Intervista allo storico Geert Mak, autore del libro “Il sogno dell’Europa nel XXI secolo”. “Ci troviamo nel mezzo di un profondo e storico cambiamento di poteri: il potere occidentale sta declinando, mentre Cina e Russia stanno emergendo.”
“Il percorso dell’Unione europea mi sembra oltremodo complesso e i risultati di queste ultime elezioni non mi infondono fiducia”. Lo storico e giornalista olandese Geert Mak, fra gli autori più popolari dei Paesi Bassi, esprime le sue considerazioni sugli esiti del voto tenutosi dal 6 al 9 giugno al fine di rinnovare il Parlamento europeo, segnato da scarsa partecipazione – ha votato circa il 49,7% del corpo elettorale –, rinascita dei bipolarismi e affermazione ubiqua delle destre (in alcuni casi, dell’estrema destra).
Classe 1946, Mak esordisce come giornalista del settimanale “De Groene Amsterdammer” e del quotidiano “NRC Handelsblatt”, per poi dedicarsi, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, maggiormente alla stesura di libri. Ha vinto numerosi premi, fra cui il Leipziger Buchpreis zur Europäischen Verständigung e il Prins Bernhard Cultuurfonds Award; i suoi libri sono stati tradotti in oltre venti lingue. In Italia, Fazi Editore ha pubblicato “In Europa. Viaggio attraverso il XX secolo” (2006) e il recente “Il sogno dell’Europa nel XXI secolo” (2024).
“Serve innanzitutto distanza – annota lo storico nel prologo del suo nuovo lavoro. – Distanza fisica e distanza temporale, almeno per quanto possibile. Raccontare le vicende del periodo in cui si vive e del mondo di cui si fa parte è una contraddizione. Lo storico ha bisogno di un certo distacco e il trascorrere del tempo è ancora il modo migliore per giungere a una visione d’insieme. Solo nel tardo Ottocento siamo riusciti a dare alla figura di Napoleone la giusta collocazione nello scenario europeo. Ancora oggi si discute delle vere cause dei due conflitti mondiali del XX secolo, della natura e degli effetti del colonialismo, della cruda violenza della guerra fredda, del crollo dell’impero sovietico nel 1989. Per non parlare degli ultimi anni, di questi primi due decenni del XXI secolo, in cui la fabbrica della Storia è tornata a funzionare a pieno regime e in cui il nostro ordinato mondo europeo, fatto di pace e onesto benessere, sembra di nuovo capovolgersi”. Un distacco che non sempre l’irruzione indifferibile della Storia permette, ma che risulta tuttavia congeniale a una lucida disamina. “Come mi piacerebbe – continua Mak più avanti – essere già nel 2069 e poter dare un’occhiata alla tesi che, tra cinquant’anni, una brava laureanda in Storia dedicherà alla nostra epoca. Non sarà un racconto allegro, temo, ma di sicuro interessante. In fondo, sia gli Stati Uniti d’America che, in seguito, l’Europa potevano essere definiti come grandi progetti storici. Progetti con cui uomini liberi hanno cercato di prendere in mano il proprio destino invece che subirlo. Progetti ispirati dagli ideali dell’Illuminismo, dei diritti umani, di libertà, uguaglianza e fratellanza, anche internazionale. Come ha potuto disintegrarsi qualcosa di così prezioso? La mia giovane laureanda in Storia, a distanza di tempo, gode di un’ottima visuale. Io no. La invidio”.
Professor Mak, cosa ne pensa dei risultati delle recenti elezioni europee?
