I vaccini cinesi arrivano anche in Europa, ma la loro diffusione è già molto ampia in Asia, Africa e America Latina. Sul piano interno, invece, le somministrazioni vanno a rilento
I monaci aspettano di ricevere la loro prima dose del vaccino cinese Sinovac nel parcheggio della Moschea Grand Istiqlal a Giacarta, Indonesia, 25 febbraio 2021. REUTERS/Ajeng Dinar Ulfiana
“Il vaccino cinese è il mio preferito”. Parola di Viktor Orbán. Il Primo Ministro ungherese è il primo leader politico di un Paese dell’Unione europea a farsi iniettare il siero della Sinopharm, uno dei quattro produttori Made in China di vaccini anti Covid-19.
Budapest ha già ricevuto 550mila dosi e ne avrà altre 4,5 milioni entro maggio. Potrebbe presto non essere l’unico, visto che il Presidente Xi Jinping ne ha parlato in una telefonata con l’omologo della Polonia Andrzej Duda. Nel mondo sono già 45 i Paesi che hanno ricevuto e acquistato le dosi da Pechino. È successo a tutte le latitudini, dal Sud-est asiatico al Medio Oriente, dall’Africa all’America Latina. E questo nonostante gli studi sull’efficacia sono meno dettagliati rispetto ai vaccini sviluppati altrove. Ma la lentezza della distribuzione dei sieri occidentali, nonché i blocchi alle esportazioni, ne stanno aiutando la diffusione a livello globale, soprattutto in Paesi che hanno urgenza di approvvigionamento.
Quando il coronavirus ha smesso di essere un’emergenza solo per Wuhan, il Governo cinese ha iniziato a esportare mascherine, tute protettive e respiratori in tutto il mondo, Italia compresa. Ora sta facendo lo stesso con i suoi sieri anti Covid. Tutto rientra nella rimodulazione in chiave sanitaria della Via della Seta e nello sviluppo della cosiddetta “diplomazia del vaccino“, che nei piani di Pechino è destinata da una parte a sostenere l’export e dall’altra a garantire riflessi positivi sul suo soft power.
I vantaggi dei vaccini cinesi
Come già accaduto con le mascherine, Pechino ha saputo agire più rapidamente degli altri. I vaccini autoctoni approvati in Cina sono quattro: due prodotti da Sinopharm, uno da Sinovac e uno da CanSinoBIO. Nonostante la loro efficacia sia in generale più bassa rispetto ai vari Pfizer/BioNTech e Johnson&Johnson, i vaccini cinesi hanno dalla loro un grande vantaggio: la possibilità di essere conservati a temperature da freezer normali. I produttori cinesi affermano di poter garantire almeno 2,6 miliardi di dosi nel 2021. E per mesi le imprese statali e le società private, con il sostegno del Governo, hanno messo a punto una catena di approvvigionamento che rende i vaccini cinesi accessibili in tutto il mondo. Lo schema è quasi sempre lo stesso: un primo lotto di sieri arriva in donazione, poi si passa all’esportazione vera e propria.
La distribuzione dei vaccini cinesi
Partiamo dall’Asia. Le Filippine hanno ricevuto 600mila dosi del vaccino di Sinovac e Rodrigo Duterte si è presentato all’aeroporto di Manila per accogliere la consegna. Il Presidente filippino, che durante il suo mandato ha messo in discussione la storica alleanza con gli Stati Uniti, ha minacciato ancora una volta di stracciare il Visiting Force Agreement (il trattato che regola la presenza di truppe e basi americane nel Paese del Pacifico) se Washington non dovesse inviare “venti milioni di vaccini”. Prima delle Filippine si era realtà mossa l’Indonesia, visto che già a gennaio il Presidente Joko Widodo si era fatto inoculare il siero di Sinovac, distribuito anche in Malaysia e Thailandia. Brunei, Cambogia e Laos hanno ricevuto il vaccino di Sinopharm, così come due Paesi che rientrano nella tradizionale sfera d’influenza indiana: Nepal e Sri Lanka. Nuova Delhi ha segnato però un suo punto a favore in Myanmar, quando poco prima del golpe militare ha venduto 30 milioni di dosi del vaccino di Serum a Naypyidaw (supporto confermato anche in seguito), con il Governo birmano che ha stoppato la distribuzione di quello cinese.
