A maggio, 400 milioni di Europei voteranno per la nona volta. A livello nazionale, i leader europeisti sono in difficoltà, molto meno in Europa
Mai come questa volta le sorti dell’Europa, la sua capacità di competere con le altre potenze globali si misurerà tutta dall’esito delle elezioni per l’Europarlamento. Lo scontro senza precedenti tra europeisti e sovranisti che sta caratterizzando la campagna elettorale sta conoscendo cadute di stile mai registrate in precedenza come gli scambi di accuse tra il Presidente francese Emmanuel Macron e i rappresentanti del Governo giallo-verde (Conte, Salvini e Di Maio). I sondaggi danno Macron in grande difficoltà anche se i suoi voti confluirannno nei liberali dell’Alde (accreditato di una buona performance anche grazie al contributo del voto della destra spagnola di Ciudadanos). Forse anche per questo il vicepremier italiano Matteo Salvini ha concentrato il fuoco su Macron che, da parte sua, ha commesso il grande errore di ribattere colpo su colpo evidenziando così la sua debolezza. La paura dei sondaggi spiega anche la scenografica mossa di Macron e Merkel che, all’ombra del sepolcro di Carlo Magno ad Aquisgrana hanno rilanciato la cooperazione franco-tedesca, per rimettere in moto il progetto dell’Europa come l’abbiamo conosciuta finora.
Quelle di maggio saranno le none elezioni europee dal ’79, interesseranno i cittadini aventi diritto al voto di tutti gli Stati membri dell’Unione, ossia circa 400 milioni di persone. In 4 stati (Belgio, Cipro, Grecia, Lussemburgo) è obbligatorio recarsi alle urne mentre in tutti gli altri, Italia compresa, è facoltativo.
Nonostante un rimescolamento delle carte a livello nazionale secondo gli ultimi sondaggi le grandi famiglie politiche non dovranno uscire radicalmente trasformate nel loro peso dalle prossime elezioni. Per quello che valgono, i sondaggi vedono sempre in testa il Ppe con 22,5% (+1,1%) seguito dai socialisti e democratico con il 17,1% (-0,6%) seguito dal 13,1% dei liberali dell’Alde (+0,1%), dall’7,9% di Enf (+0,7%), dal 7,7% di Gue/Ngl (-0,6%) e dal 7,4% di Ecr (+1,7%). E dal7,1% di Efdd (-0,9%). Il Partito Popolare Europeo (che può contare anche sui voti di Forza Italia rinvigorita dalla candidatura Berlusconi) raggiungerebbe, secondo questa ipotesi, 177 seggi e potrebbe restare il primo gruppo del Parlamento Europeo. Il Partito Socialista Europeo a cui è affiliato il Partito Democratico non dovrebbe andare oltre i 136 seggi. In terza posizione con 96 seggi i liberali di Alde, gruppo che conta anche i voti del presidente francese. In quarta posizione il gruppo Europa delle Nazioni e libertà (Enf) in cui si ritrova la Lega insieme ai deputati del Front National di Le Pen che dovrebbe conquistare 62 seggi, dieci in più dei del gruppo di sinistra GUE/NGL, dei riformisti dell’ECR e dei 47 dei Verdi. Al Movimento 5 Stelle che in Europa corre solo nel Efdd resterebbero 46 seggi. Risultato piuttosto magro per il Governo giallo-verde.
Ma si tratta pur sempre di dati da prendere con le pinze. Alla vigilia delle elezioni in Baviera, lo scorso 14 ottobre, tutti pronosticavano l’exploit dell’ultradestra di Alternative für Deutschland. A fare il pieno è stato invece un partito all’estremo opposto dello spettro politico, i Verdi, mentre la Afd è scivolata da ambizioni di consenso al 20% a un risultato che si aggira intorno al 10%. E non è la prima volta che le urne sconfessano i sondaggi.
