La tassa minima globale farà bene anche all’Italia
Grazie alla svolta impressa da Joe Biden al G7, è stato varato un accordo che fissa le imposte sugli utili delle imprese al 15% e vincola le multinazionali a versarle almeno in parte nei Paesi dove hanno mercato
Grazie alla svolta impressa da Joe Biden al G7, è stato varato un accordo che fissa le imposte sugli utili delle imprese al 15% e vincola le multinazionali a versarle almeno in parte nei Paesi dove hanno mercato
Il summit del G7 di Aylesbury, in Gran Bretagna, non verrà ricordato solo per la solita “Photo Opportunity”. Ha infatti prodotto un accordo molto popolare (globalmente popolare potremmo dire) sul piano dell’equità fiscale globale. Come è noto il problema riguarda le grandi multinazionali, in particolare quelle del web, i cui fatturati sono cresciuti a livello siderale anche per le enormi possibilità di elusione fiscale che hanno sfruttato nell’ultimo decennio. Perché meno tasse, ovviamente, significa non solo maggiori dividendi, ma anche ulteriori investimenti.
Sia ben chiaro: i giganti del web infatti non evadono le tasse. Le eludono. Spostano i capitali e le sedi in vari paradisi fiscali, dove la tassazione è molto bassa. Il vantaggio è reciproco. Con questo sistema (legale) di dumpingfiscale, miliardi di dollari che spettano alle casse erariali degli Stati rimangono nelle tasche degli azionisti.
Ma la musica sta cambiando. I Ministri delle Finanze del G7 hanno raggiunto un accordo storico sulla tassazione globale. Le imprese internazionali saranno soggette a una tassazione minima del 15%, applicata Paese per Paese. Inoltre sarà difficile trasferire gli utili come avviene oggi: le maggiori aziende transnazionali, con margini di profitto di almeno il 10%, vedranno il 20% di tutti gli utili oltre tale soglia riallocato e tassato nei Paesi dove vendono i loro prodotti o servizi. Facciamo un esempio: se una multinazionale ha profitti per cento milioni di dollari in Italia, dovrà versare all’erario del nostro Paese il 20% di 90 milioni di euro, cioè 18 milioni. Finora tutto questo non avviene.
I paradisi fiscali
Le multinazionali, in particolare le cosiddette Web Soft, i giganti della rete, pur registrando fatturati vertiginosi, con picchi del 300% e incassi pari a quasi mille miliardi di dollari a livello globale, eludono le tasse spostando la sede nei Paesi che offrono tasse “a prezzi stracciati”. I più famosi sono Singapore, Irlanda, Lussemburgo e Olanda. Quell’Olanda “frugale” che da una parte pone veti in sede di Commissione europea e ci costringe a una politica fiscale rigorosa e fa di tutto per bloccare i nostri investimenti, dall’altra ci sottrae reddito attirando con aliquote più contenute tasse che spetterebbe a noi italiani incassare, poiché l’attività delle multinazionali si svolge in territorio italiano.
Tempo fa Mediobanca ha calcolato, a fronte di un fatturato delle multinazionali del web ricavato sul territorio italiano tra prodotti e servizi di 2,4 miliardi di euro, un contributo fiscale pari al 2,7% dei ricavi. Pochi milioni di euro. Bruscolini, per colossi di quel calibro. Ci sono sedi all’estero dove viene tassato un quarto dei profitti a fronte del 4% di investimenti e quasi nessun dipendente presente. Nel 2015, secondo un rapporto Ocse, l’Italia è stata derubata di 6,4 miliardi di gettito fiscale tramite i riallocamenti all’estero dei profitti delle multinazionali.
Secondo l’Economist, le multinazionali spostano il 40% dei loro profitti nei paradisi fiscali. È stato calcolato che i quattro Stati dell’elusione fiscale (Irlanda, Lussemburgo, Singapore e Paesi Bassi) insieme raccolgono il 29% degli investimenti esteri permettendo alle multinazionali di eludere tasse per 240 miliardi di euro, tra cui 190 in Europa. Ma con la tassa minima globale non sarà più così, la concorrenza del dumping fiscale viene sterilizzata.
La svolta del G7 si deve al cambio di inquilino alla Casa Bianca. Se Donald Trump di tassare le multinazionali proprio non ne voleva sapere (anzi, aveva abbassato l’aliquota dal 35 al 21%), Joe Biden ha impresso una svolta sostenendo con determinazione la minimum tax.
Ora si tratta di estendere la decisione a tutti i Paesi dell’area Ocse. Olanda, Lussemburgo, Singapore e Irlanda sono sottoposte alla moral suasion e alla pressione economica e politica dell’Unione europea e degli Stati Uniti.
Quanto alle multinazionali, hanno talmente guadagnato negli anni scorsi che non si lamentano nemmeno più di tanto. Si limitano a sostenere che in fondo loro creano posti di lavoro nei Paesi dove hanno mercato. Una giustificazione un po’ debole. Tempo fa mi capitò di vedere il panfilo del socio di Bill Gates ormeggiato a Venezia. Ebbene, quell’imbarcazione, grande quanto una nave da crociera, equivale a quello che aveva risparmiato fiscalmente in un anno in Italia dirottando legalmente le imposte in Olanda o in qualche altro paradiso fiscale. Avremmo potuto apporre una targa sulla prua di quel mega yacht: “Per gentile omaggio dei contribuenti globali”.
Grazie alla svolta impressa da Joe Biden al G7, è stato varato un accordo che fissa le imposte sugli utili delle imprese al 15% e vincola le multinazionali a versarle almeno in parte nei Paesi dove hanno mercato
Il summit del G7 di Aylesbury, in Gran Bretagna, non verrà ricordato solo per la solita “Photo Opportunity”. Ha infatti prodotto un accordo molto popolare (globalmente popolare potremmo dire) sul piano dell’equità fiscale globale. Come è noto il problema riguarda le grandi multinazionali, in particolare quelle del web, i cui fatturati sono cresciuti a livello siderale anche per le enormi possibilità di elusione fiscale che hanno sfruttato nell’ultimo decennio. Perché meno tasse, ovviamente, significa non solo maggiori dividendi, ma anche ulteriori investimenti.
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