Il percorso di formazione e consolidamento dell’Unione europea è davvero difficile da realizzare, in maniera similare a quanto avvenne per gli Stati Uniti d’America, che impiegarono quasi un secolo per portarlo a termine. Penso che per creare una vera e solida Unione sia necessario adottare alcune particolari disposizioni. Significativo in tal senso risulta essere il fatto che, proprio come Schengen, anche l’euro non ha mai conosciuto un vero e proprio assestamento. Schengen rappresenta un’Unione europea senza confini ma anche senza una politica comune in tema di immigrazione. L’euro costituisce un nuovo sistema finanziario che deriva da un comune progetto finanziario. L’Unione europea è una sorta di federazione, ma è priva di una struttura realmente valida per quanto concerne l’innovazione. I prossimi cinque/dieci anni saranno necessari a costruire un’Unione europea con un euro forte e, a tal fine, bisognerà mettere a punto misure adeguate soprattutto a fronteggiare le tempeste geopolitiche che già si profilano all’orizzonte. È importante, ad esempio, abolire il diritto di veto, in quanto esso blocca ogni genere di decisione a livello federale. Dopo queste elezioni sarà sempre più difficile dare riscontro a talune tematiche e sviluppare un sistema comune; ciò nonostante, non si possono trascurare, altrimenti il progetto europeo potrebbe subire un arresto, o, peggio, essere archiviato, e ciò potrebbe rappresentare davvero un pericolo.
Secondo lei, Ursula Von der Leyen potrebbe essere riconfermata nella veste di Presidente della Commissione Europea?
Sì. Penso tuttavia che il vero problema sia che la nuova maggioranza europea virerà sempre più verso destra. Nel mio Paese, ad esempio, in questo momento anche i partiti di centro-destra sono sedotti dall’estrema destra e questa tentazione politica potrebbe divenire normale. Ciò è piuttosto rischioso per la tradizione democratica all’interno dell’Unione, perché la democrazia non riguarda solo la Costituzione o la libertà di stampa ma anche un certo tipo di civiltà, un modo di parlarsi e di accettarsi a vicenda. Pericolo che non interessa solo gli Stati Uniti d’America ma, con il grande successo dell’estrema destra, anche l’Europa. Nel mio Paese, da tre o quattro anni si è affermato un forte cambiamento e non è inusuale che i giornalisti subiscano attacchi verbali. Il fondamento di una democrazia non è solo la Costituzione ma anche quella profonda civiltà ad essa connessa.
L’Europa, quindi, vira a destra. Come riuscirà ad affrontare sfide come il Green Deal?
Il Green Deal ora è fermo ma l’Europa non ne vanificherà l’essenza perché è un progetto davvero imprescindibile. Questo arresto rappresenta sicuramente un grande successo delle lobby degli agricoltori. L’industria agricola è molto potente. Nel mio Paese, si è infatti formato un partito espressione degli agricoltori – ora al governo – e il momento originario della sua formazione è stata proprio la creazione di un ufficio di lobby relativo all’industria agricola. Il problema, ovviamente, è se tali realtà si rivolgano a destra o a sinistra. L’intero settore agricolo dell’Unione europea deve essere modernizzato, deve cambiare, perché, per come stanno andando le cose, specialmente nei Paesi più densamente popolati, non è più possibile procedere in tal modo. I paradigmi di sviluppo davvero necessari, non appannaggio di destra o di sinistra, sono ora bloccati.
Si prospettano problemi per l’Europa anche da oltreoceano?
Il problema maggiore va rilevato proprio oltreoceano: quest’estate sarà cruciale non solo per l’America, ma anche per l’Unione europea, quando Biden, che ha convocato il Congresso democratico ad agosto, sicuramente perderà. Quest’uomo è troppo in là con gli anni, non riesce più a svolgere bene il proprio lavoro. Ciò significa che il Partito democratico è davvero vulnerabile e diventa quindi quasi impossibile vincere le prossime elezioni. L’altro problema è Donald Trump: potrà essere un disastro nelle vesti di presidente non solo per la stessa America, ma anche per l’Europa. Non si tratta di problemi interni che riguardano esclusivamente le realtà d’oltreoceano, perché tutta la costruzione dell’Europa è stata messa a punto sotto la protezione degli Stati Uniti: è giunto il tempo di abbandonare questa protezione, anche se ci vorranno almeno cinque/dieci anni per poter fare a meno del loro sostegno militare. Se dovesse rimanere da sola, l’Europa sarebbe davvero vulnerabile, specialmente nel campo della sicurezza: quando un presidente come Trump dirà che non potrà più garantire la nostra sicurezza avremo davvero una grande incognita da dover risolvere.
In Francia, il presidente Emmanuel Macron ha convocato nuove elezioni il 30 giugno e il 7 luglio. Perché, a suo avviso?
