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Proteste globali: lo scontento è “glocal”


Proteste globali: il dialogo tra il potere e le masse è a rischio. E quando il potere non lo accetta si va incontro a repressioni e radicalizzazioni, con costi altissimi di vite umane e libertà residuali

Li Wenliang può essere per la Cina ciò che è stato Mohamed Bouazizi per la Tunisia? La morte del medico di Wuhan, che era stato arrestato dopo aver lanciato l’allarme del nuovo coronavirus prima di rimanerne contagiato, può innescare una rivolta pro-libertà e democrazia come era accaduto con il venditore ambulante tunisino che, immolandosi con il fuoco il 17 dicembre 2010 per protestare contro la corruzione dei funzionari locali, aveva innescato le rivolte della Primavera Araba nel suo Paese e nel resto della regione?

La domanda può apparire insensata, tanto la Cina è diversa dalla Tunisia di dieci anni fa, compresa la capacità di controllo orwelliano sulla sua popolazione. Inoltre, a differenza di altri regimi presenti e passati, quello di Pechino trae gran parte della sua legittimità da un benessere economico relativamente diffuso. La crescente prosperità finora è stato il miglior garante della pace sociale e politica per il regime cinese. Eppure, in un’era segnata dalle “rivolte glocal”, anche nella Cina dell’imperatore rosso Xi Jinping la morte di un medico-simbolo di 34 anni ha provocato una reazione senza precedenti: centinaia di milioni di messaggi sui social media cinesi che la macchina della censura di Pechino non è stata in grado di contenere. Potrebbe essere il sintomo che la versione cinese di panem et circenses non basta più, quando si mescolano fattori come corruzione, limitazione della libertà, incompetenza e paura.

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