Quanto sta avvenendo a Rafah può minare la pace tra Egitto e Israele? Risponde l’ex Ambasciatore israeliano Jeremy Issacharoff, che è stato membro di diversi gruppi di negoziatori sugli accordi di normalizzazione con l’Egitto.
Con l’inizio dell’operazione dell’esercito israeliano a Rafah, anche se i militari parlano di una azione “limitata”, i rapporti di Israele con gran parte del mondo occidentale si sono deteriorati, per la preoccupazione sulla sorte delle centinaia di migliaia di rifugiati che nella città meridionale della Striscia da mesi sono ospitati. Ma l’occupazione del valico della stessa città, porta d’ingresso e uscita da e verso l’Egitto, ha messo in dubbio una pace che regna, seppur “fredda” da decenni. Una pace che l’Egitto ha minacciato di rompere, cancellando il trattato sottoscritto nel 1979, il primo del paese ebraico con uno arabo, e richiamando l’ambasciatore da Tel Aviv.
Per il Cairo, l’occupazione del valico e l’operazione a Rafah sono limiti invalicabili. Gli egiziani hanno anche rifiutato l’offerta israeliana di gestire la via d’accesso alla Striscia dall’altro lato dell’Egitto. Spetta ai palestinesi, hanno detto, ma Israele non vuole lasciare la cosa in mano ad Hamas. Per cui pensa ad una società privata americana.
Il confine tra i due paesi, seppur in pace, è militarizzato. Questo perché, non è un mistero, il Sinai egiziano è lungi dall’essere sotto il controllo diretto dell’esercito e delle autorità centrali del Cairo. Bande di beduini controllano i traffici, soprattutto illeciti della zona. E’ da lì che passano droga e armi per Israele e Cisgiordania, ma soprattutto armi e soldi per Gaza. Il corridoio Philadelphia, la zona cuscinetto al confine tra Egitto e Gaza, 14 km dal mare al confine con Israele, è gestito dall’Egitto, dopo che Israele lo ha ceduto in seguito all’uscita da Gaza nel 2005. Da allora, nonostante le promesse egiziane e l’impegno di una missione europea (EUBAM Rafah), il confine non ha impedito il passaggio di tutto sia verso la Striscia di Gaza, grazie ai tanti tunnel, che verso Israele.
Non senza problemi. A giugno dell’anno scorso, ad esempio, un soldato egiziano uccise tre militari israeliani, disse che li aveva scambiati per contrabbandieri. Cosa che è successa sui due fronti più volte. Dopotutto, se Gaza si riesce ad armare, difficile che avvenga tramite Israele. Si sa dell’esistenza di molti tunnel tra la Striscia e l’Egitto.
Quanto la cosa avvenga con la consapevolezza e l’avallo, seppur silenzioso di esercito e governo egiziani, non si sa.
“Dubito fortemente – spiega l’ex ambasciatore israeliano Jeremy Issacharoff, che è stato membro di diversi gruppi di negoziatori sugli accordi di normalizzazione con l’Egitto – che il governo egiziano sia implicato o connivente con i contrabbandieri di armi e altro. I quali sono un pericolo anche per il Cairo, perché alimentano un commercio illegale in un’area già complicata”.
Cosa allora preoccupa gli egiziani del controllo israeliano del corridoio Philadelphia?
“C’è molta preoccupazione per la situazione umanitaria e per il passaggio delle forniture umanitarie. Sono preoccupati che se la situazione a Rafah si destabilizzasse, ci sarebbero 1,4 milioni di palestinesi. Gli egiziani – continua il diplomatico – sono preoccupati e osservano molto attentamente fino a che punto le cose diventeranno instabili al punto che all’improvviso i palestinesi proveranno ad attraversare il confine con l’Egitto. Preoccupazione, che li ha spinti ad inviare messaggi piuttosto diretti a Israele a questo riguardo”.
Crede che quanto sta avvenendo a Rafah possa minare i rapporti tra Egitto e Israele? Il Cairo ha anche detto che sosterrà la causa sudafricana alla corte dell’Aja per genocidio contro il paese ebraico.
“Negli ultimi mesi, in particolare negli ultimi giorni, molti egiziani sono preoccupati per quello che sta succedendo a Gaza. E, questo, non è qualcosa di nuovo nell’agenda bilaterale. Sapete, nel corso degli anni ci sono stati molti scontri tra Hamas e Israele. E in generale, direi che l’Egitto ha svolto un ruolo molto positivo nel tentativo di stabilizzare la situazione e fermare le ostilità. E penso che l’ultima possibilità di andare a Rafah e di svolgere lì un’operazione militare aumenti ovviamente la preoccupazione egiziana. Dall’inizio della guerra, il 7 ottobre, da parte egiziana c’era già una tremenda preoccupazione per il fatto che un certo numero di palestinesi potesse affluire nel Sinai. E ci sono state anche alcune dichiarazioni che lasciavano intendere che se ciò fosse accaduto o se Israele avesse permesso che accadesse, il trattato di pace sarebbe stato in pericolo. Ma per essere sincero non credo che queste preoccupazioni siano autentiche. Tra Egitto e Israele – spiega il diplomatico – potrebbe non essere una pace calda, ma è una pace molto strategicamente importante. Ed è qualcosa che cattura e incarna anche molti interessi di sicurezza reciproci. Quindi penso che anche se ci saranno preoccupazioni, potrebbero esserci tensioni, ma le relazioni non si rovineranno del tutto. L’Egitto ha anche un importante ruolo di mediazione per la liberazione degli ostaggi. E’ vero, si sono uniti a questo caso presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aia con la Turchia e Sudafrica. Ma questo è il genere di cose che si possono fare nelle organizzazioni internazionali, ma credo che saranno molto cauti prima di infrangere il trattato di pace”.
Quanto sta avvenendo a Rafah può minare la pace tra Egitto e Israele? Risponde l’ex Ambasciatore israeliano Jeremy Issacharoff, che è stato membro di diversi gruppi di negoziatori sugli accordi di normalizzazione con l’Egitto.
Con l’inizio dell’operazione dell’esercito israeliano a Rafah, anche se i militari parlano di una azione “limitata”, i rapporti di Israele con gran parte del mondo occidentale si sono deteriorati, per la preoccupazione sulla sorte delle centinaia di migliaia di rifugiati che nella città meridionale della Striscia da mesi sono ospitati. Ma l’occupazione del valico della stessa città, porta d’ingresso e uscita da e verso l’Egitto, ha messo in dubbio una pace che regna, seppur “fredda” da decenni. Una pace che l’Egitto ha minacciato di rompere, cancellando il trattato sottoscritto nel 1979, il primo del paese ebraico con uno arabo, e richiamando l’ambasciatore da Tel Aviv.