Il Presidente tunisino ha invocato misure urgenti contro l’immigrazione illegale di africani subsahariani, definendola parte di “un piano criminale” per fare della Tunisia “solamente un Paese africano e non un membro del mondo arabo e islamico”. Sostegno a Saied da parte del Governo italiano mentre sono molto dure le reazioni dell’Unione africana
Si sta facendo sempre più complicata la vita in Tunisia, per le persone di pelle nera e di origine subsahariana presenti nel Paese. Le condizioni di queste fasce della popolazione si erano già aggravate, nel corso delle ultime settimane. Ma martedì 21 febbraio, un discorso apertamente razzista del Presidente tunisino Kais Saied ha fatto sì che la situazione degenerasse e che si venisse a creare un vero e proprio clima di paura. Ora i migranti denunciano una caccia all’uomo e in molti cercano di trovare rifugio fuori dal Paese.
Nell’ultimo periodo, la retorica anti migranti era diventata più forte in Tunisia con l’affermazione del Partito Nazionalista Tunisino, una piccola formazione apertamente xenofoba. Anche le istituzioni stesse, però, hanno contribuito a far aumentare il senso di insicurezza all’interno della comunità nera che vive nel Paese. Nelle scorse settimane sono stati infatti arrestati circa 400 migranti, la maggior parte dei quali sono stati in seguito rilasciati.
Come detto, il punto di svolta è tuttavia arrivato con un discorso del Presidente, diffuso via comunicato. In questo, Saied ha affermato come i migranti subsahariani si siano resi colpevoli di violenze, crimini e atti inaccettabili, e facciano parte di un disegno più ampio. “Esiste un piano criminale per cambiare la composizione demografica della Tunisia” ha dichiarato, spiegando come esista “una volontà di fare della Tunisia solamente un Paese africano e non un membro del mondo arabo e islamico”. Saied ha infine insistito sulla necessità di mettere fine a questa immigrazione.
Le parole del Presidente tunisino sono state osservate con preoccupazione nel continente. L’Unione africana ha reagito con durezza, condannando il discorso e invitando le autorità del Paese ad “astenersi da discorsi d’odio e razziali, che potrebbero portare un danno alle persone, dando invece priorità alla loro sicurezza e ai diritti umani”. Diverse, invece, le risposte che sono arrivate dall’Europa. Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha assicurato che “il Governo italiano è in prima linea nel sostenere la Tunisia nelle attività di controllo delle frontiere, nella lotta al traffico di esseri umani”. L’ex candidato di estrema destra alla Presidenza francese, il sostenitore della tesi della “grande sostituzione” Éric Zemmour, si è subito allineato alle parole di Saied.
Nonostante le voci di questi giorni si siano spinte ad affermare che i migranti subsahariani in Tunisia siano addirittura 2 milioni, la associazioni locali concordano nel dire che il numero sia estremamente più basso, stimabile tra le 30 e le 50 mila persone. La Tunisia è senza dubbio un Paese di transito, ma non solo: molte persone provenienti dal resto del continente africano vi vivono da anni, come studenti o avendo un impiego. Per quanto riguarda i lavoratori, questi sono spesso esposti allo sfruttamento, a causa della loro situazione precaria.
Ora, le dichiarazioni del Presidente e il clima di violenza che ne è seguito sembrano pensati per spingere le persone di origine subsahariana a lasciare lo stato. In particolare, le ondate di arresti mostrerebbero la volontà di non tollerare più la presenza di migranti senza documenti regolari. Tuttavia, alle autorità mancano i mezzi per rendere effettive queste scelte, ha spiegato la giornalista Arianna Poletti a Radio3 Mondo: “Non ci sono accordi bilaterali tra la Tunisia e i Paesi di provenienza, per organizzare delle eventuali espulsioni”.
Dopo la controversa presa di posizione del Presidente, però, molti dei migranti subsahariani presenti in Tunisia hanno deciso di muoversi autonomamente e di provare ad abbandonare il Paese. “La possibilità di richiedere il ritorno volontario dalla Tunisia esiste già, si passa attraverso l’Organizzazione internazionale per le migrazioni” spiega Arianna Poletti. Ma in queste settimane, l’ente fatica a gestire tutte le richieste: fuori dalla sua sede si è perciò formata una tendopoli per chi è in attesa di una risposta, e anche le ambasciate sono prese d’assalto da chi vuole tornare nel proprio luogo d’origine.