I sieri cinesi stanno avendo una forte distribuzione anche in Medio Oriente, dove sono stati acquistati da Emirati Arabi Uniti, Iraq e Bahrein. Pechino punta molto anche sull’Africa. Al momento sono state fornite dosi a Guinea Equatoriale, Zimbabwe, Sierra Leone, Egitto e Marocco, ma il Ministro degli Esteri Wang Yi ha dichiarato che saranno coinvolti nei rifornimenti anche altri 16 Paesi del continente. Lo snodo principale per la distribuzione in Africa sarà Addis Abeba, capitale dell’Etiopia dove tra l’altro le imprese cinesi hanno partecipato alla costruzione del quartier generale dell’Unione africana, grazie anche a una cooperazione tra Alibaba Group Holding ed Ethiopian Airlines. In Uganda, dove sono arrivate 4mila dosi destinate al solo utilizzo di cittadini cinesi, il Ministro della Sanità ha smentito che il presidente Yoweri Museveni abbia ricevuto il vaccino.
La distribuzione arriva anche in America Latina, talvolta anche con modalità poco trasparenti. Un rapporto del Governo peruviano sostiene che l’ex Presidente Martin Vizcarra e altre 500 persone avrebbero ricevuto in gran segreto il siero prima che lo stesso fosse approvato dalle autorità locali. Il Cile, che ha la migliore performance di vaccinazioni nell’area, ha adottato come primo vaccino il CoronaVac di Sinovac. La Bolivia riceverà mezzo milione di dosi di quello Sinopham. Persino il Brasile ha dato il via libera al vaccino Sinovac, nonostante l’iniziale opposizione del Presidente Jair Bolsonaro.
La chiave utilizzata da Pechino sin dall’inizio è quella della “corsia preferenziale” e del multilateralismo. Sui media cinesi appaiono da diverso tempo molti articoli che criticano il “nazionalismo vaccinale” degli Stati Uniti e dell’Occidente, sottolineando al contrario la “responsabilità” di Pechino nel distribuire i suoi sieri senza nessuna preclusione. Un’opportunità geopolitica importante per Xi, che, come ha dimostrato nel suo recente discorso di Davos, tiene molto ad alimentare l’immagine di “potenza responsabile” della Cina e soprattutto di porla al centro della cooperazione sud-sud. Non dimentichiamo che, nonostante il recente annuncio sull’eliminazione della povertà assoluta, ufficialmente Pechino considera se stesso ancora un Paese in via di sviluppo. Etichetta utile a mantenere stretto il legame con diversi Stati, in primis quelli africani, fondamentali nelle varie votazioni presso gli organismi internazionali.
La campagna vaccinale cinese
Ma anche in Europa c’è chi inizia ad aprire le porte ai vaccini cinesi. Oltre all’Ungheria e a, forse, la Polonia, il siero di Sinopharm è già distribuito anche in Serbia. E anche in altri Paesi, compresi Germania e Italia, c’è chi chiede di non escludere a priori la loro adozione. Eppure, all’interno, la campagna vaccinale cinese procede a rilento. Al momento ha ricevuto la somministrazione meno del 4% della popolazione, contro il circa 7% di quella europea e il 22% di quella statunitense. Dato che ha diverse spiegazioni, a partire chiaramente dall’enorme numero di abitanti della Cina. Può avere contribuito il focus del Governo sull’esportazione del vaccino, resa possibile anche dal fatto che a livello interno i contagi (a parte qualche focolaio locale) sono sempre rimasti sotto controllo sin dalla scorsa primavera. Ci sono poi da considerare i limiti di età. I vaccini prodotti da Sinopharm e Sinovac sono raccomandati solo per le persone in buona salute di età compresa tra i 18 e i 59 anni. E secondo diversi sondaggi c’è anche chi non vuole partecipare al ciclo vaccinale per paura degli effetti collaterali. La Cina manda i suoi vaccini in giro per il mondo ma sul piano interno potrebbe non raggiungere l’immunità di gregge fino al 2022 inoltrato.
I vaccini cinesi arrivano anche in Europa, ma la loro diffusione è già molto ampia in Asia, Africa e America Latina. Sul piano interno, invece, le somministrazioni vanno a rilento