È stata davvero una grande scommessa, la sua, e non solo per la Francia ma anche per l’intera Europa, perché la forza dell’Unione europea è sempre stato l’asse franco-tedesco, la connessione fra Parigi e Berlino. Per lungo tempo, esso ha rappresentato il motore dell’Unione europea, ma adesso da ambedue le parti questo motore si sta ingolfando. Dopo la mossa di Macron, non si sa bene cosa succederà in Europa: anche la Germania, che è stata da sempre la più grande potenza europea, in questo momento non presenta una forte leadership. Vorrei parlarle in maniera più ottimistica, ma prevedo una tempesta in arrivo.
Possiamo quindi considerare l’asse franco-tedesco ormai al tramonto?
In questo momento è in bilico. Sento la gente dire che stiamo per entrare in guerra come nel 1938/39 – sto scrivendo un libro proprio su questo periodo. Sembra una sensazione familiare: in quel periodo la gente assomigliava ai gatti sorpresi in mezzo a una tempesta, si sentiva aggredita. Anche adesso, nel mio Paese, le persone non dormono tanto bene. D’altro canto, vi sono evidenti differenze. È più difficile predire cosa accadrà. In generale possiamo dire di trovarci nel mezzo di un profondo e storico cambiamento di poteri: il potere occidentale sta declinando, mentre Cina e Russia stanno emergendo. Potremmo chiamarlo un cambiamento di paradigma. Si potrebbe paragonare questo momento storico al XVI secolo, agli sviluppi che hanno mutato il modo di pensare di intere generazioni, soprattutto in Italia. Viviamo ora un cambiamento della medesima portata.
Lei ha scritto che l’Europa è divisa e debole, la Russia coglie ogni opportunità per seminare discordia e la Cina occupa qualunque vuoto che l’Europa ha lasciato. In un contesto geopolitico, la centralità europea è destinata a decadere?
Non dovrebbe accadere, perché l’Europa possiede ancora un grande potere economico e dispone di un sacco di possibilità anche se, allo stesso tempo, non può considerarsi compiutamente un’Unione. È sempre lo stesso problema. Tutto ciò deve cambiare. Nei prossimi cinque anni, l’intera struttura europea andrà riorganizzata, in quanto non potremo andare avanti in questo modo. Non vedo lontana la costruzione di una solida potenza internazionale. L’Europa ha svolto un ruolo piuttosto importante a livello geopolitico, ma ha ancora difficoltà ad accettarlo. All’inizio del ventesimo secolo, anche gli Stati Uniti ebbero difficoltà ad accettare il fatto di rivestire un ruolo geopolitico preminente. Il problema dell’Europa, tuttavia, è che non abbiamo molto tempo, e, da questo punto di vista, anche i risultati di queste elezioni non mi rendono particolarmente felice. È come se le persone si rendessero conto dell’urgenza della situazione ma non sapessero reagire adeguatamente.
Lo scrittore americano Jeremy Rifkin argomentò che nei prossimi decenni l’Europa eclisserà gli Stati Uniti d’America. È quanto è avvenuto o potrebbe ancora avvenire?
All’inizio del secolo questo era il sogno europeo. Vi sono oggi le condizioni perché ciò avvenga? Questa sorta di ottimismo era già finito con il rifiuto francese alla Costituzione proposta nel 2005. Da allora si susseguirono diverse crisi – crisi dell’euro, crisi dell’immigrazione, la pandemia di Covid-19. Parte di queste problematiche derivavano dal fatto che la struttura dell’Europa non fosse ben definita, specialmente per quanto riguarda la crisi dell’euro. Penso tuttavia che oggi sia necessario, per il progetto europeo, adottare uno spirito diverso. Bisogna tenere conto che in passato generazioni di europei hanno vissuto la guerra. Tra Francia e Germania quasi ogni generazione l’ha conosciuta. Gli stessi pionieri dell’Unione europea fecero esperienza della guerra – sono stati anche rinchiusi nei campi di concentramento – e hanno poi provato una forte emozione nel lasciarsi alle spalle le proprie ombre. Condividevano un’esperienza che non sarebbe più accaduta in seno all’Europa. Questo tipo di emozione era comune in quegli europei. Parlando delle nuove generazioni, invece, temo che tale emozione stia lentamente scomparendo. Ci riferiamo ovviamente ad altre generazioni. Nel mio Paese, ad esempio, è evidente che i politici non la provano più. La radice dell’ottimismo europeo risiedeva nel successo del progetto di pace. In questo momento, credo che dovremmo combattere insieme cercando al contempo una prospettiva diversa, in quanto non si tratta più solo di un progetto di pace ma di un progetto di sopravvivenza: proteggere noi stessi ma anche sopravvivere al XXI secolo nella maniera migliore. Soltanto insieme potremo avere la meglio sulla minaccia rappresentata dal nucleare. Molti problemi, oggi, sono diventati problemi globali e per questo vanno affrontati insieme. L’estrema destra, specialmente i nazionalisti, tentano sempre di rifuggire da questa realtà, negandola. È complicato imparare a risolvere i problemi insieme ma dobbiamo farlo.
