Il segretario di Stato in visita nel Sud-est asiatico ha parlato di nuovi investimenti nella regione, promettendo un economic framework che affronti tematiche come l’energia pulita e standard tecnologici-digitali
Le parole sono importanti e bisogna scegliere bene quali usare. A volte, però, capita che quelle più pesanti, che danno il senso di un intero discorso, siano quelle non dette. Il segretario di Stato americano Antony Blinken è andato nei giorni scorsi in visita nel Sud-est asiatico – la prima, da quando è iniziato il mandato di Joe Biden – e ha utilizzato le parole che ci si aspettava da lui: ha detto per esempio che l’Indo-Pacifico è “la regione più dinamica al mondo”, che deve rimanere “libero e aperto” e che bisogna difendere “l’ordine basato sulle regole”.
Cosa ha detto Blinken
La prima espressione è un dato di fatto: solo il Sud-est asiatico sta crescendo moltissimo e si stima che entro il 2030 l’economia delle dieci nazioni dell’Asean supererà quella del Giappone. Le altre due, invece, sono critiche nemmeno troppo velate alla Cina, che è la potenza economicamente dominante nella regione ma ha contrasti territoriali e politici con diversi Governi (Pechino rivendica a sé, anche con una certa aggressività, quasi l’intero Mar Cinese meridionale, passando sopra le posizioni degli altri e il diritto internazionale).
Le frasi di Blinken dimostrano poi che Washington ha imparato dagli errori del passato. A differenza di quella Trump, l’amministrazione Biden ha capito che il Sud-est asiatico non vuole essere costretto a scegliere da che parte stare, se con gli Stati Uniti o con la Cina: vuole più opzioni, non l’esclusiva. Così, il segretario di Stato ha messo da parte la retorica del confronto diretto con Pechino, parlando al massimo per formule implicite.
Cosa non ha detto, ma avrebbe dovuto
I toni moderati e il riconoscimento delle necessità regionali avranno fatto piacere al Sud-est asiatico. Blinken, però, non ha pronunciato le parole che quei paesi volevano davvero sentire. Nell’Indo-Pacifico gli Stati Uniti si sono finora concentrati sulla cooperazione sulla sicurezza (l’accordo AUKUS è solo il caso più noto, non l’unico), ma non hanno dato la stessa attenzione agli aspetti economici e commerciali. È un difetto importante, che limita la proiezione americana in un quadrante così rilevante per i suoi interessi. La Cina è il principale socio commerciale di quasi tutte le nazioni dell’Indo-Pacifico; gli scambi bilaterali con il solo Sud-est asiatico sono ammontati a 685 miliardi di dollari nel 2020, più del doppio del valore riconducibile agli Stati Uniti.
Le parole allora più rilevanti, perché riassumono l’umore generale dell’area, sono state pronunciate di recente dal vice Primo Ministro di Singapore, Heng Swee Keat: gli Stati Uniti devono far corrispondere alla loro presenza militare nell’Indo-Pacifico una “alternativa altrettanto sostanziale” alla Tpp. Cioè l’accordo di libero scambio dal Pacifico promosso in origine proprio dalla Casa Bianca ma poi abbandonato da Donald Trump. Le possibilità che Biden possa rientrarvi – nel frattempo l’accordo è sopravvissuto ed evoluto: si chiama Cptpp e, ironia della sorte, la Cina vorrebbe entrarvi – sono praticamente nulle: il trattato è odiatissimo dagli americani e dalla politica, non solo dal Partito repubblicano.
Che fare? Il Sud-est asiatico vorrebbe che Washington facesse da contrappeso alla presenza economica di Pechino. Ma per Biden è impossibile far digerire all’opinione pubblica un patto simile alla Tpp, anche se porterebbe benefici geopolitici. Il contrasto tra le due dimensioni, estera e interna, ha di fatto bloccato la Casa Bianca. Ma se la paralisi dovesse durare ancora a lungo, il Sud-est asiatico potrebbe spazientirsi e perdere fiducia negli Stati Uniti.
Cosa si muove
Qualcosa si sta muovendo, in realtà. Blinken ha detto che l’America ha preso l’impegno per offrire un nuovo quadro economico comprensivo per la regione: ha parlato di investimenti in aumento, di opportunità di business, di infrastrutture migliori (porti, reti elettriche, linee Internet) ma non ha offerto dettagli.
La promessa di un economic framework che affronti tematiche come l’energia pulita, gli standard tecnologici-digitali e la resilienza delle filiere è stata fatta mesi fa ma non si è ancora manifestata. Il mese scorso la segretaria al Commercio Gina Raimondo ha detto che l’impalcatura commerciale a cui l’amministrazione Biden sta lavorando sarà “anche più robusta” di un trattato commerciale tradizionale. Teaser a parte, gli Stati Uniti non sembrano avere nulla di concreto da mostrare agli asiatici.
Il segretario di Stato in visita nel Sud-est asiatico ha parlato di nuovi investimenti nella regione, promettendo un economic framework che affronti tematiche come l’energia pulita e standard tecnologici-digitali
Le parole sono importanti e bisogna scegliere bene quali usare. A volte, però, capita che quelle più pesanti, che danno il senso di un intero discorso, siano quelle non dette. Il segretario di Stato americano Antony Blinken è andato nei giorni scorsi in visita nel Sud-est asiatico – la prima, da quando è iniziato il mandato di Joe Biden – e ha utilizzato le parole che ci si aspettava da lui: ha detto per esempio che l’Indo-Pacifico è “la regione più dinamica al mondo”, che deve rimanere “libero e aperto” e che bisogna difendere “l’ordine basato sulle regole”.