Nella lotta al Covid, l’Ue ha ritrovato lo spirito e i valori di solidarietà e cooperazione per i quali l’Europa unita è nata 75 anni fa
Proviamo a riavvolgere il nastro di quest’annus horribilis: come ne esce l’Unione europea? L’inizio è stato disastroso: ci sono state le dichiarazioni ciniche della neo-governatrice Christine Lagarde e il balbettio di Ursula von der Leyen, da pochi giorni alla guida della Commissione europea. Nel frattempo molti Paesi, come la Francia o la Slovenia, bloccavano alle frontiere i dispositivi medici diretti all’Italia. Sembrava la fine dell’Europa. Ma dopo questa fase iniziale di smarrimento le istituzioni comunitarie si sono ritrovate. Il balbettio si è trasformato in una gigantesca azione di contrasto alla peste di questo secolo: il Covid. Ed è come se le donne e gli uomini di Bruxelles si fossero ricordati della natura stessa dell’Unione, nata 75 anni fa per gestire la crisi del dopoguerra.
Nell’Italia sconvolta dalla pandemia sono arrivati medici dalla Polonia e dalla Romania, un ospedale da campo dalla Danimarca, mascherine e disinfettanti da Francia e Slovacchia. Per decongestionare le terapie intensive, pazienti italiani sono stati ricoverati e salvati negli ospedali della Germania e dell’Austria. Bisognava chiudere le frontiere, sospendendo temporaneamente il Trattato di Schengen creando però corsie preferenziali (le cosiddette linee verdi) per prodotti medici e dispositivi di protezione. Da Bruxelles, a marzo, è stata avviata la fase 2: sono stati aperti bandi di emergenza nella ricerca scientifica, finanziati con mezzo miliardo di euro, per progetti su vaccini, terapie, test diagnostici. Contemporaneamente, oltre 80mila europei, bloccati nelle quarantene, venivano rimpatriati con voli charter dai quattro angoli del mondo nel nostro continente grazie all’organizzazione della Commissione.
Alla vigilia dell’arrivo del Settimo Cavalleggeri, come sono stati definiti i vaccini, è giusto rendere merito alla Commissione l’organizzazione del gigantesco piano di che ha permesso di mettere in campo un siero anti Covid in un anno, quando tradizionalmente ce ne vogliono dieci: Oltre a finanziare alcuni progetti di ricerca scientifica per sviluppare il vaccino, la Commissione ha avviato negoziati con le case farmaceutiche che lo stavano sviluppando in modo più promettente. Un team della Commissione (che comprende anche una manager italiana, la direttrice generale Sandra Gallina) ha condotto in modo serrato le trattative per tutti i 27 Stati membri, concludendo accordi con Pfizer, Biontech, Moderna, Oxford Astrazeneca e altre case farmaceutiche: quasi due miliardi di dosi per 460 milioni di cittadini europei. Tra vaccini e richiami dovrebbero avanzare un miliardo di dosi, che verranno donati ai Paesi in difficoltà, gli Stati balcanici, tradizionali vicini di casa dell’Europa, quelli africani, il Maghreb. Quest’operazione dovrebbe ribadire i valori di solidarietà e cooperazione alla base della fondazione della Comunità europea.
Tutto questo tralasciando gli aiuti economici, necessari alla ripresa economica di fronte a una crisi devastante. La Commissione ha sospeso ogni vincolo di Maastricht sui bilanci: i Paesi possono spendere in deficit senza il rigoroso rispetto dei parametri del patto per affrontare questa emergenza, comprese le regole sugli aiuti di Stato. Quanto alla Banca centrale europea, il suo board presieduto dalla Lagarde ha sparato il secondo formidabile nuovo “bazooka” da oltre mille miliardi di euro immessi nel sistema finanziario, di cui l’Italia è stata il maggior beneficiario.
Successivamente è partito il cosiddetto Sure, programma straordinario di aiuto alla cassintegrazione lanciato nel mese di aprile (e anche qui l’Italia sarà il maggiore beneficiario con 27 miliardi dei 100 previsti, per aiutare le misure nazionali di lotta alla disoccupazione). E infine è arrivato il big bang del Next Generation Plan, di cui il Recovery Fund è il sottoprogramma principale: una dotazione di 750 miliardi di euro su tre anni. Una cifra enorme, se pensiamo che in tempi normali il bilancio europeo è di circa 150 miliardi all’anno. Di questi, 209 miliardi sono a disposizione del nostro Paese per riformare completamente la nostra economia, dal digitale alle imprese sostenibili. Ma forse la grande lezione della tragedia del Covid è stata l’imprescindibile necessità di marciare uniti, in solidarietà e coordinamento di fronte a un nemico invisibile. Nell’anno della Brexit, l’Unione ha rischiato la sua dissoluzione definitiva, e invece ha saputo dimostrare di essere, tra mille difficoltà, ancora viva e necessaria.
Nella lotta al Covid, l’Ue ha ritrovato lo spirito e i valori di solidarietà e cooperazione per i quali l’Europa unita è nata 75 anni fa
Proviamo a riavvolgere il nastro di quest’annus horribilis: come ne esce l’Unione europea? L’inizio è stato disastroso: ci sono state le dichiarazioni ciniche della neo-governatrice Christine Lagarde e il balbettio di Ursula von der Leyen, da pochi giorni alla guida della Commissione europea. Nel frattempo molti Paesi, come la Francia o la Slovenia, bloccavano alle frontiere i dispositivi medici diretti all’Italia. Sembrava la fine dell’Europa. Ma dopo questa fase iniziale di smarrimento le istituzioni comunitarie si sono ritrovate. Il balbettio si è trasformato in una gigantesca azione di contrasto alla peste di questo secolo: il Covid. Ed è come se le donne e gli uomini di Bruxelles si fossero ricordati della natura stessa dell’Unione, nata 75 anni fa per gestire la crisi del dopoguerra.
Questo contenuto è riservato agli abbonati
Abbonati per un anno a tutti i contenuti
del sito e all'edizione cartacea + digitale della rivista di
geopolitica