La crisi Covid ha causato un aumento dei pagamenti cashless del 40%. Contro il pericolo delle valute private, le banche centrali progettano valute digitali. Un’evoluzione rischiosa ma necessaria
La crisi Covid ha causato un aumento dei pagamenti cashless del 40%. Contro il pericolo delle valute private, le banche centrali progettano valute digitali. Un’evoluzione rischiosa ma necessaria
La crisi del Covid-19 ha visto un boom degli acquisti online e dei pagamenti con carta di credito (facilitati dalla diffusione delle carte contactless). La pandemia ha accelerato una tendenza alla riduzione dell’uso del contante, che pur rimanendo il mezzo di pagamento più comune in corso da molti anni, vede il suo predominio erodersi costantemente (nella zona euro a fine 2019 circa il 73% delle transazioni avvenivano in contante; ma erano il 79% solo tre anni prima). Un’inchiesta della Bce pubblicata nel luglio 2020 documenta come il 40% degli utilizzatori abbiano ridotto l’utilizzo del contante dopo l’inizio della pandemia.
La proliferazione delle criptovalute
La smaterializzazione delle transazioni avviene in un contesto in cui la proliferazione di criptovalute decentralizzate (come bitcoin) pone una minaccia, sia pure non immediata, al monopolio nell’emissione di valuta che le banche centrali hanno da più di un secolo. Le criptovalute oggi non sono una riserva di valore sicura, né un’unità di conto, né un affidabile mezzo di scambio (il loro prezzo è troppo volatile). Non soddisfano insomma alcuno dei criteri necessari per essere definiti “moneta”. Allo stesso tempo, il tentativo di Facebook di lanciare la propria valuta digitale privata (Libra) approfittando del suo status di gigante del web, incontra ostacoli tecnici, regolamentari ed etici che non saranno risolti a breve. Ma è solo questione di tempo prima che, in una forma o in un’altra, emerga un sistema di pagamenti digitale che sia sufficientemente stabile, a buon mercato e sicuro da far concorrenza alle valute sovrane come l’euro o il dollaro.
Quando un concorrente emergerà, gli emittenti legali si troveranno in grande difficoltà. In un mondo nel quale l’uso di contante è ridotto ed esistono concorrenti per le valute sovrane, da un lato sarà difficile condurre le politiche macroeconomiche necessarie a sostenere l’economia (per esempio tramite iniezioni di liquidità a sostegno di governi e imprese come avvenuto nella primavera del 2020). Dall’altro lato, aumenterà il rischio di instabilità finanziaria. È opportuno rammentare che la nascita delle banche centrali, istituzioni dotate per legge del monopolio dell’emissione di moneta legale, rispondeva proprio all’esigenza di stabilizzare un sistema in cui la proliferazione di mezzi di pagamento privati (il credito) necessitava (e necessita tuttora) di un prestatore di ultima istanza capace di fornire mezzi di pagamento virtualmente illimitati a istituzioni finanziarie in difficoltà. La sparizione del contante e l’avvento delle criptovalute rischiano di farci entrare in un’economia cashless in cui è indifferente se le transazioni avvengono in dollari, euro, yen o anche bitcoin. A quel punto le banche centrali perderebbero ogni possibilità di utilizzare la leva monetaria e anche di agire da prestatore di ultima istanza.
Proprio per non trovarsi sorpassate dagli eventi, la maggioranza delle banche centrali riflette alla creazione di valute digitali (CBDC, acronimo inglese per Central Bank Digital Currency). Si tratterebbe in pratica di “contante digitale” che potrebbe essere caricato su una carta o su di una app. Come il contante oggi, questo avrebbe corso legale e sarebbe universalmente accettato. I due paesi più avanzati nella riflessione sono la Svezia e la Cina, che ha anche cominciato a testarlo in qualche grande città e potrebbero lanciarlo in occasione delle Olimpiadi d’inverno del 2022. Anche in Europa la riflessione avanza; la Bce ha lanciato nell’ottobre 2020 un processo di consultazione pubblico i cui risultati saranno pubblicati nei prossimi mesi. Ma come ha ricordato recentemente Christine Lagarde, siamo ancora molto lontani da una proposta operativa che tenga in debito conto tutte le questioni tecniche e regolamentari.