In questo senso, è giunto il tempo per una difesa europea comune?
Sì, deve diventare realtà il prima possibile, anche se riconosco che è molto complicato da fare. L’Unione europea promuove la cooperazione in economia e in altri campi, ma affida la sua difesa alla Nato e principalmente agli americani. Questo sistema non può continuare per sempre. L’America non è più un alleato stabile, non è più una superpotenza solida. E ciò non solo a causa di Donald Trump, che pure rappresenta un evidente pericolo: l’America non è più interessata all’Europa. Gli americani stanno dirigendo il loro sguardo oltre il Pacifico, verso Taiwan, la Cina, le Filippine e l’India. Questo è il loro centro d’interesse ora. La Nato è diventata per loro sempre meno importante. Oltre a Trump e ai Repubblicani, anche gli stessi Democratici considerano, ad esempio, l’Ucraina marginale, nonostante il sostegno concesso da Biden. Fin dai tempi di Obama, e, ancor prima, di Bill Clinton, gli americani si stavano allontanando sempre di più dall’Europa e dall’Asia. Diventa quindi per noi necessario un cambio di prospettiva.
Cosa si aspetta ora dall’Europa?
L’Europa può ancora svolgere un ottimo ruolo in veste di connettore. Sta già assolvendo a questo ruolo fra l’Occidente e la Cina, per esempio. Al tempo stesso, tuttavia, l’Europa ha smesso di sviluppare pienamente il proprio potenziale politico. In questo senso, l’Unione europea ha commesso molti errori, specialmente ora a Gaza. Certo, l’Europa è divisa al riguardo, in particolar modo la Germania, che sta sempre difendendo le azioni di Israele e i suoi crimini di guerra. Il ruolo dell’Unione europea è sempre stato quello di creare ponti. Adesso, quando dal primo giorno del conflitto Ursula von der Leyen si è schierata a favore di Israele, ha annichilito qualunque credito potessimo vantare presso la parte palestinese, vanificando qualsiasi possibilità di creare ponti e compromessi e poter giocare così un ruolo di primo piano nella politica internazionale.
“Il percorso dell’Unione europea mi sembra oltremodo complesso e i risultati di queste ultime elezioni non mi infondono fiducia”. Lo storico e giornalista olandese Geert Mak, fra gli autori più popolari dei Paesi Bassi, esprime le sue considerazioni sugli esiti del voto tenutosi dal 6 al 9 giugno al fine di rinnovare il Parlamento europeo, segnato da scarsa partecipazione – ha votato circa il 49,7% del corpo elettorale –, rinascita dei bipolarismi e affermazione ubiqua delle destre (in alcuni casi, dell’estrema destra).
Classe 1946, Mak esordisce come giornalista del settimanale “De Groene Amsterdammer” e del quotidiano “NRC Handelsblatt”, per poi dedicarsi, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, maggiormente alla stesura di libri. Ha vinto numerosi premi, fra cui il Leipziger Buchpreis zur Europäischen Verständigung e il Prins Bernhard Cultuurfonds Award; i suoi libri sono stati tradotti in oltre venti lingue. In Italia, Fazi Editore ha pubblicato “In Europa. Viaggio attraverso il XX secolo” (2006) e il recente “Il sogno dell’Europa nel XXI secolo” (2024).