Grazie ai Big Data e a tecniche di Intelligenza Artificiale sempre più evolute, eventi che in passato venivano considerati Cigni Neri − impossibili da predire o anche immaginare − ora potrebbero diventare prevedibili
È ormai chiaro che digitalizzazione e nuove tecnologie non sono solo fattori di crescita economica, sociale e abilitatori di innovazione, ma anche elementi di redistribuzione di poteri e equilibri di forza, che i governi non possono più permettersi di ignorare. La posizione di forza economica, sociale e tecnologica delle Big Tech nella scacchiera internazionale, ha creato negli anni forme di dipendenza economica, sociale e ovviamente tecnologica da parte di molti paesi. Aziende come Apple, Google, Amazon, Microsoft e Tencent hanno una capitalizzazione di mercato che supera di gran lunga il Pil degli Stati. Apple potrebbe sicuramente sedersi al tavolo del G7 se fosse uno Stato così come Microsoft rientrare nella classifica dei dieci paesi più ricchi del mondo. I loro servizi sono diventati così strategici che una possibile interruzione avrebbe profonde ripercussioni sulla stabilità e crescita di intere aree geografiche. Pensate cosa potrebbe succedere, e come potrebbero reagire cittadini e imprese, se alcuni flussi di dati come l’e-banking o l’e-commerce dovessero interrompersi.
Accanto alla nascita di nuovi soggetti tecnologici di interesse politico, si affianca l’emergere di nuove questioni tecnologiche di interesse squisitamente governativo. Cybersicurezza, privacy, governance dei dati, commercio elettronico, governance della criminalità informatica, intelligenza artificiale, disinformazione e connettività sono temi che i governi moderni dovrebbero trattare tanto quanto la salute delle infrastrutture di mobilità, i trasporti aerei, la produzione di cereali e tessuti, la dipendenza da materie prime e così via. I paesi sanno bene, per esempio, che la rete internet, che per il 99% del suo traffico scorre attraverso cavi sottomarini posati esattamente laddove un tempo si trovavano i cavi del telegrafo, deve essere protetta tanto quanto le infrastrutture strategiche da attacchi hacker, così come la collettività dalla disinformazione o i dati dei cittadini da eventuali usi malevoli. Nuovi soggetti e nuovi temi al tavolo dei governi accendono un faro sulla capacità dei singoli paesi di sviluppare e utilizzare le tecnologie come asset competitivo per innovare servizi dedicati a cittadini e aziende, sviluppare settori ad alta intensità tecnologica, ma anche prendere decisioni migliori interpretando le informazioni a nostra disposizione oggi e definire traiettorie politiche per reagire velocemente o addirittura prevedere eventi inaspettati e improvvisi.
Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti lo sa bene e già nel 2018 ha annunciato la nascita della Enterprise Data Strategy (EDS) per dotare la sua forza lavoro globale di strumenti e competenze nell’uso efficace e sicuro dei dati nei servizi pubblici e dei processi decisionali. Anche in campo diplomatico.
Il vicesegretario per la Gestione e le Risorse Brian P. McKeon ha riaffermato l’impegno dell’amministrazione Biden per un processo decisionale basato su dati concreti al fine di migliorare “le capacità, le competenze e gli strumenti per trasformare i dati in intuizioni”. Attraverso l’Office of Strategic Forecasting and Analysis (OSFA) del Dipartimento di Stato gli Stati Uniti, vengono raccolti e analizzati, per esempio, una vasta gamma di dati, dai rapporti delle agenzie di intelligence, ai dati economici e le statistiche demografiche, per aiutare a prevedere gli sviluppi futuri e formulare le risposte adeguate alle sfide in atto.
Anche il Regno Unito con il Foreign and Commonwealth Office (FCO), la Francia e la Germania attraverso i rispettivi Ministeri degli Affari Esteri e l’Unione europea con il Joint Research Center, da anni lavorano all’analisi e sviluppo di sistemi capaci di raccogliere e interpretare i dati per finalità differenti. Mentre in Europa è stato sviluppato il Global Conflict Risk Index, un sistema che esprime il rischio di conflitto violento in un determinato paese nei prossimi quattro anni e si basa esclusivamente su indicatori quantitativi provenienti da database pubblici, l’Università di Uppsala e il Peace Research Institute di Oslo hanno sviluppato il Violence & Impacts Early-Warning System (VIEWS), una collaborazione di ricerca nata per assegnare una probabilità, per i prossimi 36 mesi, che si verifichino episodi di violenza in Africa e Medio Oriente.
Nel 2021, è stata la volta dell’Italia. Il Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale definisce un accordo di collaborazione con l’Università di Torino su tematiche relative alle previsioni di conflitti, coinvolgendo giovani data scientist, Luca Macis e Marco Tagliapietra e la professoressa Rosa Meo e la professoressa, e già Ministro dell’innovazione, Paola Pisano.