I vantaggi della valuta digitale
Quali sarebbero i vantaggi della creazione di una valuta digitale? In primo luogo, essa eviterebbe la “privatizzazione della moneta” legata alla sparizione del contante. Ricordiamo che giganti del web, grandi oligopoli come Amazon e Google riflettono sulla creazione delle loro valute, che magari legherebbero all’utilizzo dei propri servizi, “catturando” i consumatori. Il rischio di un mercato delle criptovalute dominato da pochi grandi attori è reale. Essi formerebbero di fatto un oligopolio della creazione di moneta e dei sistemi di pagamento (le piccole banche avrebbero difficoltà a sopravvivere), con un potenziale rischio di accaparramento di rendite di posizione.
La creazione di valute digitali da parte delle banche centrali consentirebbe di risolvere i problemi e le inefficienze legate ai pagamenti con il contante e resistere così all’offensiva delle criptovalute, mantenendo il controllo sulla creazione di moneta da parte della banca centrale e contrastando il rischio di concentrazione oligopolistica. Ma i vantaggi non si fermerebbero qui. La creazione di una valuta digitale consentirebbe di far accedere ai pagamenti elettronici quella parte della popolazione che non ha accesso ai servizi bancari, aumentando così l’inclusione finanziaria. Questo è un vantaggio importante in economie avanzate come la zona euro, ma lo è ancora di più per paesi emergenti e in via di sviluppo.
I rischi della valuta digitale
Tuttavia, la creazione di valute digitali pone problemi di scelta abbastanza complessi, dei tradeoffs per i quali costi e benefici si intrecciano con aspetti tecnici. È proprio questo che spiega la prudenza di tutte le banche centrali nel lanciarsi nell’impresa. In primo luogo, la banca centrale dovrebbe decidere se emettere la propria moneta digitale trasferendola direttamente a imprese e consumatori senza ricorrere a intermediari come le banche commerciali. Adottando questo la banca centrale manterrebbe il pieno controllo sull’emissione e sulla circolazione della valuta. Tuttavia, questo richiederebbe la creazione di conti presso la banca centrale per i quali far transitare il contante digitale emesso. La banca centrale dovrebbe quindi sottostare a tutti gli obblighi regolamentari e legali cui sono sottoposti gli istituti di credito commerciali, dal rispetto delle normative antiriciclaggio alla necessità di creare piattaforme per la gestione delle apps o dei portafogli elettronici. Sono tutte funzioni alle quali le banche commerciali possono facilmente provvedere ma per cui le banche centrali non hanno le competenze, che andrebbero costruite dal nulla.
Ma il vero rischio di una valuta digitale accentrata è che, pensata per garantire sicurezza e stabilità nei pagamenti, finisca per fare concorrenza al sistema dei pagamenti privato finendo per agire da fattore destabilizzante soprattutto (ma non solo) durante una crisi. Essa potrebbe drenare depositi e risorse dal settore finanziario, riducendone profittabilità e offerta di credito. Una valuta digitale sarebbe un safe asset che, contrariamente al contante fisico, potrebbe potenzialmente essere detenuto in grandi volumi e senza alcun costo. In momenti di crisi si potrebbe quindi assistere a “fughe di capitali” dai depositi bancari alla valuta digitale. Gli stessi movimenti di capitali destabilizzanti potrebbero verificarsi a livello internazionale. Anche per questo, è probabile che le banche centrali finiscano per decidere di utilizzare il settore finanziario per emettere valuta digitale (la Bce ha segnalato l’intenzione di andare in quella direzione). D’altra parte, è giusto considerare che il settore bancario è tutt’altro che concorrenziale. L’introduzione di una valuta digitale potrebbe quindi consentire di ridurre il potere di mercato delle banche commerciali e ridurre i costi per imprese e consumatori.
In conclusione, fin dai tempi di John Maynard Keynes si insegna agli studenti di macroeconomia che i motivi per detenere valuta sono due: per effettuare transazioni e come riserva di valore. I benefici delle valute digitali risiedono principalmente nel facilitare le transazioni, mentre i costi della loro introduzione risiedono nell’effetto destabilizzante che avrebbero sul sistema finanziario se usate come riserva di valore. Per questo le banche centrali vanno ovunque con i piedi di piombo: le valute digitali devono essere progettate accuratamente per incentivarne l’uso come mezzi di pagamento ma non come investimenti (ad esempio limitando l’ammontare dei conti individuali o facendo pagare un tasso di interesse negativo oltre una certa soglia). Sembra tuttavia inevitabile che prima o poi si approdi alla creazione di questi strumenti. Il rischio per i sistemi monetari che valute private o criptomonete vengano a riempire il vuoto, che prima o poi il contante lascerà, è troppo grande.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
La crisi Covid ha causato un aumento dei pagamenti cashless del 40%. Contro il pericolo delle valute private, le banche centrali progettano valute digitali. Un’evoluzione rischiosa ma necessaria
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