Che volto avrà la Russia alle elezioni presidenziali del 2024? Emergerà un successore di Putin dal rovinoso duello con l’Occidente?
Fra due anni ci saranno le elezioni presidenziali. La domanda, non scontata, è se Vladimir Putin rimarrà ancora al Cremlino. Non è tanto una questione di democrazia, visto che la Russia nemmeno ai tempi di Boris Yeltsin, che dopo due mandati pianificò la sua successione a tavolino, annunciandola il 31 dicembre del 1999 in diretta televisiva, è mai stato un Paese in cui la volontà popolare è stata decisiva; piuttosto si dovrà attendere di sapere se l’attuale capo di Stato sceglierà di rimanere altri sei anni al vertice della Federazione. Dopo la nomina di Yeltsin e l’elezione nel marzo 2000, Putin è stato sempre al Cremlino, fatta eccezione dei quattro anni in cui ha lasciato il posto al delfino Dmitri Medvedev. Una staffetta che allora scatenò le maggiori proteste di piazza dell’ultimo ventennio. Putin nel 2024 compirà 74 anni e ne avrebbe davanti ancora sei alla guida del Paese. Salvo imprevisti.
Negli ultimi due incarichi (2012-2018, 2018-oggi) è stato evidente l’accentramento del potere nelle mani del Presidente, attraverso il prolungamento del mandato da quattro a sei anni e altre modifiche costituzionali che hanno in sostanza emarginato la Duma e il Governo: il sistema Putin, inteso non solo in riferimento alla “democratura” (democrazia+dittatura) e all’egemonia presidenziale, ma all’intera architettura che comprende i vari bracci dello Stato, dall’amministrazione ai servizi, si è rafforzato progressivamente a spese degli elementi democratici della politica e della società, con la conseguente riduzione degli spazi, tra l’altro, per l’opposizione non sistemica, cioè quella non funzionale al mantenimento dell’ordinamento attuale, e la libertà di stampa. Tutto questo non fa che confermare che qualsiasi cosa succederà nel 2024, non saranno certo gli elettori russi a determinarlo e saranno più che altro chiamati a ratificare decisioni prese nei corridoi del Cremlino.
La Russia post Putin
Gli aspetti da considerare sull’eventuale post Putin sono però due: se è vero che il Presidente deciderà da solo se ricandidarsi o meno, è altrettanto vero che il suo possibile successore avrà sicuramente più padri e sarà scelto anche e soprattutto dai poteri forti alle spalle del Presidente, che in questi anni da una parte l’hanno sostenuto e dall’altra si sono talvolta fatti la guerra. Immaginare il Cremlino come un blocco monolitico vuol dire non vedere tutte le torri che lo proteggono. Considerati gli sviluppi più recenti e l’involuzione autoritaria interna, in parallelo all’aggressivo ritorno sulla scacchiera internazionale, in primo luogo con l’operazione militare iniziata in Ucraina, ma non solo, dall’Asia centrale al Mediterraneo e all’Africa, sembra che i gruppi più conservatori abbiano avuto la meglio, almeno al momento, su quelli più liberali e il loro peso si farà sentire maggiormente nella scelta del successore.
Nomi? Ancora nessuno, anche perché la partita non è davvero cominciata e, se Putin decidesse di passare il testimone, lo farebbe in ogni caso nel corso del prossimo anno, probabilmente a pochi mesi dal voto, come fece Yeltsin con lui e lui stesso poi con Medvedev. Tanto più che il capo dello Stato è impegnato nel duello con l’Occidente, dal cui esito potrebbe dipendere proprio la decisione di rimanere direttamente nella stanza dei bottoni. Teoricamente sono possibili anche altre soluzioni, come quella adottata inizialmente in Kazakistan, dove il leader storico Nursultan Nazarbayev si è prima fatto da parte abbandonando la presidenza, ma tenendo le redini del paese dal Consiglio di sicurezza, per poi cedere definitivamente di fronte alla lotta interna tra le fazioni. Una tecnica però, alla luce dei recenti avvenimenti nella repubblica centroasiatica, molto rischiosa. L’operazione successione, indipendentemente dal momento in cui avverrà, terrà conto soprattutto del ruolo che avrà la Russia nel nuovo mondo multipolare, dove gli Stati Uniti non sono più i soli a determinare gli equilibri.