Ma la paura delle sigle sovraniste resta forte. Secondo un sondaggista di vecchio corso come Pagnoncelli c’è da dubitare che sia così imminente l’exploit della destra radicale. Secondo una stima di Politico.eu il totale di partiti classificati come euroscettici soft o hard (come la Lega) conquisterebbe oggi, a fatica, tra i 150 e i 170 seggi. Meno di un quarto delle 705 poltrone che saranno assegnate dopo il voto di maggio, il primo senza il Regno Unito. La stima di Politico.eu sembra quasi eccessiva, rispetto alla media delle ultime rivelazioni. Pollofpolls.eu, portale che monitora le intenzioni di voto in Europa, ridimensiona la quota di voti ‘sovranisti’ a poco più di 100 unità: 57 raccolti dai partiti che confluiscono in Europe of Nations and Freedom e 50 a favore delle liste collegate a Europe of Freedom and Direct Democracy (Europa della libertà e della democrazia diretta, Efdd, il rassemblement che ospita al suo interno i Cinque stelle). La parte del leone spetterebbe proprio all’Italia, con un totale di 28 seggi in arrivo dalla Lega e 26 dai 5 Stelle. Un’infornata di consensi a rinforzo delle due famiglie che contano fra le proprie file il Rassemblement National di Marine Le Pen, l’estrema destra tedesca di Alternative für Deutschland e altre sigle minori come i polacchi di Nowa Prawica (un partito ‘radicalmente euroscettico’ che invoca il ritorno alla pena di morte) e Svoboda a přímá demokracie, partito ceco da 1.400 iscritti. La diffidenza per i ‘burocrati di Bruxelles’ potrebbe fare da collante e scavalcare le ostilità implicite a un gruppo composto da soli nazionalisti. Ma anche il Rassemblement National (versione aggiornata del Front National) o il Danish People sono alla caccia del voto moderato. Il tutto senza contare che forze molto distanti dal voto moderato, come Fidesz di Viktor Orban, restano sempre all’interno dei Popolari.
Orban, appunto, o Salvini. La crisi dei partiti sta spostando i riflettori sui leader o sugli aspiranti leader. Ma siamo poi così sicuri che Salvini sia un leader forte? E soprattutto autorevole? Come ha scritto meglio di me un grande giornalista politico “Ha molto del capobanda arrogante, che si fa forte di un partito e di un elettorato fatto più di vassalli che di militanti”. Quanto ai 5 Stelle la leadership si divide tra un proprietario controllore (Casaleggio), un brillante comico ispiratore (Grillo) e un giovane politico attento a non entrare in rotta di collisione con proprietario e ispiratore che ha il compito di tenere insieme un elettorato cresciuto a suon di vaffa. Insomma, alla fine, leader cresciuti al ritmo di slogan che hanno poco a che vedere con la democrazia rappresentativa.
Quanto al centrosinistra Italiano e a come si sta preparando alle europee le cose non vanno meglio. Anche lì un certo affollamento di aspiranti leader (si pensi ai candidati alle primarie), ma il tutto con partiti deboli e spesso neanche formalizzati. È il caso di Leu che non è riuscita a farsi partito dopo averlo promesso nella campagna elettorale per le politiche, ma è anche il caso di altre piccole formazioni da Sinistra Italiana a Potere al Popolo al movimento di De Magistris. Credo che in molti casi un errore di queste formazioni sia stato quella di cercare ad ogni costo un leader (Pisapia, Grasso e ora magari anche Calenda) piuttosto che mettere in campo solidi gruppi dirigenti sia sui territori sia a livello centrale.
Massimo D’Alema in un’intervista a La Stampa del 31 gennaio osserva che la contrapposizione europeisti-sovranisti può diventare una trappola che può condurre la sinistra alla sconfitta. Ma un’alleanza delle forze che si rifanno alla sinistra democratica per le prossime europee anche se difficile a realizzarsi, è quanto mai auspicabile. Ovviamente senza delimitazioni di campo perché se si vuol fare qualcosa che abbia a che fare con il socialismo europeo sarebbe bizzarro dire: la sinistra del Pd sì, Leu no. Entrambi fanno riferimento al partito del socialismo europeo.
E allora bisogna partire dai contenuti. Un’alleanza europeista riformista che si rifaccia al socialismo europeo e agli ecologisti è possibile proprio con una proposta per l’Europa. La quale non può che superare quella vecchia impostazione per la quale, come osserva D’Alema “bisognava che la politica arretrasse e lasciasse tutto lo spazio all’economia e la finanza”.
@pelosigerardo
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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A maggio, 400 milioni di Europei voteranno per la nona volta. A livello nazionale, i leader europeisti sono in difficoltà, molto meno in Europa