Il centrodestra vuole rispettare gli accordi di inizio legislatura e candida la maltese alla guida dell’Aula, ma i socialdemocratici vogliono tenere la carica. A gennaio il voto: verdi e liberali saranno decisivi
Il Parlamento europeo va alla battaglia per il rinnovo della presidenza, ma David Sassoli non ha nessuna intenzione di passare la mano. Lo scontro tra i vari gruppi dell’Aula di Strasburgo entra nel vivo dopo che questa settimana gli eurodeputati del Ppe, la principale forza di centrodestra, hanno scelto nel corso di primarie interne con una netta maggioranza la maltese Roberta Metsola come candidata alla carica più alta dell’emiciclo. L’attuale numero due di Sassoli come vicepresidente vicaria del Parlamento è in corsa per quando, a metà gennaio, arrivato il giro di boa della metà del mandato, l’Eurocamera sarà chiamata a rinnovare l’ufficio di presidenza. A cominciare dalla poltrona più alta, quella che dal luglio 2019 è occupata dall’italiano Sassoli, in quota socialdemocratici dell’S&D. Si apre così una lunga, imprevista e imprevedibile campagna elettorale in cui alla fine le altre forze, soprattutto verdi e liberali, faranno pesare i propri consensi.
Secondo gli accordi di legislatura sottoscritti due anni fa dai principali gruppi parlamentari (Ppe, S&D e centristi-liberali di Renew Europe), infatti, dopo due anni e mezzo di presidenza socialdemocratica, la guida del Parlamento deve passare a un esponente popolare. Non uno qualsiasi, ribattono però dal campo del centrosinistra: l’intesa prevedeva infatti un cambio in corso fra Sassoli e il capogruppo del Ppe Manfred Weber, il bavarese sfortunato aspirante alla presidenza della Commissione, cui i capi di Stato e di governo preferirono Ursula von der Leyen. Visto che Weber si è però tirato indietro – interessato com’è semmai a rivestire al contempo i panni di capogruppo e presidente del partito per rilanciare un Ppe in affanno -, l’S&D giudica il patto rotto.
Inoltre, c’è un dato molto politico di cui tenere conto. Sassoli lo ha affidato a un intervento davanti ai colleghi S&D, dicendo disponibile al bis: “Non possiamo permetterci di arrivare alle elezioni europee del 2024 con le istituzioni Ue a trazione conservatrice”. Del resto, secondo molte fonti S&D sarebbero stati i popolari (che hanno già la presidenza della Commissione con von der Leyen) a tradire l’intesa, eleggendo un anno fa a capo dell’Eurogruppo, la riunione informale dei ministri delle Finanze dell’eurozona, l’irlandese Paschal Donohoe anziché la socialista spagnola Nadia Calviño. Cedere senza combattere la guida del Parlamento “sarebbe un errore in un momento in cui in Europa siamo in vantaggio come famiglia politica”, ha aggiunto Sassoli. Nel frattempo, infatti, molto è cambiato nei rapporti di forza: non solo il Ppe ha visto l’addio della delegazione ungherese di Fidesz, il partito di Viktor Orbán (che guarda al consolidamento di una gruppo sovranista), ma ha anche perso la guida del governo tedesco, ultimo Paese a tradizione conservatrice nel club dei grandi.
Adesso punta su Metsola per risalire la china, anche perché il profilo della maltese sembra vincente sotto vari punti di vista. Porterebbe di nuovo una donna sullo scranno più alto di Strasburgo 20 anni dopo Nicole Fontaine, sarebbe la più giovane Presidente del Parlamento mai eletta e anche la prima proveniente da un piccolo Stato membro. E pure del Sud. In cerca di nuove direzioni politiche dopo la batosta rimediata in casa, poi, i popolari tedeschi punterebbero su Metsola nella speranza di conservare importanti presidenze di commissioni parlamentari.
Il nome della maltese – capace di pescare consensi trasversali – potrebbe dare del filo da torcere alla candidatura mediterranea di Sassoli: nel pallottoliere dell’Aula sposta poco, ma ad esempio il premier di Malta Robert Abela, laburista, ha già detto che sosterrà la corsa della connazionale. Decisivi nella conta sono però, a Strasburgo come a Berlino – dove hanno appena inaugurato il Governo di coalizione -, verdi e liberali. Questi ultimi, che con il recente ingresso di Carlo Calenda hanno toccato quota 100 membri, esprimono già, con il belga Charles Michel, la presidenza del Consiglio europeo, altra carica che si rinnova dopo due anni e mezzo, e devono stare attenti a tutelare gli equilibri con Ppe e S&D per non far crollare tutto l’assetto da manuale Cencelli in salsa Ue. Qualcuno fra loro non ha escluso il voto per Metsola, ma nessuno ha finora ufficializzato la posizione del gruppo Renew Europe, che attende paziente di capire come posizionarsi. Stanno (per ora) a guardare con candidature di bandiere la destra sovranista di Ecr e Id e l’ultrasinistra di The Left.
Il copione è in fin dei conti simile a quello del 2017: anche allora l’accordo di legislatura che prevedeva una ripartizione della presidenza fra Ppe e S&D saltò all’ultimo, con la candidatura di Gianni Pittella contro Antonio Tajani. Alla fine prevalse il forzista, grazie al passo indietro del liberale Guy Verhofstadt. Ma da allora il gruppo centrista ha cambiato pelle, e oggi è saldamente controllato da Emmanuel Macron. Che nelle prime settimane della presidenza francese del Consiglio Ue non vorrà certo farsi nemici in Parlamento.
Secondo gli accordi di legislatura sottoscritti due anni fa dai principali gruppi parlamentari (Ppe, S&D e centristi-liberali di Renew Europe), infatti, dopo due anni e mezzo di presidenza socialdemocratica, la guida del Parlamento deve passare a un esponente popolare. Non uno qualsiasi, ribattono però dal campo del centrosinistra: l’intesa prevedeva infatti un cambio in corso fra Sassoli e il capogruppo del Ppe Manfred Weber, il bavarese sfortunato aspirante alla presidenza della Commissione, cui i capi di Stato e di governo preferirono Ursula von der Leyen. Visto che Weber si è però tirato indietro – interessato com’è semmai a rivestire al contempo i panni di capogruppo e presidente del partito per rilanciare un Ppe in affanno -, l’S&D giudica il patto rotto.