia di vittime e milioni di nuovi disoccupati. Uno scenario che avrà un notevole effetto sulle scelte degli elettori americani e laddove il Presidente non dovesse essere rieletto, un cambio alla Casa Bianca potrebbe ripristinare una leadership in linea con i principi classici dell’ordine internazionale.
Intanto, il WTO sta cercando un nuovo spazio in un mondo che ha chiuso le frontiere (almeno alle persone). Roberto Azevedo, il direttore generale, avvisa che il commercio internazionale potrà ridursi di un terzo entro la fine dell’anno e invita tutti a coordinare misure comuni per una ripresa dell’economia globale nel 2021, proponendo il WTO come sede privilegiata per trovare soluzioni condivise. Le previsioni parlano di un “rimbalzo” dei trend di crescita del commercio globale nel prossimo anno, ma secondo Azevedo, ci vorrà più tempo senza un’effettiva collaborazione multilaterale.
Dopo la pandemia, non potremo andare né verso la de-globalizzazione, né verso una seconda globalizzazione senza controllo. Resta la terza opzione: riformare gli scambi con nuove condizioni per bilanciare i rapporti tra gli Stati. In questa nuova fase si potrà ricomporre uno spirito costruttivo per accogliere anche le istanze americane − tra l’altro condivise da vari Paesi occidentali − a favore di un sistema di garanzie nel commercio globale che sia il più completo possibile: dalla tutela della proprietà intellettuale agli strumenti per limitare gli effetti “indesiderati” della concorrenza senza limiti.
Questa sarà la nuova sfida del WTO, onde evitare che gli Stati si muovano in ordine sparso creando i rischi di nuove tensioni protezionistiche destinate a segnare l’economia globale anche quando tornerà alla sua “velocità”.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di giugno/luglio di eastwest.
Venticinque anni fa nasceva l’Organizzazione mondiale del commercio. Un’organizzazione internazionale conosciuta anche in Italia con l’acronimo WTO, che sta per World Trade Organization. Dopo le prime iniziative nate sotto l’egida delle Nazioni Unite, il WTO si assesta come organizzazione stabile solo dopo il crollo dell’Unione sovietica, fino a coinvolgere più di 160 Paesi.
La sua nascita segna l’apice della fase storica in cui la globalizzazione si realizza pienamente, quando gli scambi raggiungono livelli mai visti: tra il 1990 e la crisi economico-finanziaria del 2008. Una fase che vedrà il mondo cambiare moltissimo: i Paesi del blocco sovietico transitano dall’economia pianificata alla libera concorrenza, nasce l’euro e la Cina entra nel WTO.
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