La nuova coalizione andrebbe dalla sinistra dei laburisti di Meretz alla destra del premier incaricato Bennet, passando per il “centro” di Lapid e di Benny Gantz
La nuova coalizione andrebbe dalla sinistra dei laburisti di Meretz alla destra del premier incaricato Bennet, passando per il “centro” di Lapid e di Benny Gantz
In qualsiasi altro momento storico e in qualsiasi altro Paese, una svolta come quella vista stanotte in Israele verrebbe salutata non solo come “storica”, ma anche con estrema speranza nella parte di popolazione che, da anni, non riesce ad avere gli stessi diritti di altri. E in quelli che questi diritti non li hanno mai avuti e non riescono neanche a essere popolazione.
Già, perché l’uscita di scena di Benjamin Netanyahu, sempre criticato per le sue scelte e le sue posizioni, pluri-indagato e sotto processo a Gerusalemme, ma soprattutto la formazione di una ampissima compagine di Governo in un momento delicato del Paese, con gli arabi per la prima volta in coalizione (se si escludono due parentesi relative a parti arabe di partiti ebraici), dovrebbe rallegrare tutti. In un Paese fondato idealmente sulle differenze, multiculturale e multietnico, dove tutti hanno avuto rappresentanza governativa ma solo se ebrei, indipendentemente dalla loro etnia, il fatto che un partito arabo entri al Governo è sicuramente una buona notizia. Perché parliamo di un Paese che nel 2018 ha approvato una legge totalmente discriminatoria nei confronti della parte araba della popolazione, dichiarando Israele la casa nazionale del popolo ebraico.
Sarebbe una buona notizia in questo momento, considerando quello che è successo il mese scorso, non tanto con lo scontro armato con Gaza, rituale nella sua drammaticità, ma per gli scontri nelle città a maggioranza araba, tra questa popolazione e gli ebrei. Un partito arabo al Governo potrebbe certamente garantire a questi qualcosa e rimetterebbe tutto in carreggiata. Potrebbe. Già, perché il pericolo è che così non sia. Per una serie di ragioni. La prima risiede nella stessa coalizione.
Verso la nuova formazione di Governo
Unita dall’unico collante dell’”anti Netanyahuismo”, la coalizione che chiederà alla Knesset il mandato per governare nei prossimi anni va dalla sinistra estrema dei laburisti e di Meretz all’destra estrema del premier Bennet e dei suoi sodali Sa’ar e Liebermann (tutti ex amici di Bibi), passando per il “centro” di Lapid e di Benny Gantz. In mezzo, anche gli arabi, gli stessi che il premier incaricato Naftali Bennett, ex delfino di Netanyahu, ex Ministro della Difesa, in una dichiarazione disse di non aver avuto problemi a ucciderne molti nella sua vita. Un Paese che riesce a governare con una coalizione così ampia, che rispetta e ricalca gli interessi di tutta la sua popolazione, è un Paese che merita il rispetto di tutti. Ma gli esempi sono davvero pochissimi in passato e quelli che hanno avuto successo ancora meno.
Il secondo problema risiede nelle tempistiche. All’annuncio della scorsa notte non segue immediatamente la formazione del Governo. Ci vorranno almeno una decina di giorni per il voto in Parlamento. Giorni nei quali potrebbe ancora succedere di tutto. I malpancisti, infatti, sia da una parte che dall’altra sono tanti. Nello stesso partito del premier indicato, Yamina, almeno uno dei sette parlamentari ha annunciato che non voterà un Governo dove siedono gli arabi. Di contro, la Joint List araba, attualmente composta da tre partiti che nelle elezioni precedenti alle ultime comprendeva anche il partito Ra’am che oggi siede nel Governo e che diventò, la lista, il terzo partito, ha annunciato, nella sua quasi totalità (alcuni parlamentari non si sono espressi) l’opposizione in Parlamento.
In questi dieci giorni è possibile che ci siano altre defezioni e che i 61 voti attualmente sufficienti, e che la nuova coalizione ha sulla carta, possano scendere. Il terzo problema risiede nelle posizioni di alcuni partiti. Ra’am, il partito arabo di Masour Abbas, si sta attirando critiche da più parti del mondo politico arabo israeliano e, soprattutto, l’opposizione ferrea di quello palestinese, soprattutto da Gaza. Abbas viene criticato da molti come un opportunista, che ha scelto il Governo solo per interessi personali. Dopotutto, durante gli scontri tra arabi ed ebrei la sua voce non è che si sia sentita, e lui anche precedentemente era stato cacciato da manifestazione di arabi. Certo, se dovesse riuscire a portare tutti gli investimenti promessi nel contratto di Governo alle popolazioni e città arabe, sarebbe un successo enorme. Inoltre Abbas si era proposto subito anche a Netanyahu ed è stato proprio grazie a (o a colpa di) Bibi che si è rotta l’alleanza con gli altri partiti arabi.
Proposte che hanno fatto intendere all’elettorato una volontà di governare, indipendentemente dalla coalizione. Naftali Bennett, colui che dovrebbe guidare il Paese fino a settembre 2023 per poi essere sostituito da Yair Lapid fino al 2025, non ha fatto mai mistero della sua posizione antipalestinese. Per il premier indicato, non esiste l’occupazione israeliana dei territori e non c’è nessuno spazio per uno Stato palestinese. Come lui la pensano altri esponenti di Governo di destra, non quelli di sinistra che sono in minoranza anche nella coalizione. Le differenza sono tante, troppe e il timore è che si sia creata la coalizione solo per opporre fine al regno ininterrotto di 12 anni di Netanyahu. E che per farlo si sacrifichi qualcosa. Il timore è che, come successo già per la cancellazione delle elezioni a Ramallah, che si sacrifichi la questione dei palestinesi, cosa che darà sempre più campo libero agli estremisti e ai fondamentalisti. Se, invece, si dovesse riuscire senza sacrificare nulla, sarebbe il più grande successo politico della storia.
La nuova coalizione andrebbe dalla sinistra dei laburisti di Meretz alla destra del premier incaricato Bennet, passando per il “centro” di Lapid e di Benny Gantz
In qualsiasi altro momento storico e in qualsiasi altro Paese, una svolta come quella vista stanotte in Israele verrebbe salutata non solo come “storica”, ma anche con estrema speranza nella parte di popolazione che, da anni, non riesce ad avere gli stessi diritti di altri. E in quelli che questi diritti non li hanno mai avuti e non riescono neanche a essere popolazione.
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