Petrolio: l’Arabia Saudita convoca una riunione straordinaria dei produttori di petrolio. Si pensa di ridurre l’output perché non c’è domanda. E gli Usa potrebbero partecipare
Petrolio: l’Arabia Saudita convoca una riunione straordinaria dei produttori di petrolio. Si pensa di ridurre l’output perché non c’è domanda. E gli Usa potrebbero partecipare
Con un paio di tweet che hanno infervorato il mercato, il Presidente americano Donald Trump ha annunciato che l’Arabia Saudita e la Russia potrebbero ridurre la produzione di petrolio di 10 milioni di barili al giorno, se non di più.
“Buone (GRANDIOSE) notizie per tutti!”, ha concluso Trump. E i mercati in effetti hanno reagito bene: le due principali qualità di greggio – il Brent e il West Texas Intermediate – hanno subito recuperato valore, con rialzi anche superiori al 40%. I prezzi del petrolio si aggirano oggi sui 30 dollari al barile, comunque bassi, ma ben al di sopra dei livelli toccati nei giorni precedenti. Il benchmark americano era sceso a 20 dollari, con grande preoccupazione degli Stati Uniti, che sono i primi produttori al mondo.
Il motivo del crollo dei prezzi si spiega innanzitutto con la bassissima domanda di carburante: le misure di contenimento del coronavirus hanno portato a una drastica riduzione dei trasporti e dei consumi in tutto il mondo. Se la domanda è minima, però, l’offerta è sovrabbondante: l’Arabia Saudita ha infatti spinto la propria produzione petrolifera a livelli record – 12,3 milioni di barili al giorno – con l’obiettivo di “inondare” il mercato e non lasciare spazio alla Russia.
Riad sta però avendo difficoltà a portare avanti la sua strategia. Il greggio saudita ha sì un costo molto vantaggioso, ma non riesce comunque a incontrare abbastanza acquirenti. L’unica nazione che ha aumentato le importazioni di petrolio è la Cina, che sta approfittando dei prezzi bassi per riempire le sue riserve strategiche: ma si sta rifornendo soprattutto dagli Stati Uniti.
Per questo motivo, l’Arabia Saudita ha convocato una nuova riunione dei Paesi produttori di petrolio per discutere di tagli alla produzione che riportino l’equilibrio nel mercato. Il vertice – in videoconferenza – è previsto per lunedì 6 aprile, ma non è ancora chiaro chi vi parteciperà. Oltre ai membri dell’Opec e alla Russia, potrebbero unirsi anche altri produttori di rilievo, come il Canada, il Brasile e il Messico. O addirittura gli Stati Uniti. Sarebbe un fatto storico, ma per il momento non ci sono certezze.
E nemmeno sul ruolo della Russia non ci sono certezze. Trump ha parlato di una telefonata tra il Presidente russo Vladimir Putin e il principe saudita Mohammed bin Salman, che il Cremlino ha però prontamente provveduto a smentire. Non è insomma scontato che Mosca decida di partecipare ai tagli, anche se i segnali sembrano positivi. Riad, d’altro canto, ha specificato di non aver intenzione di portare il peso da sola.
Anche ammesso che si raggiunga un accordo, un taglio collettivo di 10 milioni di barili al giorno – l’ipotesi che al momento sembra più realistica – non sarebbe comunque sufficiente a bilanciare il mercato. Perché si raggiunga un equilibrio tra domanda e offerta è necessario rimuovere molti più barili, almeno 20 milioni al giorno. È però improbabile che l’Arabia Saudita, la Russia e gli altri Paesi accettino questa condizione.
I tagli tuttavia sono necessari, anche per scongiurare un secondo problema, oltre al crollo dei prezzi. La mancanza di acquirenti sta infatti creando problemi per la conservazione del greggio invenduto, e i serbatoi di stoccaggio sono già al limite delle loro capacità.
Con un paio di tweet che hanno infervorato il mercato, il Presidente americano Donald Trump ha annunciato che l’Arabia Saudita e la Russia potrebbero ridurre la produzione di petrolio di 10 milioni di barili al giorno, se non di più.
“Buone (GRANDIOSE) notizie per tutti!”, ha concluso Trump. E i mercati in effetti hanno reagito bene: le due principali qualità di greggio – il Brent e il West Texas Intermediate – hanno subito recuperato valore, con rialzi anche superiori al 40%. I prezzi del petrolio si aggirano oggi sui 30 dollari al barile, comunque bassi, ma ben al di sopra dei livelli toccati nei giorni precedenti. Il benchmark americano era sceso a 20 dollari, con grande preoccupazione degli Stati Uniti, che sono i primi produttori al mondo.
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