La prima sconfitta elettorale di Erdogan dal 2003: da allora il suo partito aveva sempre vinto le elezioni più importanti a livello politico e amministrativo
Lo scorso 31 marzo nelle 81 province della Repubblica di Turchia si sono svolte le elezioni amministrative. Gli elettori sono stati chiamati a indicare i sindaci, i consiglieri comunali, i presidenti dei distretti e i consiglieri distrettuali, oltre che i membri del consiglio provinciale, i Mukthars – istituzioni di primo contatto con i cittadini, in breve identificabili con i capo-quartiere – e i membri del Consiglio degli Anziani. I risultati elettorali, che hanno interessato anche importanti centri quali Ankara, Istanbul, Izmir e Bursa, rappresentano un punto di avvio per la volata alle elezioni nazionali previste per il 2023.
La contesa elettorale ha visto concorrere 12 partiti tra cui il partito di Governo AKP, il CHP, principale partito d’opposizione, il MHP, con il primo in coalizione, l’IYI Parti, nato dalla recente scissione del MHP, e lo HDP, un catch-all party dalle note posizioni filo-curde il cui leader Demirtaş è tuttora in carcere. Come già per le elezioni presidenziali del 2018, le coalizioni hanno visto AKP e MHP unirsi nell’Alleanza del Popolo (Cumhur Ittifaki), cui si è contrapposta l’Alleanza per la Nazione (Millet Ittifaki), che al CHP e all’IYI Parti ha visto unirsi il Demokrat Parti e il Saadet.
Nonostante si sia trattato di alleanze già consolidate nella tornata elettorale presidenziale, non sono mancate intense negoziazioni pre-elettorali che hanno portato, ad esempio, il MHP a non presentare propri candidati sindaco in centri importanti come Ankara, Izmir e Istanbul, ottenendo però in quest’ultima il sostegno della coalizione per i propri candidati in distretti importanti come Beşiktaş e Maltepe; similmente, il MHP ha ritirato le proprie candidature ad Aydin, Denizli ed Erzurum per sostenere i candidati dell’AKP. Nella più eterogenea Alleanza per la Nazione (il CHP è considerato una forza di centro-sinitra, l’IYI Parti e il DP di centro-destra) un simile meccanismo di convergenza dei voti su un candidato comune ha alla fine riguardato 49 province su 81. Ufficiosamente, inoltre, questa Alleanza potrebbe godere del supporto esterno dello HDP, che probabilmente a questo scopo il 28 gennaio scorso ha dichiarato che non avrebbe presentato propri candidati in 7 grandi municipalità, tra cui Istanbul. Si è tuttavia trattato di una scelta controversa, volta a far convergere tutto l’elettorato contrario all’AKP ma che ha destato malcontento soprattutto tra le fila dell’IYI Parti, culminando con la scelta del deputato della provincia di Manisa, Tamer Akkal, di aderire all’AKP.
Alcune candidature sono state di particolare interesse. A Istanbul, citta cara ad Erdoğan che ne è stato sindaco nel 1994, ad esempio, l’Alleanza del Popolo ha candidato Binali Yıldırım, Presidente del Consiglio prima della riforma per il presidenzialismo del 2017 e successivamente Presidente della Grande Assemblea Nazionale di Turchia (GANT), carica abbandonata alla vigilia delle elezioni locali. Una candidatura che l’opposizione ha considerato incostituzionale alla luce dei limiti previsti per i Presidenti e Vicepresidenti della GANT, che tuttavia Yildirim ha ritenuto non applicabili alle candidature a sindaco.
Nonostante la crisi economica sembri essere la principale sfida che il Paese è chiamato a affrontare nei prossimi tempi nonché il principale elemento che ha orientato le scelte degli elettori, le campagne elettorali hanno anche riguardato temi più vicini alle esigenze dei cittadini a livello locale, come ambiente e cultura. Già durante la campagna elettorale, l’AKP ha cercato di ridurre l’impatto ambientale con lo Zero Waste Project e, accanto alla soddisfazione dei servizi di base come la costruzione di strade e infrastrutture, ha promesso la creazione di “Giardini del popolo”, aeree verdi nel cuore delle città dedicate al relax e alle attività culturali dei cittadini. Dal canto suo, i 12 punti del manifesto elettorale dell’Alleanza della Nazione hanno incluso misure di politica sociale e ambientale, ma la campagna della coalizione ha puntato soprattutto su un più diretto attacco agli avversari su temi quali la crescita dei tassi di interesse, il debito pubblico, la decrescita della produzione, soprattutto agricola, con conseguente aumento dei prezzi del cibo.
