Dopo le dimissioni forzate di Nguyen Xuan Phuc, l’Assemblea Nazionale ha scelto il più giovane, pupillo del Leader Trong. Il suo ruolo, in gran parte cerimoniale, rappresenta una delle massime cariche politiche della nazione del Sud-Est asiatico
Definirlo astro nascente in questo caso non è un’esagerazione. Vo Van Thuong ha “solo” 52 anni ed è il membro più giovane del Politburo del Partito comunista del Vietnam, anche se ha cominciato la sua carriera giovanissimo nelle organizzazioni giovanili. Non solo. Da qualche giorno è anche il Presidente del Paese del Sud-Est asiatico.
In una sessione straordinaria, l’Assemblea nazionale vietnamita ha eletto Thuong alla presidenza. Un finale scontato dopo l’indicazione in tal senso arrivata dal Partito comunista, ma che di fatto cambia i connotati della politica vietnamita nel giro di qualche settimana. Tutto nasce infatti dalle dimissioni “guidate” di Nguyen Xuan Phuc, l’ex Presidente lambito da un’inchiesta anticorruzione nell’ambito del nuovo impulso alla campagna della “fornace ardente” lanciata da Nguyen Phu Trong, il segretario generale del Partito. Un regolamento di conti, con Trong che ha portato all’autoesclusione di uno di quelli che era considerato un suo potenziale erede. L’anziano leader, che è nel corso del suo terzo mandato dopo la non osservazione della prassi dei due mandati inaugurata negli anni Ottanta da Le Duan (un po’ come fatto da Xi Jinping in Cina), ha invece in Thuong il suo pupillo.
Il ruolo di presidente è in gran parte cerimoniale ma è comunque uno dei cosiddetti “quattro pilastri” del sistema politico vietnamita insieme a segretario generale del Partito, premier e presidente dell’Assemblea nazionale. Con la nomina del 52enne, ora Trong ha alleati fidati in tutte le posizioni apicali. Nel suo primo discorso al parlamento in qualità di nuovo Presidente, Thuong ha dichiarato che continuerà “risolutamente” la lotta alla corruzione.
Diplomatici e uomini d’affari hanno espresso preoccupazione per la campagna anticorruzione che ha paralizzato molte transazioni di routine in Vietnam, poiché i funzionari temono di essere coinvolti nella repressione. Ma la nomina di Thuong, al di là delle dinamiche interne al Partito e alla concentrazione di potere nelle mani del segretario generale, non dispiace agli investitori: questo perché pone fine a una parentesi di incertezza che aveva fatto seguito alle dimissioni di Phuc, col timore che si sarebbe potuta scatenare una lotta di potere tra diverse fazioni del Partito.
Thuong significa invece continuità, visto che come Trong il neo presidente si pone su una linea ideologica piuttosto ortodossa, ammantata di una forte retorica anticorruzione ma anche di una spinta verso gli affari. Una scelta come quella del ministro della Pubblica sicurezza To Lam sarebbe stata più delicata. Sia sul fronte interno, per i possibili timori di un’ulteriore ascesa dell’influenza del potente apparato di pubblica sicurezza che esprime già il premier Pham Minh Chinh, sia su quello esterno per le perplessità dei paesi europei nel relazionarsi coi protagonisti di figure coinvolte in campagne più o meno opache legate alla gestione del potere politico.
Ci sono anche altri aspetti da tenere in considerazione sulla scelta di Thuong. Nato nella provincia meridionale di Vinh Long, interrompe una parentesi nella quale tutti e 4 i pilastri venivano espressi dalle province settentrionali. La sua nomina riporta dunque una sorta di bilanciamento regionale che aveva sempre caratterizzato la politica vietnamita. C’è anche chi vede la nomina di un politico in età ancora relativamente giovane come il primo segnale di una futura successione a Trong. Nel 2021, nonostante le chiacchierate condizioni di salute, il segretario generale aveva mantenuto il potere per un terzo mandato anche proprio per l’assenza di un accordo su un potenziale erede. L’investitura di Thuong segnala invece che il Partito potrebbe puntare su di lui nel prossimo futuro, magari al prossimo Congresso del 2026.
Nel frattempo, Hanoi cercherà di continuare ad attrarre investimenti stranieri. Diversi colossi internazionali, a partire da quelli dell’elettronica, stanno scegliendo il Vietnam per posizionarsi in Asia o diversificare le proprie catene di produzione rispetto alla Cina. Fenomeno incentivato dagli accordi di libero scambio sottoscritti da Hanoi con Unione Europea e Regno Unito. Ma anche dagli effetti collaterali delle tensioni tra Cina e Stati Uniti, potenze tra le quali il Vietnam cerca di restare in equilibrio.