Dopo mesi di trattative, la Commissione europea ha dato il via libera al piano industriale della nuova compagnia di Stato, che decollerà il 15 ottobre. Tanti gli elementi di cesura richiesti dall’Ue
Parola d’ordine: discontinuità. È stato il mantra lungo tutti i mesi della trattativa tra Roma e Bruxelles sull’avvenire di Alitalia dopo cinque anni di amministrazione straordinaria. Un negoziato serrato, a volte anche aspro – come ha di recente rivelato Margrethe Vestager, vicepresidente esecutiva della Commissione europea e titolare della Concorrenza -, con i tecnici della Torre Madou determinati a chiedere che la nuova compagnia di Stato, Ita, arrivasse sul mercato come “un attore economico nuovo, redditizio e distinto da Alitalia.
Sull’operatore in via di dismissione, infatti, pesa un’indagine della direzione generale Concorrenza (DG COMP) per aiuti di Stato illegali pari a oltre 1,3 miliardi di euro: la condanna altamente probabile rende necessaria una significativa cesura con il passato per far sì che i debiti rimangano a carico di Alitalia (e in ultima analisi dei contribuenti) ed evitino di pesare invece sulle casse della neonata compagnia.
Anche perché i rischi che l’operazione venga portata davanti alla Corte di Giustizia dell’Ue da competitor privati è alto: Ryanair, per dirne una, ha impugnato negli scorsi mesi molti provvedimenti che durante la pandemia hanno immesso nuova liquidità nelle casse in difficoltà delle compagnie di bandiera di quasi tutta Europa; la necessità che il passaggio Alitalia/Ita sia difendibile nelle aule del tribunale comunitario è, per la Commissione, un elemento imperativo.
I chiari parametri di discontinuità richiesti da Bruxelles e concordati a fine maggio tra Vestager e i Ministri Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico) e Daniele Franco (Economia e Finanze) sono stati recepiti dal piano industriale pubblicato da Ita il 15 luglio, al termine della rifinitura degli ultimi dettagli d’intesa con la Commissione, cui ha fatto seguito l’annuncio della data per il lancio di Ita e la fine delle attività di Alitalia: il 15 ottobre (ma gli utenti potranno cominciare ad acquistare i biglietti per volare con il nuovo vettore già da Ferragosto).
Il bilancio è doloroso ma tutto sommato positivo, considerati i persistenti rischi di fallimento e i due rinvii a inizio anno perché il tira-e-molla non trovava uno sbocco: la newco potrà, con il benestare di Bruxelles, acquistare tramite negoziato diretto con Alitalia gli asset necessari per gestire il ramo volo; sarà invece messo a gara lo storico brand, per lunghe fasi del negoziato ritenuto da Roma un elemento irrinunciabile. Sarà una procedura pubblica, con tutte le incognite del caso: non è detto, quindi, che sia necessariamente Ita ad aggiudicarsi il marchio. E saranno oggetto di gare che Alitalia si prepara a bandire anche le attività di handling (i servizi a terra) e quelle di manutenzione: se nel primo caso Ita potrà partecipare come azionista di maggioranza della nuova società, nella seconda ha facoltà di tenere per sé solo una quota di minoranza, affiancando altri investitori.
Gli elementi di discontinuità
A marcare la discontinuità ci sono pure la fine del programma fedeltà “Millemiglia” (i punti accumulati sfumeranno e Ita dovrà sviluppare un nuovo schema) e la riduzione della flotta. Da subito, ITA opererà con 52 aerei (7 “wide body” e 45 “narrow body”), ma il piano industriale prevede che crescerà fino a 78 velivoli nel 2022 e 105 entro il 2025, con un obiettivo ambizioso improntato alla sostenibilità ambientale: il 77% dei nuovi aeromobili sarà di nuova generazione, con minori emissioni di CO2. Tagli importanti anche al personale: poco meno di 3mila i dipendenti in forze a Ita, ma con l’obiettivo di arrivare a 5.500-5.700 nei prossimi 4 anni: alla fine del 2025 i lavoratori contrattualizzati dovrebbero arrivare a circa 9.650, contro i 10.500 attuali, e con stipendi in linea di massima invariati.
La riassunzione dello staff che ha vestito finora la divisa di Alitalia non va contro le direttive di Bruxelles: “Qualsiasi nuova azienda deve assumere dipendenti; da dove arrivano non è necessariamente un indice di continuità”, aveva detto a inizio mese Vestager. A gestire il passaggio del personale dalla vecchia alla nuova compagnia sarà una società esterna: un ulteriore elemento di garanzia di un cambio di passo non solo di facciata. Cassa integrazione, prepensionamenti e possibile ricollocazione in altre società pubbliche sono le opzioni allo studio del Governo per chi non troverà impiego in Ita. E poi ci sono gli slot, asset preziosissimo per ogni operatore dei cieli: Ita manterrà l’85% di quelli di Milano Linate e il 43% di Roma Fiumicino. Beninteso, nei prossimi anni, in linea con i piani di crescita, Ita potrà acquistare nuovi diritti di atterraggio e decollo.
Intanto, la newco di Stato ha proceduto all’aumento di capitale di 700 milioni di euro, indispensabile per avviare l’attività tra meno di tre mesi (ma basteranno?, si chiedono gli osservatori): Ita opererà da subito su 45 rotte, ma con un focus sul lungo raggio che sarà a regime dall’inverno (con collegamenti verso America e Asia) e l’orizzonte del pareggio di bilancio nel 2023. E cosa ne sarà dei biglietti già acquistati con Alitalia? In ossequio al principio di discontinuità, non potranno essere usati a bordo di un volo Ita. Ma qui entra in gioco la protezione dei consumatori, una stella polare per la Commissione Ue: il fondo da 100 milioni istituito dall’esecutivo ha infatti ricevuto luce verde da Bruxelles, ed è verosimile che anche altre iniziative di Roma per tutelare i passeggeri vengano approvate.
Sull’operatore in via di dismissione, infatti, pesa un’indagine della direzione generale Concorrenza (DG COMP) per aiuti di Stato illegali pari a oltre 1,3 miliardi di euro: la condanna altamente probabile rende necessaria una significativa cesura con il passato per far sì che i debiti rimangano a carico di Alitalia (e in ultima analisi dei contribuenti) ed evitino di pesare invece sulle casse della neonata compagnia.