Assalto al Congresso: gli Stati Uniti si riprenderanno mai?
Usa: la guerriglia di Washington è stata un duro colpo per le istituzioni americane. Riusciranno ancora gli Stati Uniti a ispirare i valori della democrazia nel mondo?
Usa: la guerriglia di Washington è stata un duro colpo per le istituzioni americane. Riusciranno ancora gli Stati Uniti a ispirare i valori della democrazia nel mondo?
Dopo l’assalto al Congresso di Washington, mercoledì scorso – definito un colpo di Stato da alcuni analisti, ma ci sono anche argomentazioni contrarie –, gli Stati Uniti non si sono ancora ripresi dall’instabilità provocata da quell’insurrezione. E non poteva essere altrimenti, del resto: l’attacco al Campidoglio non è stato un evento improvviso e assolutamente inaspettato, quanto piuttosto la conseguenza violenta di un processo di polarizzazione e radicalizzazione politica che va avanti da molti anni. E di altrettanti avrà bisogno per invertirsi: non è un fenomeno risolvibile con un semplice cambio di amministrazione. Il 20 gennaio l’America avrà sì un nuovo Presidente, Joe Biden, ma resterà lo stesso Paese che è ora.
Un duro colpo alle istituzioni americane
Intanto, giovedì si sono dimessi altri due membri dell’amministrazione Trump – la segretaria dei Trasporti Elaine Chao e quella dell’Educazione Betsy DeVos – in protesta con il comportamento del Presidente, che ha incitato i suoi sostenitori a compiere l’attacco al Congresso: ne ha preso più esplicitamente le distanze soltanto ieri. I leader del Partito democratico, ma anche alcuni esponenti del Partito repubblicano come Adam Kinzinger, hanno invece chiesto la rimozione di Trump dall’incarico attraverso il 25esimo emendamento della Costituzione o l’impeachment.
Fare previsioni su cosa accadrà ora è difficile. Più semplice è invece affermare che gli avvenimenti di questi giorni hanno inferto un duro colpo alle istituzioni e alla democrazia degli Stati Uniti, che si fonda – come qualsiasi altro sistema di Governo di questo tipo – sul trasferimento pacifico del potere. Un presupposto che però è stato messo in discussione dallo stesso Presidente, che non ha riconosciuto la sconfitta in un’elezione legittima e ha parlato di brogli senza che vi fossero prove; fomentati da questi discorsi, i suoi seguaci hanno utilizzato la forza per impedire la certificazione formale della vittoria di Joe Biden.
Cosa promette Biden
Quanto a Biden, la sua priorità – come scriveva già un anno fa – sarà “riparare e rinvigorire” la democrazia americana, che definisce “la fonte del potere” degli Stati Uniti e che non può pertanto degenerare in un sistema disfunzionale. Se così dovesse accadere, infatti, il Paese non riuscirebbe più a esprimere appieno il suo potenziale e la sua economia si farebbe stagnante. L’America, poi, non riuscirebbe più a mantenere la leadership globale e finirebbe con l’imboccare il sentiero del declino, mettendo fine al cosiddetto “secolo americano”.
Il progetto di Biden è invece opposto. Rinnovare la democrazia in patria, ricucire le fratture sociali – c’è una minoranza consistente che non lo ritiene il Presidente legittimo, e solo una ridotta percentuale degli americani dice di avere fiducia nel Governo federale –, sarà fondamentale per ripristinare quel ruolo di guida della comunità internazionale che Biden vuole per gli Stati Uniti.
Politica interna e politica estera, allora, si intrecciano profondamente: la seconda non può avere successo se non si ottengono risultati nella prima. L’assalto al Congresso ha però complicato in partenza la realizzazione del piano di Biden: i rivali dell’America – come la Cina e la Russia – hanno già approfittato del fatto per rilanciare la propaganda sulla sconvenienza del sistema democratico e sulla debolezza degli Stati Uniti.
Domande per il futuro
Come possono gli americani pensare di guidare il resto del mondo, se non sono in grado nemmeno di governare loro stessi? Come possono gli Stati Uniti promuovere la democrazia all’estero e ispirare gli altri Paesi, se il loro sistema politico è il primo a essere instabile? E come faranno a mettere insieme un fronte di nazioni affini per contrastare la Cina e le violazioni dei diritti umani?
Se lo chiede retoricamente Emma Ashford del think tank Atlantic Council in un articolo su Foreign Policy, ma sono riflessioni probabilmente condivise anche dal team di Biden. E che dovrebbero venire trasmesse, assieme al potere, anche alle amministrazioni future: quattro anni – o anche otto – non sono sufficienti a risolvere un problema che ha radici profonde.
Usa: la guerriglia di Washington è stata un duro colpo per le istituzioni americane. Riusciranno ancora gli Stati Uniti a ispirare i valori della democrazia nel mondo?
Dopo l’assalto al Congresso di Washington, mercoledì scorso – definito un colpo di Stato da alcuni analisti, ma ci sono anche argomentazioni contrarie –, gli Stati Uniti non si sono ancora ripresi dall’instabilità provocata da quell’insurrezione. E non poteva essere altrimenti, del resto: l’attacco al Campidoglio non è stato un evento improvviso e assolutamente inaspettato, quanto piuttosto la conseguenza violenta di un processo di polarizzazione e radicalizzazione politica che va avanti da molti anni. E di altrettanti avrà bisogno per invertirsi: non è un fenomeno risolvibile con un semplice cambio di amministrazione. Il 20 gennaio l’America avrà sì un nuovo Presidente, Joe Biden, ma resterà lo stesso Paese che è ora.
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