Il basso costo del petrolio russo ha fatto scendere Riad al terzo posto come fornitore di Cina e India
Saudi Aramco, la compagnia petrolifera statale dell’Arabia Saudita, ha riportato un utile netto di 39,5 miliardi di dollari nel primo trimestre del 2022, contro i 21,7 dell’anno precedente. Alcune stime dicono che nel secondo trimestre (aprile-giugno) registrerà un profitto ancora superiore: stando alla società di consulenza finanziaria Al-Rajhi Capital, arriverà a 44 miliardi. Il merito è degli alti prezzi del greggio, sostenuti anche dall’invasione dell’Ucraina e dalle conseguenti sanzioni alla Russia, che hanno diminuito la disponibilità di barili in un mercato già caratterizzato da un’eccedenza di domanda rispetto all’offerta.
Un articolo di Reuters ha peraltro rivelato che da aprile a giugno scorsi l’Arabia Saudita ha più che raddoppiato le importazioni di olio combustibile dalla Russia: 647mila tonnellate, contro le 320mila dello stesso periodo del 2021. Il vantaggio è doppio, per Riad. Innanzitutto perché ha speso relativamente poco: Mosca sta infatti vendendo i suoi prodotti petroliferi a prezzi scontati, in modo da trovare acquirenti disposti a correre il rischio di violare le sanzioni. E poi perché, bruciando gli idrocarburi russi al posto dei propri per generare elettricità – nel Paese fa caldo, e la popolazione chiede aria fresca –, l’Arabia Saudita sta risparmiando barili di petrolio greggio che può rivendere con profitto sui mercati. È una tattica commerciale che i sauditi seguono da anni, in realtà; la differenza è che oggi lo stanno facendo su scala maggiore, andando pure a indebolire il piano dell’Occidente per l’isolamento economico del Cremlino.
Il momento sembrerebbe essere straordinariamente favorevole all’Arabia Saudita. E invece ci sono dei lati oscuri. La guerra della Russia e le conseguenti sanzioni stanno ostacolando il business di Riad in due mercati chiave: la Cina e l’India, due dei più grandi importatori di petrolio al mondo. I barili di Urals russo a basso costo sono per loro un’occasione troppo ghiotta per non coglierla. E infatti la Russia ha sostituito l’Arabia Saudita come principale fornitrice di greggio della Cina nei mesi di maggio e giugno. Mosca è diventata anche la seconda maggiore venditrice di petrolio all’India (dopo l’Iraq), facendo scendere Riad al terzo posto.
L’Arabia Saudita non può rispondere con un forte aumento dell’output. Al momento produce all’incirca 10,6 milioni di barili di petrolio al giorno e non può andare troppo più in alto di così: si stima possa arrivare a 11-11,5 milioni al massimo, senza attingere alle sue scorte. Da Riad hanno detto tuttavia che Saudi Aramco lavorerà per portare la sua capacità produttiva a 13 milioni di barili al giorno, ma solo entro il 2027: è però difficile prevedere lo stato del mercato petrolifero tra cinque anni, considerata la transizione internazionale verso le fonti di energia a basse emissioni che dovrebbe ridurre il consumo di combustibili fossili.
Tra l’Arabia Saudita e la Russia non esiste alcuna alleanza. Esiste sì una collaborazione energetica all’interno dell’Opec+ (l’organizzazione che riunisce alcuni dei principali Paesi esportatori di petrolio), ma è un rapporto di convenienza, non un’amicizia. Ne è un esempio il fatto che a marzo di due anni fa Riad e Mosca combatterono una “guerra dei prezzi” del petrolio, scoppiata a seguito di una divergenza di vedute sui livelli di produzione da tenere per bilanciare il mercato nelle prime settimane di pandemia: i sauditi misero in vendita grandi quantità di barili a prezzo scontato con l’obiettivo di danneggiare i russi e forzarli a negoziare da una posizione di debolezza.
Saudi Aramco, la compagnia petrolifera statale dell’Arabia Saudita, ha riportato un utile netto di 39,5 miliardi di dollari nel primo trimestre del 2022, contro i 21,7 dell’anno precedente. Alcune stime dicono che nel secondo trimestre (aprile-giugno) registrerà un profitto ancora superiore: stando alla società di consulenza finanziaria Al-Rajhi Capital, arriverà a 44 miliardi. Il merito è degli alti prezzi del greggio, sostenuti anche dall’invasione dell’Ucraina e dalle conseguenti sanzioni alla Russia, che hanno diminuito la disponibilità di barili in un mercato già caratterizzato da un’eccedenza di domanda rispetto all’offerta.
Un articolo di Reuters ha peraltro rivelato che da aprile a giugno scorsi l’Arabia Saudita ha più che raddoppiato le importazioni di olio combustibile dalla Russia: 647mila tonnellate, contro le 320mila dello stesso periodo del 2021. Il vantaggio è doppio, per Riad. Innanzitutto perché ha speso relativamente poco: Mosca sta infatti vendendo i suoi prodotti petroliferi a prezzi scontati, in modo da trovare acquirenti disposti a correre il rischio di violare le sanzioni. E poi perché, bruciando gli idrocarburi russi al posto dei propri per generare elettricità – nel Paese fa caldo, e la popolazione chiede aria fresca –, l’Arabia Saudita sta risparmiando barili di petrolio greggio che può rivendere con profitto sui mercati. È una tattica commerciale che i sauditi seguono da anni, in realtà; la differenza è che oggi lo stanno facendo su scala maggiore, andando pure a indebolire il piano dell’Occidente per l’isolamento economico del Cremlino.
Il momento sembrerebbe essere straordinariamente favorevole all’Arabia Saudita. E invece ci sono dei lati oscuri. La guerra della Russia e le conseguenti sanzioni stanno ostacolando il business di Riad in due mercati chiave: la Cina e l’India, due dei più grandi importatori di petrolio al mondo. I barili di Urals russo a basso costo sono per loro un’occasione troppo ghiotta per non coglierla. E infatti la Russia ha sostituito l’Arabia Saudita come principale fornitrice di greggio della Cina nei mesi di maggio e giugno. Mosca è diventata anche la seconda maggiore venditrice di petrolio all’India (dopo l’Iraq), facendo scendere Riad al terzo posto.
Questo contenuto è riservato agli abbonati
Abbonati per un anno a tutti i contenuti
del sito e all'edizione cartacea + digitale della rivista di
geopolitica
Abbonati ora €35
Abbonati per un anno alla versione digitale della rivista di geopolitica
Abbonati ora €15