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Perché Israele sta perdendo la guerra sui social media


L’hashtag #standwithIsrael è stato ripreso circa 300mila volte, contro le quasi 8 milioni di #freepalestine. Su Facebook, il primo è presente in poco più di 400mila post rispetto agli 11 milioni in cui si legge quello palestinese. Simile situazione su TikTok.

Più volte in questi tre mesi di guerra si è detto che Israele stesse cadendo nel tranello teso da Hamas. Un movimento terroristico come quello che governa la Striscia di Gaza dal 2007 agisce per natura nel perimetro dell’illegalità, ricorrendo ad ogni mezzo utile a raggiungere il suo scopo. A uno stato democratico si chiede invece di più. L’auspicio è che si presenti affidabile nei comportamenti e nella comunicazione, riporti notizie accertate e rifugga da sensazionalismi per enfatizzare un evento già di per sé drammatico e tragico. Su questo fronte e nella trappola la strategia comunicativa di Israele è caduta, soprattutto sui social. Con l’effetto di ingigantire quello che era già un rischio prevedibile alla vigilia della guerra di Gaza: nel mondo la causa palestinese è più sentita dell’oltraggio israeliano.

Poco dopo l’esplosione nei pressi dell’ospedale al-Shifa, nel nord della Striscia, l’account X (Twitter) dell’ufficio del primo ministro Netanyahu aveva pubblicato un post, poi eliminato nel giro di qualche minuto. C’era scritto: “Questa è una lotta tra i figli della luce e i figli delle tenebre, tra l’umanità e la legge della giungla”. In molti hanno considerato la frase una sorta di ammissione di colpevolezza, a maggior ragione in seguito alla sua cancellazione. Eppure, come poi verrà dimostrato, Israele non era responsabile. Il razzo era di Hamas e, come altre volte dall’inizio della guerra, era ricaduto all’interno dell’enclave per un malfunzionamento.

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