Il consenso interno
Per quel che riguarda le questioni interne invece la strada per il futuro a breve termine è tracciata e non prevede ostacoli insormontabili. Tutto sommato infatti al momento il consenso di Putin nel Paese è rimasto buono, in risalita negli ultimi mesi verso il 70% (69% a gennaio 2022 secondo il Levada Center), dopo i due scivoloni che, nel 2018 a causa della riforma delle pensioni e nel 2020 con la pandemia, lo avevano fatto crollare dall’80% al 60%. È il politico che gode maggior fiducia (33%), seguito dal Ministro della Difesa Sergei Shoigu (12%) e quello degli Esteri Sergei Lavrov (11%) insieme con il premier Mikhail Mishustin (11%). Insomma, non ha rivali e i più popolari sono due vecchie volpi che non saranno certo candidati alla successione. L’oppositore Alexey Navalny gode della fiducia del 3% dei russi ed è in carcere, escluso in partenza in una gara che non avrebbe in ogni caso potuto vincere. C’è un grande punto di domanda però su quale effetto avrà l’invasione dell’Ucraina su questi numeri. Il nome comunque andrà cercato tra coloro che negli ultimi anni si sono conquistati la fedeltà di Putin e probabilmente hanno avuto o hanno ruoli chiave nell’amministrazione presidenziale, la vera macchina del potere all’interno del Cremlino, o negli immediati dintorni.
La posizione di Vladimir Putin appare quindi solida, al di là di quello che succede nei palazzi moscoviti e al posizionamento dei vari gruppi. Si potrebbe però indebolire con il peggioramento della situazione economica e le nuove sanzioni occidentali che potrebbero incidere in maniera pesante sull’economia proprio nella fase pre-elettorale. Per il momento però a Mosca si pensa di avere il coltello ancora dalla parte del manico e in ogni caso non si temono gravi sconvolgimenti a livello interno. Anche le elezioni della Duma lo scorso autunno, benché tenute nella solita cornice “democraturiale”, hanno visto la partecipazione di oltre il 51% dell’elettorato e la consueta distribuzione dei seggi tra i partiti dell’opposizione sistemica che ormai da quattro lustri sostengono, approfittandone, il sistema Putin.
Così i comunisti di Gennady Zyuganov, i liberaldemocratici di Vladimir Zhirinovsky, i socialdemocratici di Sergei Mironov e i nuovi arrivati, la Nuova gente di Alexey Nachayev, costituiscono la base e la garanzia per l’esercizio, formale, della democrazia in Russia. La maggioranza è detenuta dalla formazione del Presidente, Russia Unita, definita da Navalny “il partito dei ladri”, ma che anche i sondaggi indipendenti del Levada Center danno sempre in testa (27% nel dicembre 2021, seguito dal Partito comunista con il 15%). Che la maggioranza dei russi sia dalla parte delle istituzioni, nazionali e locali, controllate in larga parte da Russia Unita, lo confermano sempre i numeri: quelli che valutano positivamente l’operato di Mishustin (59% nel gennaio 2022) e dei governatori regionali (59%). Non pare esserci quindi nella Russia putiniana di oggi un’aria anti-presidenziale o anti-governativa, nella tradizione di un elettorato abituato a prediligere la stabilità piuttosto che i cambiamenti. Questo vale naturalmente per quella parte dell’elettorato che ha vissuto come uno shock il primo decennio della transizione postcomunista sotto Yeltsin, quando la Russia ha rischiato di collassare tra colpi di stato, guerre e default economici. Le giovani generazioni, che conoscono solo Putin, aspirano a un cambiamento che però sanno essere difficile da ottenere, anche perché ai piani alti dei palazzi il cambio generazionale è comunque già cominciato con la cooptazione di chi è fedele al sistema.
Nonostante negli ultimi otto anni, dopo la crisi ucraina e le sanzioni occidentali che inizialmente, anche in concomitanza con il ribasso dei prezzi degli idrocarburi, si sono fatte sentire sull’economia del Paese, il consenso nei confronti di Putin è rimasto buono, superiore ai livelli del primo biennio del terzo mandato (2012-2014), prima che schizzasse all’80% dopo l’annessione della Crimea. Come inciderà l’attacco in Ucraina è ancora tutto da vedere. La mancanza di alternative reali, però, al di là del wishful thinking occidentale intorno alla figura di Alexey Navalny, rendono la questione della successione riservata come sempre alle élite dominanti, tra le quali Vladimir Putin ha avuto sempre la funzione di mediatore e con le quali si accorderà sia per le garanzie per la propria uscita di scena che per il nome del prossimo inquilino del Cremlino.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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Che volto avrà la Russia alle elezioni presidenziali del 2024? Emergerà un successore di Putin dal rovinoso duello con l’Occidente?