Vengono così realizzati due modelli di previsione di conflitti a breve e lungo termine applicando tecniche di Machine Learning e dell’Intelligenza Artificiale. Il primo modello identifica le variabili che meglio aiutano a predire conflitti. Dopo uno studio accurato su decine di database pubblici ne vengono scelti sei per la loro particolare rilevanza. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), The World Bank, Our World in Data, The Who/Unicef Joint Monitoring Programme, Integrated Crisis Early Warning System (ICEWS) e l’Uppsala Conflict Data Program (UCDP). I database permettono di individuare 21 variabili classificate in sei macro settori riguardanti la politica, gli aspetti sociali, macroeconomici, militari, le migrazioni, la sanità pubblica e privata all’interno del paese. Ogni variabile, corredata di un grado di importanza, viene osservata nel suo andamento e in eventuali variazioni all’avvicinarsi di un conflitto. Variabili come il rispetto dei diritti umani o il numero di rifugiati che lasciano il paese sono strettamente correlate all’arrivo di conflitti nell’area, cosa che invece non viene rilevata da variabili come, per esempio, l’aumento delle forze armate. Questa analisi preliminare ha creato una buona base di partenza per monitorare variabili importanti a livello mondiale, alle quali aggiungere fattori caratterizzanti in diversi paesi. Associati due algoritmi di intelligenza artificiale utili per stimare l’entità del conflitto – il Random Forest e il K-Nearest Neighbor – il modello ha dato buoni risultati riuscendo a prevedere otto volte su dieci l’arrivo e l’entità del conflitto sia per l’anno corrente sia per l’anno successivo.
Il secondo modello di previsione si basa su un sistema di allerta per identificare il possibile inizio di una situazione di instabilità sociopolitica nel breve periodo. La sfida è prevedere l’inizio e la fine di tali eventi inaspettati. In questo caso sono stati analizzati due database: il Global Database of Events, Language, and Tone (GDELT) realizzato da Google Jigsaw e l’Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED). Il primo database, GDELT, monitora le notizie da quasi ogni angolo del mondo in oltre 100 lingue e ne identifica le informazioni principali. Il secondo dataset, ACLED, raccoglie dati sugli eventi di violenza e di protesta segnalati in tutto il mondo.
Una rete neurale, opportunamente allenata, è stata in grado di distinguere i giorni normali da quelli precedenti a un evento inaspettato. Per svolgere questo compito, la rete è stata allenata a riconoscere ed estrapolare le caratteristiche principali di una giornata normale. Così come noi siamo capaci di disegnare un gatto perchè ne conosciamo le “caratteristiche principali”, così la rete neurale in questione è capace di identificare giorni normali (ai quali è stato dato un punteggio uguale a 0) e giorni anomali (ai quali è stato dato il valore di 1) che precedono un conflitto, un colpo di stato o qualsiasi altro evento inaspettato. Il sistema è stato messo alla prova su dati relativi ad eventi storici recenti, tra i quali l’invasione russa dell’Ucraina (febbraio ‘22), il colpo di stato in Burkina Faso (gennaio ‘22) e il colpo di stato in Birmania (febbraio ‘21) ottenendo ottimi risultati. Nel caso dell’Ucraina, per esempio, il sistema ha cominciato a segnalare un possibile conflitto a partire dal 13 settembre 2021 fino all’effettivo inizio della guerra. Per quanto riguarda il Burkina Faso, invece, il sistema ha segnalato un possibile aumento di conflitti armati e rivolte con più di 8 mesi di anticipo rispetto all’avvenuto colpo di stato. In generale, il sistema si è rivelato estremamente accurato nel prevedere eventi violenti come battaglie, rivolte e violenze contro i civili.
Grazie ai Big Data e a tecniche di Intelligenza Artificiale sempre più evolute, eventi che in passato venivano considerati cigni neri ora potrebbero diventare molto rari ma prevedibili. Un’opportunità che va colta non solo attraverso singole sperimentazioni ma grazie ad un cambiamento culturale e organizzativo interno ai governi, affinché intelligenza artificiale e dati diventino strumenti per intercettare cambiamenti importanti nell’assetto internazionale e imparare a reagire oggi prendendo le migliori decisioni possibili per il futuro.
I paesi che non lo faranno rinunceranno ad usare uno strumento in più per raggiungere resilienza, autonomia e rilevanza strategica. Quelli che oggi inizieranno questo percorso non semplice potrebbero invece guadagnarsi una posizione di privilegio nello scacchiere internazionale. A noi la scelta.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/marzo di eastwest
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