Le vicende internazionali hanno anch’esse avuto un ruolo fondamentale nella tenzone, con Erdoğan che ha più volte richiamato gli eventi di Christchurch come un doloroso tassello in una più generale campagna internazionale contro l’Islam e la Turchia, mentre l’Alleanza della Nazione ha puntato sulla critica alle politiche nei confronti dei rifugiati siriani promettendo una riduzione rilevante dell’accoglienza.
Il 1° aprile la Turchia si è svegliata con risultati elettorali poco chiari e quella che Erdoğan aveva definito come “la pıù grande minaccia per Istanbul” sembra essere divenuta reale. Per la grande municipalità di Istanbul, infatti, il CHP ha ottenuto, seppur con uno scarto minimo e con la contestazione di un numero rilevante di urne, la maggioranza del 48,78% dei voti riuscendo a eleggere il giovane ed enigmatico Ekreth İmamoğlu, che può contare sulla buona gestione del distretto di Beylikdüzü. Un egual risultato non è tuttavia stato raggiunto a livello dei distretti (la cui maggioranza è nelle mani dell’AKP) nè a livello provinciale, dove il solo AKP ha ottenuto il 45,53% dei consensi. Più evidente è stata la sconfitta dell’Alleanza del Popolo ad Ankara, dove il candidato Mehmet Özhaseki, già Ministro della Pianificazione Ambientale e Urbana, aveva promesso il miglioramento del trasporto pubblico e la realizzazione di un Children Village Project. Le promesse elettorali di Mansur Yavaş, candidato dall’Alleanza della Nazione ma con una lunga militanza tra le fila del MHP, infatti, sono sembrate più convincenti. Per i complicati scenari geopolitici in cui il Paese è coinvolto, importanti sono anche i risultati nelle province del sud-est, dove lo HDP, poco rilevante nel resto del Paese, ha conquistato le città di Diyarbakir, Batman, Mardin, Siirt, Van e Hakkari, lasciando all’AKP le sole province di Gaziantep, Saliurfa e Sirnak.
Il processo elettorale, tuttavia, non può considerarsi ancora concluso; all’indomani delle elezioni, infatti, sia il portavoce dell’AKP Ömer Çelik che Binali Yıldırım hanno chiesto all’YSK, la Commissione elettorale turca, il riconteggio, ancora in corso, delle schede elettorali in diversi distretti di Istanbul; anche ad Ankara, le schede di diversi distretti elettorali sono al vaglio dell’autorità.
Intanto, la delegazione del Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa ha consegnato il proprio rapporto relativo al monitoraggio elettorale, sottolineando il dato positivo della partecipazione (84% degli aventi diritto) e dichiarando che, nonostante alcuni scontri nel sud-est, le operazioni di voto si sono svolte in maniera ordinata nei 140 seggi in cui è stato eseguito il monitoraggio. Tuttavia, al di là delle considerazioni tecniche, il portavoce della delegazione Andrew Dawson non ha mancato di evidenziare la necessità di garantire maggiore libertà di espressione e di accesso ai media affinché il processo elettorale turco possa definirsi pienamente democratico, libero ed equo nonché in linea con gli standard del Consiglio d’Europa. Un giudizio che Ankara ha rispedito al mittente definendolo, per bocca del portavoce del Ministero degli Esteri Hami Aksoy, “senza fondamento”.
Dedurre un possibile scenario da questi risultati elettorali si rivela quanto mai arduo. L’AKP mantiene una generale maggioranza nel Paese, ma viene colpito da una fluttuazione dei consensi che non andrebbe sottovalutata. Ben lontani i tempi delle maggioranze bulgare anche a livello nazionale, il partito deve ora accogliere l’invito a un maggiore impegno per risolvere la crisi finanziaria e confermare il buono stato di salute della democrazia turca che Erdoğan ha rivolto agli elettori e alla coalizione dal balcone della sede di Ankara quando ancora i risultati definitivi erano attesi. Dal suo canto, l’opposizione vede in questi risultati un incoraggiante punto di partenza per le elezioni del 2023 e promette battaglia.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
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La prima sconfitta elettorale di Erdogan dal 2003: da allora il suo partito aveva sempre vinto le elezioni più importanti a livello politico e amministrativo